Archivio Ždanov

Sulla musica

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view post Posted on 10/7/2012, 14:39

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Da Andrei Zdanov, Arte e socialismo, Cooperativa editrice “Nuova cultura”, Zidido S. Giacomo, 1970 circa, SULLA MUSICA, pp. 111-135 (aggiunte e correzioni del Direttore dell’Archivio Ždanov, in base alle edizioni del seguente discorso in lingue straniere)


INTERVENTO ALLA CONFERENZA DEI MUSICISTI SOVIETICI



Discorso pronunciato alla Conferenza dei musicisti sovietici nel gennaio 1948. Vi parteciparono più di sessanta compositori, direttori, critici e professori di musica.
In forma di critica dell’opera di V. Muradeli «La grande amicizia», il discorso di Zdanov tratta tutti i problemi dello sviluppo musicale, esprimendo le famose tesi sulla musica popolare come base fondamentale per la creazione originale e della fusione armonica di melodia, canto e ritmo.


Compagni! Permettetemi di fare subito qualche osservazione sul carattere della discussione che qui si svolge.
L’apprezzamento generale sulla situazione nel campo della creazione musicale si riduce a questa constatazione: non va molto bene. Si sono espresse, è vero, molte sfumature nel corso degli interventi. Gli uni hanno detto che zoppicava soprattutto dal punto di vista dell’organizzazione, hanno mostrato l’insufficienza della critica e dell’autocritica e hanno denunciato i falsi metodi di direzione, particolarmente all’Unione dei Compositori. Altri, associandosi alla critica dell’organizzazione e del regime che regna nelle organizzazioni, hanno segnalato ciò che va male nell’orientamento ideologico della musica sovietica. Alcuni, infine, hanno tentato di eludere il carattere acuto della situazione e di passare sotto silenzio le questioni sgradevoli. Ma in qualunque modo siano state espresse queste sfumature, il tono generale della discussione si riduce a constatare che non va molto bene.
Non ho intenzione di portare una dissonanza o una «stonatura» in questo apprezzamento, benchè la «stonatura» sia oggi di moda. (Ilarità, animazione nella sala). La situazione è in effetti molto cattiva. Mi sembra che sia peggiore di quanto si sia detto qui. Non ho intenzione di negare i risultati ottenuti dalla musica sovietica. Esistono, senz’altro, ma se ci si rappresenta quali risultati avremmo dovuto ottenere nel campo della musica, se si paragonano persino i successi in questo campo con i risultati ottenuti in altri campi dell’ideologia, bisogna confessare che sono del tutto insignificanti. Se si prende, ad esempio, la letteratura, si vedono oggi certe riviste incontrare reali difficoltà perchè non riescono più a trovare lo spazio per tutti i manoscritti degni di essere pubblicati che hanno sottomano. Sembra che nessuno degli oratori abbia potuto vantare una simile superproduzione in musica. Vi è progresso nel settore del cinema e della drammaturgia. Ma nel campo della musica non vi è il minimo progresso sensibile.
La musica è in ritardo, questo è il tono di tutti gli interventi. Tanto nell’Unione dei Compositori che nel Comitato delle Arti, si è creata una situazione evidentemente anormale. Del Comitato delle Arti si è parlato poco e non lo si è sufficientemente criticato. In realtà, il Comitato delle Arti ha svolto un ruolo di pessima lega. Dandosi l’aria di difendere con tutte le sue forze la tendenza realistica in musica, il Comitato ha favorito in tutti i modi la tendenza formalista1, issando sullo scudo i suoi rappresentanti, e proprio per questo ha reso possibile la disorganizzazione e l’introduzione del disordine ideologico nei ranghi dei nostri compositori. Inoltre, incolto e incompetente nelle questioni musicali, il Comitato si è messo alla coda dei compositori del clan formalista.
Si è paragonato qui il Comitato di organizzazione della Unione dei Compositori a un monastero o a dei generali senza esercito. Non c’è bisogno di contestare queste affermazioni. Se la sorte della creazione musicale sovietica si trova ad essere la prerogativa del circolo più chiuso di compositori e di critici dirigenti, di critici scelti secondo il principio del sostegno dei capi e creando attorno ai compositori un’atmosfera inebriante di adulazione, se non vi è discussione di lavoro, se all’Unione dei Compositori si è instaurata un’atmosfera confinata, ammuffita, dove si distinguono i compositori di prima e di seconda qualità, se lo stile dominante nelle conferenze dell’Unione dei Compositori è il silenzio rispettoso o le devote lodi agli eletti, se la direzione del Comitato di organizzazione è staccata dalla massa dei compositori, allora non si può non riconoscere che la situazione sull’«Olimpo» musicale è divenuta minacciosa.
Conviene dire una parola in particolare sull’orientamento viziato della critica e sull’assenza di discussione di lavoro nell’Unione dei Compositori. Dal momento che non vi è discussione di lavoro, che non vi è né critica né autocritica, non vi è nemmeno movimento in avanti. La discussione di lavoro e una critica obiettiva, indipendente — è oggi divenuto un assioma — appaiono come la condizione più importante del progresso creatore. Là dove non c’è la critica e la discussione di lavoro, le fonti stesse del movimento inaridiscono, si instaura un’atmosfera da serra, di muffa e di stagnazione, di cui i nostri compositori non hanno affatto bisogno. Non è affatto per caso che persone che prendono parte per la prima volta a una conferenza sulle questioni musicali, trovano strano che possano perpetuarsi contraddizioni così irriducibili tra il regime molto conservatore che presiede all’organizzazione dell’Unione dei Compositori, e le idee sedicenti ultra-progressive dei suoi dirigenti attuali nel campo dell’ideologia e della creazione. Si sa che la direzione dell’Unione ha scritto sulla sua bandiera formule promettenti come il richiamo allo spirito innovatore, il rifiuto delle tradizioni in disuso, la lotta contro l’«epigonismo», ecc. Ma è curioso che le stesse persone che vogliono apparire molto radicali e persino ultrarivoluzionarie nel loro programma creatore, che pretendono al ruolo di distruttori dei canoni invecchiati, che queste stesse persone, quando prendono parte all’attività dell’Unione dei Compositori, si rivelino straordinariamente retrograde, impermeabili alle novità e ai cambiamenti, conservatori nei loro metodi di lavoro e di direzione, e spesso paghino volentieri tributi, nelle questioni di organizzazione, alle peggiori tradizioni e all’«epigonismo» tanto disprezzato, coltivando i procedimenti più limitati e sfasciati quando si tratta di dirigere la vita e l’attività del loro gruppo.
