Archivio Ždanov

Il pensiero di Nikolaj Černyshevskij

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 23/1/2024, 22:36
Avatar

Junior Member

Group:
Member
Posts:
33
Location:
Profondo Est

Status:


Il pensiero di Nikolaj Černyshevskij


Il pensiero di Nikolaj Černyshevskij è stato il costante punto di riferimento ideologico del movimento populista della seconda metà del XIX secolo, che ebbe in Narodnaja volja la sua espressione più compiuta e drammatica, e ha continuato ad agire da elemento catalizzatore anche dopo, in figure centrali della Rivoluzione d'Ottobre come Lenin. Intellettuale versatile, poliglotta, grande erudita, dovette spesso consegnare alle sole forme di scrittura che gli furono consentite dalla censura zarista, quali la critica letteraria e il romanzo, le sue riflessioni di carattere prevalentemente politico e sociale, formatesi in antitesi netta con l'allora dominante pensiero idealistico. La riflessione che Černyshevskij portò avanti specialmente dalle pagine del Sovremennik, toccò i vari campi del sapere, e se da un lato questo fatto testimonia la ricchezza dei suoi studi, dall'altro ciascuno di essi finiva con il conclamare la necessità di una nuova morale, di modo che la battaglia che quasi solitario lo vide opporsi all'autocrazia può dirsi riconducibile a quest'unico fine, che rappresenta il suo interesse più autentico e quasi assoluto. La sua opera più nota è il romanzo "Che fare?".

L'estetica

"I rapporti estetici tra arte e realtà" è il titolo della tesi che Černyshevskij, per conseguire il titolo accademico di dottore (in russo: magistr nauk;, cioè dottore in scienze) [1 iin Scienze storiche e filologiche presso la facoltà di Filosofia, scrisse entro il 1853, ma che discusse e pubblicò solo due anni dopo, quando, morto lo zar Nicola I, sembrarono aprirsi spiragli di libertà maggiori e conclusioni ardite, quali quelle proposte dal candidato, potevano essere esposte pubblicamente. Lo studio sovverte le basi ideologiche della teoria estetica allora dominante, di derivazione hegeliana, e dichiara la realtà più importante della rappresentazione artistica. Alla pretesa idealistica secondo cui la realtà deve conformarsi a un'idea astratta di bellezza, Černyshevskij replica che la misura del sublime non risiede in una superiore realtà spirituale, bensì nella natura stessa, e che lungi dall'essere assoluta, è storicamente e socialmente determinata. Come esempio Černyshevskij assume il modello di bellezza femminile: se gli strati alti della società considerano piacente la donna pallida e sottile, quelli bassi propendono per il tipo robusto e dalle guance vermiglie, vedendo nell'immagine precedente una persona malata invece che attraente. L'ideale di bellezza è dunque influenzato dalla vita reale delle persone, sono le condizioni e le modalità in cui la vita si sviluppa a creare il sentimento estetico. Esso deve soddisfare non l'ideale, ma il reale, non il «surrogato» della vita, quanto la vita medesima, mai perfetta e nondimeno sempre più ricca e luminosa del mero prodotto dell'immaginazione. In fondo si tratta di distinguere l'artificioso dal reale, la menzogna dalla verità, e il criterio per avere la certezza di non sbagliare è l'esperienza, «somma rilevatrice di inganni, che disincanta non solamente nelle questioni pratiche, ma anche negli affari di cuore e di pensiero».[2].
Protetto dal paravento dell'estetica, Černyshevskij affrontava invero altre questioni. Ciò che più gli premeva era esortare il lettore a rinunciare alle fantasticherie romantiche, frutto di una misera realtà, ad abbandonare i sogni che nascono sempre quando una persona si pone in una «falsa posizione», a non lasciarsi abbacinare dalle irrilevanti perfezioni dello stile, e a lavorare per costruirsi, al contrario, una «concezione pratica» della vita, più utile dei vani discorsi intorno alla letteratura per crescere come individuo.[3]. «L'apologia della realtà in confronto della fantasia, la tendenza a mostrare che le opere d'arte non possono assolutamente sostenere il confronto con la viva realtà, ecco la sostanza di questa dissertazione. Ma parlare così dell'arte non significa abbassare l'arte? Sì, se dimostrare che l'arte è inferiore alla vita reale per perfezione artistica delle sue opere, significa abbassare l'arte; ma insorgere contro i panegirici non vuol dire ancora essere un denigratore. La scienza non pensa di essere al di sopra della realtà, e questa non è per lei una vergogna. Neppure l'arte deve pensare di essere superiore alla realtà; ciò non è per essa umiliante. Che nemmeno l'arte si vergogni di riconoscere che il suo scopo è di riprodurre secondo le forze, questa preziosa realtà e di spiegarla per il bene dell'uomo» [2].