Come questo avvenga, è facile spiegare. Se una fraseologia tronfia sulle sedicenti nuove tendenze della musica sovietica, si associa a degli aspetti che non sono per niente d’avanguardia, ciò solo basta a provocare un dubbio legittimo sul carattere progressista delle basi ideologiche su cui riposano metodi così reazionari.
L’organizzazione ha in tutte le cose una grande importanza, lo si capisce perfettamente. Bisogna evidentemente procedere a una seria ventilazione nelle organizzazioni di compositori e musicisti, bisogna che un soffio fresco vi purifichi l’aria, affinchè si creino condizioni normali per il lavoro creativo.
Ma la questione dell’organizzazione, per importante che sia, non è fondamentale. La questione fondamentale è l’orientamento della musica sovietica. La discussione che si è svolta qui elude un po’ il problema, e ciò è sbagliato. Se in musica cercate la frase musicale chiara, anche sulla questione dell’orientamento della nostra musica dobbiamo cercare di raggiungere la chiarezza. Alla domanda: si tratta di due tendenze della musica? La discussione porta una risposta del tutto netta: sì, è precisamente di questo che si tratta. Benchè certi compagni abbiano tentato di non chiamare le cose con il loro nome e che si sia suonato un po’ in sordina, è chiaro che c’è una lotta tra le tendenze, che gli sforzi fatti per sostituire un orientamento con un altro sono manifesti.
Nello stesso tempo, una parte dei nostri compagni ha preteso che non ci fosse ragione di porre la questione della lotta delle tendenze, che non si era prodotto alcun cambiamento di ordine qualitativo, che si assisteva solo allo sviluppo dell’eredità classica nelle condizioni dell’ambiente sovietico. Si è detto che non vi era alcuna revisione dei fondamenti della musica classica e che, di conseguenza, non vi era materia di discussione, che era inutile fare rumore. Il problema si ridurrebbe tutt’al più a correzioni di dettaglio, a casi isolati di ammirazione esagerata per la tecnica, a errori isolati di carattere naturalista, ecc. È proprio perchè ci si è lasciati andare a un camuffamento di questo genere, che conviene diffondersi più in dettaglio sulla lotta tra le due tendenze. Non si tratta evidentemente solo di correzioni, non basta dire c’è un foro nel tetto del conservatorio e che bisogna tapparlo, e non si può non essere d’accordo su questo con il compagno Scebalin, ma il buco non è solo nel tetto del conservatorio, sarebbe riparato in fretta; si è formata una breccia molto più importante nelle fondamenta stesse della musica sovietica. Non vi sono su questo due pareri e tutti gli oratori lo hanno mostrato: nell’attività dell’Unione dei Compositori il ruolo dirigente è svolto oggi da un gruppo limitato di compositori. Si tratta dei compagni Sciostakovich, Prokofiev, Miaskovski, Khachaturian, Popov, Kabaleski, Scebalin. Chi volete ancora aggiungere a questi compagni?
Una voce dal pubblico: Sciaporin.
Zdanov: Quando si parla del gruppo dirigente che tiene tutte le fila e tutte le chiavi del «Comitato esecutivo delle arti», sono i nomi che si dicono più spesso. Ammettiamo che questi compagni sono le principali figure dirigenti della tendenza formalista in musica. E questa tendenza è completamente falsa.
I compagni suddetti hanno, essi stessi, preso qui la parola e dichiarato di essere scontenti che all’Unione dei Compositori non vi sia atmosfera di critica, che li si loda esageratamente, che sentono un certo indebolimento dei loro contatti con i quadri di base dei compositori, con gli auditori, ecc. Ma per constatare tutte queste verità, senza dubbio non c’era bisogno di aspettare un’opera incompleta o imperfetta. Queste confessioni avrebbero potuto essere fatte molto prima. È che in fondo per questo gruppo dirigente di nostri compositori del clan formalista, il regime che regnava fin qui nelle organizzazioni musicali non era, per moderare l’espressione, «punto sgradevole». (Applausi). C’è voluta la conferenza al Comitato Centrale del Partito, perchè questi compagni scoprano il fatto che questo regime copre dei lati negativi in questo modo. In ogni caso, fino alla conferenza del Comitato Centrale, nessuno di loro ha mai proposto di cambiare qualcosa nello stato di cose esistente nell’Unione dei Compositori. Le forze del «tradizionalismo» e dell’«epigonismo» agivano senza debolezza. Si è detto qui che era venuto il momento di cambiare del tutto le cose. Non si può non essere d’accordo. Dato che i posti di comando della musica sovietica sono occupati dai compagni in questione, dato che è stato dimostrato che tentativi di criticarli avrebbero provocato, come ha detto qui il compagno Zakharov, un’esplosione, una mobilitazione immediata di tutte le forze contro la critica, bisogna dedurne che sono precisamente questi compagni ad avere creato questa insopportabile atmosfera da serra, di stagnazione e di rapporti di amicizia, che sono ora disposti a dichiarare indesiderabili.
I dirigenti dell’Unione dei Compositori hanno detto qui che non vi è oligarchia nell’Unione dei Compositori. Ma allora ci si impone la domanda: perchè si aggrappano tanto ai posti direttivi dell’Unione? Il potere per se stesso li seduce? In altri termini, queste persone hanno preso l’autorità nelle loro mani perchè è loro gradevole detenere l’autorità per se stessa, hanno raggiunto un tale mangeria amministrativa, vogliono semplicemente giocare ai piccoli principi, come Vladimir Galitski nel «Principe Igor»? (Ilarità). Oppure questa dominazione si sarebbe stabilita in vista di dare alla musica un orientamento determinato? Penso che la prima supposizione cada e che la seconda sia quella giusta. Non abbiamo ragione di affermare che la direzione degli affari dell’Unione non sia legata all’orientamento. Non possiamo indirizzare una tale accusa, diciamo, a Sciostakovich. Di conseguenza, se si dirigeva, era per orientare.
Effettivamente, abbiamo di fronte una lotta molto acuta, anche se velata in superficie, tra due tendenze. Una rappresenta nella musica sovietica una base sana, progressista, fondata sul riconoscimento dell’enorme ruolo giocato dall’eredità classica e, in particolare, dalle tradizioni della scuola musicale russa, sull’associazione di un contenuto ideologico elevato, della verità realista, di legami organici profondi con il popolo, di una creazione musicale cantante, di un’alta maestria professionale. La seconda tendenza esprime un formalismo estraneo all’arte sovietica, il rifiuto dell’eredità classica con il pretesto di un falso sforzo verso la novità, il rifiuto del carattere popolare della musica, il rifiuto di servire il popolo. Ciò a beneficio delle emozioni strettamente individuali di un piccolo gruppo di esteti eletti.
Questa tendenza rimpiazza la musica naturale, bella, umana, con una musica falsa, volgare, a volte semplicemente patologica. Inoltre, è una particolarità della seconda tendenza evitare gli attacchi frontali, preferisce nascondere la sua attività revisionista sotto la maschera di un preteso accordo con le proposizioni fondamentali del realismo socialista. Tali metodi «di contrabbando» non sono evidentemente nuovi, gli esempi del revisionismo che proclama il suo accordo con le proposizioni fondamentali della teoria realista, non mancano nella storia. È tanto più necessario smascherare l’autentica natura di questa seconda tendenza e il danno che essa ha fatto allo sviluppo della musica sovietica.
Analizziamo, per esempio, la questione dell’atteggiamento nei confronti dell’eredità classica. I compositori in questione hanno un bel giurare che stanno con i due piedi sul suolo dell’eredità classica, non vi è mezzo di dimostrare che i partigiani della scuola formalista proseguono e sviluppano le tradizioni della musica classica. Qualunque uditore dirà che le opere dei compositori sovietici del clan formalista sono radicalmente differenti dalla musica classica. La musica classica si caratterizza per la verità e il realismo, per l’arte di unire una forma che colpisce a un contenuto profondo, di associare la più alta maestria alla semplicità più accessibile. La musica classica in generale, la musica classica russa in particolare, ignorano il formalismo e il grossolano naturalismo. Ciò che le caratterizza è l’elevatezza dell’idea: perchè sanno riconoscere le fonti della musica nell’opera musicale dei popoli, provano rispetto e amore per il popolo, per la sua musica e la sua canzone.
Quale passo indietro fanno i nostri formalisti fuori dalla strada maestra della nostra storia musicale, quando demoliscono le basi della vera musica e compongono una musica mostruosa, artificiosa, penetrata di impressioni idealiste, estranea alle larghe masse del popolo, indirizzata non a milioni di sovietici, ma a qualche unità o a qualche decina di eletti, a una «élite»! Come ciò assomiglia poco a Glinka, a Ciaikovski, a Rimskj-Korsakov, a Dargomyjski, a Mussorgski, che vedevano il principio della loro opera nella capacità di esprimere lo spirito del popolo, il suo carattere! La volontà di ignorare i bisogni del popolo, il suo spirito, la sua creazione, significa che la tendenza formalista in musica ha un carattere nettamente antipopolare.
Se tra certi compositori sovietici ha spazio quella teoria illusoria secondo la quale «saremo compresi tra cinquanta o cento anni», «se i nostri contemporanei non possono comprenderci, i posteri ci comprenderanno», è una cosa semplicemente spaventosa. Se siete già abituati a questo pensiero, tale abitudine è estremamente pericolosa.
Simili ragionamenti significano che si rompe col popolo. Se io — scrittore, artista, letterato, responsabile del Partito — non cerco di essere compreso dai miei contemporanei, allora per chi vivo e lavoro? Ma ciò conduce al vuoto spirituale, all’immobilismo. Si dice che certi critici musicali adulatori mormorano ai compositori, in particolare ora, delle «consolazioni» di questo genere. Ma dei compositori possono forse ascoltare a sangue freddo simili consigli, senza trascinare i consiglieri almeno davanti a una corte d’onore?
Ricordatevi come i classici rispondevano alle esigenze del popolo. Da noi si dimentica già in che termini luminosi si sono espressi i «Cinque Grandi»2 e il grande critico musicale Stassov, loro compagno, sul carattere popolare della musica. Si dimentica la notevole frase di Glinka sui rapporti tra il popolo e gli artisti: «Chi crea la musica è il popolo e noi artisti non facciamo che comporla». Si dimentica che i corifei dell’arte musicale non hanno scartato alcun genere, quando quei generi li aiutavano a promuovere l’arte nelle larghe masse popolari. Ma voi scartate persino generi come l’opera, considerate l’opera una creazione di secondo ordine, le contrapponete la musica sinfonica strumentale, per non dire del vostro atteggiamento sdegnoso verso la musica da canto, la musica corale o la musica da concerto: trovate vergognoso abbassarvi fino a esse e soddisfare le esigenze popolari. Tuttavia, Mussorgski ha musicato l’«Hopak», Glinka utilizzò il «Komarinski» in una delle sue meravigliose opere. Forse bisognerà riconoscere che il proprietario fondiario Glinka, il funzionario zarista Serov e il gentiluomo Stassov erano più democratici di voi. È paradossale, ma è un fatto. Avete spesso giurato solennemente che siete per la musica popolare; se è così, perchè nelle vostre opere utilizzate così poco le melodie popolari? Perchè si ripetono i difetti che criticava già Serov, quando mostrava che la musica «sapiente», cioè professionale, si sviluppava parallelamente e indipendentemente da quella popolare? Forse da noi la musica sinfonica strumentale si sviluppa in uno stretto rapporto reciproco con la musica popolare, che sia la canzone, la musica da concerto o la musica corale? No, questo non si può dire. Al contrario, si constata qui, innegabilmente, una rottura che deriva dalla sottovalutazione della musica popolare da parte dei nostri sinfonisti. Richiamerò in quali termini Serov caratterizzava il suo atteggiamento verso la musica popolare. Penso al suo articolo «La musica dei canti della Russia del Sud», dove diceva: «Le canzoni popolari, in quanto organismi musicali, non sono assolutamente l’opera di talenti isolati, ma la produzione di un intero popolo; sono, per tutta la loro struttura, molto differenti dalla musica artificiale, che risulta da una cosciente imitazione dei modelli, che è prodotto della scuola e della riflessione. Sono i fiori di un dato punto, apparsi come di per sè, sbocciati in tutta la loro luce, senza la minima pretesa d’autore e, di conseguenza, non assomigliano affatto a quei prodotti di vaso o di serra della composizione colta. È perchè appare più chiaramente in essi l’ingenuità della creazione e (per riprendere la giusta espressione di Gogol nelle ”Anime morte”) l’alta saggezza della semplicità, grazia essenziale e segreto essenziale di ogni creazione artistica.
«Come un giglio, nel suo splendore perfetto, eclissa il brillare del broccato e delle pietre preziose, allo stesso modo la musica popolare, per la sua semplicità infantile, è mille volte più ricca e più forte di tutti gli artifici dell’arte di scuola, preconizzati dai pedanti nei conservatori e nelle accademie musicali»3.
Come tutto è buono, giusto e forte! Come è ben colto l’essenziale: lo sviluppo della musica deve avvenire sulla base di un’azione reciproca, di un arricchimento della musica «colta» da parte della musica popolare! Ma dai nostri teorici e critici di oggi questo tema è quasi completamente scomparso. Ciò conferma una volta di più il pericolo che corrono i capofila della musica contemporanea, di separarsi dal popolo quando rinunciano a una fonte così bella di creazione, come la canzone e la melodia popolari. Una simile separazione non può, evidentemente, essere il risultato della musica sovietica.
Permettetemi di passare alla questione dei rapporti tra musica nazionale e musica straniera. Alcuni compagni hanno detto qui, con ragione, che si constata un immobilismo e anche un certo orientamento verso la musica borghese occidentale contemporanea, verso la musica decadente, che è ugualmente uno dei tratti fondamentali dell’indirizzo formalista nella musica sovietica.
Stassov ha parlato molto bene, a suo tempo, dei rapporti della musica russa con la musica dell’Europa occidentale, nel suo articolo «Ciò che frena la nuova arte russa», in cui scrive: «È ridicolo negare la scienza, la conoscenza in qualche campo che sia compreso nel settore musicale. Ma i giovani musicisti russi, che non hanno dietro di sè, come in Europa, per sostenerli, una lunga catena di periodi scolastici (di ”scuola”), guardano con audacia la scienza in fasce: la venerano, utilizzano i suoi benefici, ma senza esagerazioni e senza servilismo. Negano la necessità della sua aridità e dei suoi eccessi pesanti, rifiutano i giochi ginnici, ai quali danno tanta importanza migliaia di europei, non credono che ci sia bisogno di vegetare umilmente lunghi anni su questi misteri sacrosanti»4.
Così parlava Stassov della musica classica dell’Europa occidentale. Per ciò che riguarda la musica borghese contemporanea, che si trova in piena decadenza e degradazione, non vi è nulla da ricavarne. A maggior ragione, sono assurde e ridicole le manifestazioni di servilismo davanti a una musica simile.
Se si studia la storia della nostra musica russa, poi sovietica, si giunge alla conclusione che è sorta, si è sviluppata ed è divenuta una forza possente, proprio perchè è riuscita a stare sui propri piedi e a trovare una sua via di sviluppo, che le hanno dato la possibilità di mettere a nudo la ricchezza del mondo interiore del nostro popolo. Si sbagliano profondamente coloro che pensano che lo sbocciare della musica nazionale russa, come anche quella degli altri popoli sovietici, significa un indebolimento dell’internazionalismo nell’arte. L’internazionalismo non nasce sulla base di un indebolimento e di un impoverimento dell’arte nazionale. Al contrario, l’internazionalismo nasce là dove sboccia l’arte nazionale. Dimenticare questa verità, significa perdere la linea direttiva, perdere l’obiettivo, divenire dei cosmopoliti senza radici. Può apprezzare la ricchezza musicale degli altri popoli solo quel popolo che possiede una cultura musicale molto sviluppata. Non si può essere un internazionalista in musica, come in qualsiasi altra cosa, senza essere un autentico patriota. Se alla base dell’internazionalismo c’è il rispetto degli altri popoli, non si può essere un internazionalista senza rispettare e senza amare il proprio popolo.
Ciò è provato da tutta l’esperienza dell’U.R.S.S. Di conseguenza, l’internazionalismo nella musica, il rispetto dell’opera degli altri popoli, si sviluppano sulla base dell’arricchimento e dello sviluppo dell’arte musicale nazionale, sulla base di un arricchimento tale da dare un contributo agli altri popoli, e non sulla base di un impoverimento dell’arte nazionale, di una cieca imitazione dei modelli stranieri e dell’annullamento delle particolarità del carattere nazionale nella musica. Niente di tutto ciò deve essere dimenticato finchè si parla dei rapporti tra la musica sovietica e la musica straniera.
Continuiamo. Quando si dice che la tendenza formalista si stacca dei principi dell’eredità classica, non si può non parlare dell’indebolimento del ruolo della musica descrittiva. Se ne è già parlato qui, ma l’essenza del principio di questa questione non è stato convenientemente chiarito. È perfettamente evidente che la musica descrittiva ha meno importanza e non ne ha più del tutto. Le cose sono giunte al punto che si è obbligati a spiegare il contenuto di un’opera musicale nuova anche dopo che è stata suonata. Si è formata tutta una nuova professione, quella dei commentatori, reclutati tra gli amici, che si sforzano, in base alle loro congetture personali, di decifrare il contenuto delle opere musicali già suonate, il cui senso oscuro, a quanto si dice, non è per niente chiaro nemmeno agli stessi autori. Dimenticare la musica a programma è lo stesso che staccarsi dalle tradizioni progressiste. Si sa che la musica classica russa era, generalmente, a programma.
Si è parlato qui della volontà di innovare. Si è detto che questa volontà di innovare non era lontana dall’essere il tratto distintivo principale della tendenza formalista. Ma la volontà di innovare non è fine a se stessa; il nuovo deve essere migliore del vecchio, altrimenti non ha ragione di essere. Mi sembra che i partigiani della tendenza formalista utilizzino principalmente questa piccola parola di innovazione al fine di propagandare della cattiva musica. Non si può, pertanto, qualificare come innovazioni tutte le originalità, tutte le smorfie e tutte le capriole nella musica. Se non si vuole contentarsi di lanciare delle parole altisonanti, bisogna chiarire da quale vecchio si sta tentando di allontanarsi e verso quale nuovo bisogna tendere. Se non si fa ciò, allora le frasi sull’innovazione nella musica non vogliono significare che una cosa: revisione dei fondamenti della musica. Ciò non può significare altro che il rifiuto di leggi e norme da cui non ci si può allontanare. E che non ci si possa allontanare, non è conservatorismo; e se ci si allontana, non si fa opera di innovazione. L’innovazione non coincide sempre con il progresso. Si riempie la testa a tanti giovani musicisti con lo spirito di innovazione come con uno spauracchio, dicendo loro che se non sono originali, nuovi, significa che sono prigionieri delle tradizioni conservatrici. Ma siccome innovazione non è sinonimo di progresso, la diffusione di tali opinioni rappresenta una profonda illusione, se non un imbroglio.
Ora, l’«innovazione» dei formalisti non è nemmeno nuova, poichè questo nuovo risente della musica borghese decadente dell’Europa e dell’America contemporanee. Ecco dove bisogna denunciare gli autentici epigoni!
Ci fu un tempo in cui nelle scuole primarie e secondarie, come vi ricorderete, ci si era fissati sul metodo delle «brigate laboratorio» e sul piano «Dalton», secondo i quali il ruolo del maestro a scuola era ridotto al minimo, mentre ogni allievo aveva il diritto, all’inizio della lezione, di fissare il programma della classe. Il maestro, arrivando per la lezione, domandava agli allievi: «Che cosa faremo oggi?». Gli allievi rispondevano: «Parlateci dell’Artico», «Parlateci dell’Atlantico», «Parlateci di Ciapaiev», «Parlateci del Dnieprostroi». Il maestro doveva piegarsi a tutte queste esigenze. Questo si chiamava il metodo della «brigata laboratorio». In effetti, questo significava che tutta l’organizzazione dell’insegnamento era messa sottosopra, poichè gli allievi erano i dirigenti e il maestro diretto. C’erano stati una volta manuali polverosi, il sistema di annotazione su 5 era sparito. Tutto questo costituiva una novità. Ma mi domando, queste novità erano progressiste?
Il Partito, come si sa, ha soppresso queste «novità». Perchè? Perchè queste «novità», molto «a sinistra» nella forma, erano in realtà perfettamente reazionarie e conducevano alla liquidazione della scuola.
Altro esempio. Non molto tempo fa, è stata organizzata un’Accademia delle Belle Arti. La pittura è vostra sorella, una delle Muse. In pittura, come sapete, le influenze borghesi furono forti, a un certo punto; si manifestavano senza sosta sotto la bandiera più «sinistra», si incollavano le etichette di futurismo, di cubismo, di modernismo; «si rovesciava» «l’accademismo putrido», si preconizzava l’innovazione. Questa innovazione si esprimeva in cose da pazzi: si disegnava, per esempio, una donna con una testa su quaranta gambe, un occhio che guardava di qui e l’altro al diavolo. (Ilarità, animazione nella sala).
Come è finito tutto ciò? Con un crollo completo della «nuova tendenza». Il Partito ha pienamente dato la sua importanza all’eredità classica di Repin, di Brullov, di Veresetsciaglim, di Vasnetsov, di Surikov. Abbiamo fatto bene a conservare i tesori della pittura classica e a mettere in disparte i liquidatori della pittura?
La sopravvivenza di simili «scuole» non avrebbe significato la liquidazione della pittura? Per caso il Comitato Centrale, nel difendere la tradizione classica nella pittura, si è comportato da «conservatore», si è trovato sotto l’influenza del «tradizionalismo», dell’«epigonismo», ecc.? Tutto ciò non sta in piedi!
È la stessa cosa per la musica. Noi non affermiamo che l’eredità classica è la vetta assoluta della cultura musicale. Se parlassimo così, significherebbe riconoscere che il progresso è terminato con i classici. Ma fino ad ora, i modelli classici restano insuperati. Ciò vuol dire che bisogna studiare e ancora studiare, prendere dall’eredità classica tutto il meglio di cui abbiamo bisogno per lo sviluppo ulteriore della musica sovietica.
Si parla di epigonismo e di altre futilità, e con queste parole si spaventa la gioventù per distoglierla dall’apprendere dai classici. Si lancia la parola d’ordine che occorre superare i classici. È, evidentemente, giustissimo. Ma, per superarli, bisogna incominciare a raggiungerli, ed è uno stadio che trascurate, come se fosse già una tappa superata. Ma, per parlare sinceramente ed esprimere il pensiero dello spettatore e dell’auditore sovietico, non sarebbe del tutto male se si vedesse apparire presso di noi un po’ più di opere somiglianti ai classici per il contenuto e per la forma, per l’eleganza, la bellezza e la musicalità. Se questo è l’«epigonismo», bene, a dire il vero, non c’è vergogna ad essere un simile epigono!
Una parola sulle deviazioni naturalistiche5. È apparso qui che ci si stacca sempre di più dalle norme naturali e sane della musica. Si fa sempre più posto, nella nostra musica, a elementi di grossolano naturalismo. Ecco come, 90 anni fa, Serov metteva in guardia i suoi contemporanei contro il fascino di un naturalismo grossolano:
«Nella natura ci sono moltissimi suoni differenti per natura e qualità, ma tutti quei suoni che in certi casi si chiamano rumore, rotolio, fracasso, scricchiolio, sciacquio, grugnito, ronzio, tintinnio, urlio, stridio, fischio, favella, borbottio, brusio, mormorio, ecc., e altre circostanze che non possono esprimersi con il linguaggio, tutti questi rumori o non entrano per niente nella composizione della lingua musicale, o ci entrano a titolo eccezionale (suoni di campane, cimbali, triangoli, rullio di tamburo, di timpano, ecc.).
«La materia propriamente musicale è un suono di qualità particolare...»
6.
Non è vero, non è giusto che il suono dei cimbali o il rullio del tamburo deve essere l’eccezione e non la regola in un’opera musicale?! Non è chiaro che non ogni rumore naturale deve essere trasferito in un’opera musicale?! Ora, quanto insolente attaccamento per un naturalismo volgare, che rappresenta senza dubbio un passo indietro!
Bisogna dire chiaro e tondo che tutta una serie di opere contemporanee sono a tal punto strapiene di rumori naturalisti che ricordano, scusate l’ineleganza dell’espressione, sia il trapano del dentista, sia una camera a gas musicale. Semplicemente sono le forze che mancano, fate attenzione! (Ilarità, applausi).
È qui che si comincia a uscire dai limiti del razionale, dai limiti non solo delle normali emozioni umane, ma anche dalla ragione dell’uomo normale. Vi sono, è vero, oggi delle «teorie» di moda, che pretendono che lo stato patologico sia una forma superiore dell’umanità e che gli schizofrenici e i paranoici, nel loro delirio, possono raggiungere altezze spirituali cui non giungerà mai un uomo normale. Queste «teorie» sono, evidentemente, non accidentali, sono molto caratteristiche dell’epoca di putrefazione e decomposizione della cultura borghese. Ma lasciamo tutte queste «ricerche» ai pazzi, pretendiamo dai nostri compositori una musica normale, umana.
Quale è il risultato del dimenticare le leggi e le norme della creazione musicale? La musica si è vendicata degli sforzi per snaturarla. Quando la musica perde ogni contenuto, ogni qualità artistica, quando diventa inelegante, brutta, volgare, e cessa di soddisfare i bisogni per cui esiste, cessa di essere se stessa.
Vi stupite forse che al Comitato Centrale del Partito si pretenda dalla musica bellezza ed eleganza. Che cosa succede allora?! Ebbene no, non è un lapsus, dichiariamo di essere per una musica bella ed elegante, una musica capace di soddisfare i bisogni estetici e i gusti artistici dei Sovietici, e questi bisogni e questi gusti sono incredibilmente cresciuti. Il popolo apprezza il talento di un’opera musicale nella misura in cui essa riflette profondamente lo spirito della nostra epoca, lo spirito del nostro popolo, nella misura in cui è accessibile alle larghe masse. Che cosa è dunque geniale in musica? Non è affatto quello che può apprezzare solo un individuo o un piccolo gruppo di esteti raffinati; un’opera musicale è tanto più geniale quanto più il contenuto è ricco e profondo, più la maestria è alta, più grande è il numero di quelli che la riconoscono, il numero di quelli che è capace di ispirare. Non tutto ciò che è accessibile è geniale, ma tutto ciò che è veramente geniale è accessibile; e un’opera sarà tanto più geniale quanto più sarà accessibile alle grandi masse del popolo.
A. N. Serov aveva profondamente ragione quando diceva: «Contro la vera bellezza in arte il tempo è impotente, altrimenti non si amerebbero più nè Omero, Dante o Shakespeare, nè Raffaello, Tiziano o Poussin, nè Palestrina, Haendel o Gluck...»7.
Un’opera musicale è tanto più alta, quando fa entrare in risonanza più corde dell’animo umano. L’uomo, dal punto di vista della sua percezione musicale, è una membrana meravigliosamente ricca, un ricevitore che lavora su migliaia di onde — si può, senza dubbio, scegliere un paragone migliore — e per commuoverlo non basta una sola nota, una sola corda, una sola emozione.
Se un compositore non è capace di far vibrare che una o qualcuna delle corde umane, ciò non basta, perchè l’uomo moderno e soprattutto il nostro, l’uomo sovietico, si presenta oggi come un organismo percettivo estremamente complesso. Se Glinka, Ciaikovski, Serov hanno parlato dell’alto sviluppo del senso musicale nel popolo russo, al tempo in cui si esprimevano così, il popolo russo non aveva ancora una vasta idea della musica classica. Sotto il potere sovietico, la cultura musicale del popolo si è straordinariamente sviluppata; già oggi il suo gusto artistico si è arricchito in seguito alla diffusione della nostra musica. Se avete lasciato impoverire la musica, se, come è accaduto nell’opera di Muradeli, non sono utilizzate nè le possibilità dell’orchestra nè le attitudini dei cantanti, allora avete smesso di soddisfare i bisogni musicali dei vostri uditori. Si raccoglie quello che si è seminato. I compositori le cui opere sono incomprensibili al popolo non devono aspettarsi che il popolo, che non ha compreso la loro musica, «si elevi» fino a loro. Il popolo non ha bisogno di musica che non riesce a comprendere. I compositori devono prendersela non con il popolo, ma con se stessi, devono fare la critica del loro proprio lavoro, capire perchè non hanno soddisfatto il loro popolo, perchè non hanno meritato la sua approvazione, e quello che devono fare per essere compresi e vedere le loro opere approvate.
Ecco in che senso bisogna riformare il vostro lavoro. Non è forse così?
Voci dal pubblico: Giusto.
Zdanov: Inoltre, correte il rischio di perdere l’abilità nella vostra professione. Se le deviazioni formaliste impoveriscono la musica, esse comportano ancora un altro pericolo: quello di rovinare l’abilità professionale. A questo proposito, mi è necessario soffermarmi su di un errore molto diffuso, secondo il quale la musica classica sarebbe più semplice e la musica moderna più complessa, considerando la complicazione della tecnica contemporanea come un passo in avanti, dato che tutto lo sviluppo va dal semplice al complesso e dal particolare al generale. Non è vero che ogni complicazione significa maggiore maestria. No, non comunque. È un grave errore prendere ogni complicazione per un progresso. Ne darò un esempio: si sa che la lingua letteraria russa utilizza un gran numero di parole straniere, si sa come Lenin prendeva in giro l’abuso di tali termini, e come combattè per epurare la lingua nazionale dai prestiti che l’ingorgavano. La complicazione della lingua per l’introduzione di una parola straniera, là dove vi è la possibilità di usare la parola russa, non è mai passata per un progresso linguistico. Per esempio, la parola straniera «losung» (parola d’ordine) è sostituita oggi dalla parola russa corrispondente, «prisyv»; questo non costituisce un passo in avanti?! Lo stesso in musica. Sotto la maschera di una complicazione puramente esteriore, si nasconde una tendenza all’impoverimento della musica. La lingua musicale diviene inespressiva. Vi si introducono tanti elementi grossolani, volgari, falsi, che essa cessa di rispondere al suo scopo: procurare un godimento. Il significato estetico della musica deve dunque essere abolito? È in questo, ditemi, che consiste l’innovazione? Oppure la musica diviene una conversazione del compositore con se stesso? Ma allora perchè imporla al popolo? Questa musica diviene antipopolare, strettamente individualista, e il popolo ha il diritto di divenire, e in effetti lo diviene, indifferente al suo destino. Se si esige dall’auditore che lodi una musica grossolana, inelegante, volgare, fondata su stonature, su dissonanze continue, quando le consonanze diventano un caso particolare, e le false note e la loro combinazione la regola, significa che ci si è allontanati dalle norme fondamentali della musica. Tutto ciò, nell’insieme, minaccia la musica di liquidazione, proprio come il cubismo e il futurismo in pittura rappresentano nient’altro che una minaccia di distruzione della pittura. Una musica che volontariamente ignora le emozioni umane normali e scuote la psiche e il sistema nervoso, non può essere popolare, non può essere al servizio della società.
Si è parlato qui di un attaccamento unilaterale per la musica sinfonica strumentale senza testo. Questo dimenticare la diversità dei generi musicali non è giusto. A cosa conduce, lo si può giudicare dall’opera di Muradeli. Vi ricordate come i grandi maestri dell’arte variassero generosamente i generi? Comprendevano che il popolo domandava la diversità. Perchè siete così diversi dai vostri grandi predecessori? Siete insensibili rispetto a loro che, occupando le cime dell’arte, scrivevano per il popolo, a solo, cori e musica orchestrale.
Parliamo della sparizione della melodia nella musica. La musica contemporanea è caratterizzata dall’amore unilaterale per il ritmo, a spese della melodia. Ma sappiamo che la musica dà piacere solo quando tutti i suoi elementi, la melodia, il canto, il ritmo, si trovano in una certa unione armoniosa. L’attenzione unilaterale accordata a uno di essi a spese di un altro porta a distruggere la corretta interazione dei diversi elementi della musica, cosa che non può, evidentemente, essere accettata da un orecchio umano normale.
Ci si lascia anche andare a utilizzare gli strumenti fuori dalla loro propria destinazione; il piano, per esempio, si cambia in strumento a percussione. Si riduce il ruolo della musica vocale a beneficio di uno sviluppo unilaterale della musica strumentale. La musica vocale stessa tiene sempre meno conto delle norme dell’arte vocale. Le osservazioni critiche dei cantanti, qui espresse dalla compagna Dzerginskaia e dal compagno Katulski, devono essere prese in considerazione molto seriamente.
Molte deroghe rispetto alle norme dell’arte musicale significano violazione non solo delle basi funzionali normali del suono musicale, ma anche delle basi psicologiche dell’orecchio umano normale. Purtroppo, non si è ancora abbastanza indagato il campo della teoria che tratta dell’influenza psicologica della musica sull’organismo umano. Tuttavia, bisogna ammettere che una musica brutta, disarmonica, lede senza alcun dubbio l’attività psico-fisiologica dell’uomo.
Conclusioni. Bisogna ristabilire pienamente l’importanza dell’eredità classica, bisogna ristabilire una musica umana normale. Bisogna sottolineare il pericolo di liquidazione che l’orientamento formalista fa correre alla musica e condannare questa tendenza come un tentativo alla Erostrato per distruggere il tempio dell’arte, costruito dai grandi maestri della cultura musicale. Bisogna che tutti i nostri compositori si trasformino e si volgano verso il nostro popolo. Bisogna che tutti si rendano conto che il Partito, che esprime gli interessi del nostro Stato, del nostro popolo, non sosterrà che la tendenza sana, progressiva della musica, quella del realismo socialista sovietico.
Compagni! Se l’alta dignità di compositore sovietico vi è cara, dovete mostrare che siete capaci di servire il vostro popolo, meglio di quanto abbiate fatto finora. Un serio esame vi attende. La tendenza formalista in musica è stata condannata dal Partito già da 12 anni. Nel corso di questo periodo, il governo ha ricompensato, con il premio Stalin, alcuni di voi, compresi certuni che avevano peccato di formalismo. Queste ricompense erano un invito. Noi non credevamo, pertanto, che le vostre opere fossero esenti da errori, ma pazientavamo, aspettando che i nostri compositori trovassero, in se stessi, la forza per scegliere la strada giusta. Ma ora, ognuno vede che l’intervento del Partito era necessario. Il Comitato Centrale vi dichiara senza ambiguità che sulla via da voi scelta, la nostra musica non avrà gloria. I compositori sovietici hanno dei compiti di responsabilità al più alto grado. Il principale, è sviluppare e perfezionare la musica sovietica. L’altro consiste nel difendere la musica sovietica contro l’intrusione degli elementi della decadenza borghese. Non bisogna dimenticare che l’U.R.S.S. è attualmente l’autentica depositaria della cultura musicale universale, come anche in tutti gli altri campi è il baluardo della civiltà e della cultura umana contro la decadenza borghese e la decomposizione della cultura. Bisogna aspettarsi che alle influenze borghesi venute da oltre frontiera facciano eco delle sopravvivenze del capitalismo nella coscienza di qualche rappresentante dell’intellettualità sovietica, dove si traducono in sforzi di una folle leggerezza per barattare i tesori della musica sovietica contro lo stracciume dell’arte borghese contemporanea. Così, non è solo l’orecchio musicale, ma anche l’orecchio politico dei compositori sovietici che deve essere più sensibile. I vostri legami con il popolo devono essere più stretti che mai. Dovete tendere alla critica un orecchio molto attento. Dovete seguire i processi che si sviluppano nell’arte occidentale. Ma il vostro compito non consiste solo nell’impedire la penetrazione delle influenze borghesi nella musica sovietica. Il vostro compito consiste nel confermare la superiorità della musica sovietica, nel creare una possente musica sovietica, che incorpori quanto vi è di meglio nel passato della musica, che rifletta la società sovietica di oggi e possa elevare ancora più in alto la cultura del nostro popolo e la sua coscienza comunista.
Noi bolscevichi non rifiutiamo l’eredità culturale. Al contrario, assimiliamo con spirito critico l’eredità culturale di tutti i popoli, di tutte le epoche, per affermarne tutto ciò che può ispirare ai lavoratori della società sovietica grandi azioni nel campo del lavoro, della scienza e della cultura. Dovete aiutare il popolo in questo: se non vi proponete questo compito, se non vi dedicate ad esso interamente, con tutto il vostro ardore e il vostro entusiasmo creativo, allora non assolverete al vostro ruolo storico.
Compagni, vogliamo, auspichiamo appassionatamente di avere anche noi «Cinque Grandi», che i nostri musicisti siano più numerosi e più forti di quelli che hanno un tempo meravigliato il mondo con il loro talento e fatto onore al nostro popolo. Per essere forti, dovete gettare via dalla vostra strada tutto ciò che può indebolirvi, e scegliere le sole armi che vi aiuteranno a essere forti e possenti. Se utilizzate a fondo l’eredità della geniale musica classica e nello stesso tempo la sviluppate, nello spirito delle nuove esigenze della nostra grande epoca, sarete i «Cinque Grandi» sovietici. Vogliamo che il ritardo di cui soffrite sia recuperato il più presto possibile, che vi riformiate e trasformiate in gloriosa coorte dei compositori sovietici, orgoglio di tutto il popolo sovietico. (Applausi vivissimi, prolungati).

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1 Il formalismo in musica non è altro che il riflesso del formalismo letterario. I formalisti ritenevano che l’arte fosse pura «convenzione» e «finzione». Il formalismo letterario ebbe una grande importanza in Russia, soprattutto dal 1914 al 1930. I più importanti critici formalisti furono Slovskij, Jakobson, Propp.
2 I Cinque Grandi, detti anche il gruppo vigoroso, sono Balakiriev, Mussorgski, Borodin, Rimsky-Korsakov, Curz.
3 A. N. Serov, Articoli critici, vol. III, p. 1391.
4 V. V. Stassov, Opere scelte in due volumi, vol. II, p. 223.
5 Naturalisti sono coloro che ritengono scopo dell’arte rappresentare la realtà così com’è, nella sua «media quotidiana», senza ulteriori elaborazioni. In musica, com’è chiaro, questo significa un puro e semplice rispecchiamento dei rumori naturali.
6 A. N. Serov, Articoli critici, vol. I, p. 504.
7 A. N. Serov, Articoli critici, vol. II, p. 1036.


Edited by Andrej Zdanov - 6/10/2012, 21:24
 
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Nikolaj Enveric Dimitrov
view post Posted on 29/7/2012, 16:06




Magnifico e illuminante intervento del Compagno Zdanov. La decadenza borghese va combattuta in ogni ambito culturale come segno ineluttabile della necessità di armonioso ( è il caso di dirlo) rinnovamento.

Edited by - Nikolaj - - 26/6/2013, 23:57
 
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1 replies since 10/7/2012, 14:39   802 views
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