La critica letteraria

Černyshevskij non aveva mai voluto creare una nuova estetica, ma semplicemente dichiararne l'irrilevanza, a fronte, invece, della grande funzione che riconosceva alla letteratura come fattore di attrazione della vita intellettuale del paese. Depurata dalle insignificanti questioni estetiche, la letteratura doveva riempirsi di contenuto, militare al servizio degli interessi popolari, interpretare al meglio il proprio ruolo educativo in un sistema politico repressivo, che non consentiva altri veicoli per la trasmissione delle idee: «Nelle nazioni dove la vita spirituale e sociale ha raggiunto un alto sviluppo esiste, se ci si può così esprimere, una divisione del lavoro tra i vari rami dell'attività mentale, mentre noi ne conosciamo solo uno, la letteratura» [4]. La responsabilità di educare il popolo imponeva ai rappresentanti della cultura di non celebrare il folklore popolare come elemento genuino nato dal suo seno e quindi espressione di una tradizione tutta nazionale, giacché «i barbari son tutti simili tra di loro, mentre ciascuna delle nazioni colte si distingue per una personalità nettamente disegnata». Che i motivi ricorrenti nel folklore siano comuni a tanti popoli è verità scoperta dai fratelli Grimm dopo anni di studi nei quali avevano cercato di dimostrare l'originalità dei tedeschi rispetto ai francesi, per poi arrendersi all'evidenza che il carattere veramente nazionale non passa dalle tradizioni popolari [5]. Non che Černyshevskij si accontenti di denunciare l'assenza di una tradizione autenticamente nazionale nella produzione popolare, per togliere agli slavofili l'argomento prediletto in favore del culto da loro professato del popolo, in quanto chiarisce che questo genere di esaltazione non fa altro che «confinare il popolo in un piano di cultura inferiore», mentre era necessario sprovincializzarlo e renderlo partecipe di un movimento di pensiero più ampio e formativo.
Le idee sviluppate nella tesi di dottorato concorsero alla nascita di una nuova critica letteraria, di stampo «realista», che avrebbe dovuto dare precedenza, nell'analisi dei testi, all'esposizione dei bisogni autentici degli esseri umani, come il desiderio di amore, di giustizia, di una vita migliore per sé e per gli altri, molto più sentiti dell'aspirazione al bello. Ne i Saggi del periodo gogoliano della letteratura russa, del 1856, Černyshevskij fa la storia della critica del suo Paese in quel momento cruciale che furono gli anni '40, segnati da Belinskij, un maestro per le future generazioni, colui che aveva avvicinato la letteratura nazionale all'Occidente, sostenendo senza paura che era meglio imitare l'Europa piuttosto che continuare ad esaltare, sulla scia degli slavofili, le tradizioni popolari. Quindi Černyshevskij indica in Gogol' l'esempio più alto di autore in grado di portare una profonda riflessione sulla realtà sociale della Russia, assistito da un linguaggio peculiare, sempre in bilico tra il comico e il tragico, e pertanto di fare della letteratura un mezzo per comprenderla. Nel medesimo anno, il 1856, Černyshevskij scriveva il saggio "Aleksandr Sergeevič Pushkin: la sua vita e le opere", nel quale tenta la difficile operazione di rinnovare l'immagine del grande poeta, ferma all'epoca, non essendo di pubblico dominio la produzione libertaria e i suoi rapporti con i decabristi, a quella di splendido «cantore della "beltà eterna" della natura e della grazia femminile», mettendone in rilievo il vero valore.
« Sulle prime i lettori furono colpiti dalle doti artistiche delle poesie e dei poemi..., ma in seguito, a poco a poco cominciarono ad appassionarsi a un'altra qualità delle sue opere. Questa qualità importantissima era costituita dal fatto che per primo Pushkin prese a descrivere i costumi e la vita dei diversi ceti del popolo russo manifestando sorprendente veridicità e acume. Cosa che prima di lui nessuno aveva mai fatto. I suoi predecessori molto raramente avevano scelto a oggetto dei propri racconti la vita russa e, comunque, l'avevano descritta in modo innaturale e impreciso». Pushkin aveva preparato il terreno per l'avvento di Gogol' e non era né, come sosteneva Družinin, il campione dell'arte pura né, come ritenuto dai liberali, in riferimento all'Onegin, un assertore dell'indifferentismo sociale. La convinzione che la letteratura fosse, in un paese arretrato, lo strumento migliore atto a garantirne la crescita spirituale, è ribadita da Černyshevskij nella biografia incompiuta, pubblicata a puntate sul Sovremennik, di Lessing, cui viene riconosciuto il merito di aver dato alle lettere tedesche «la forza di essere il centro della vita nazionale», e di aver così contribuito ad accelerare l'ingresso della Germania nella modernità [6]. Questo lavoro del 1857 non fu ultimato perché l'attenzione del suo autore si era spostata sulla riforma contadina avviata dallo zar in un clima di relativa libertà d'espressione, circostanza che gli consentì di abbandonare la critica letteraria e di lasciare quella che per lui era sempre stata un'occupazione di ripiego alla penna corrosiva del giovane amico Dobroljubov.

La difesa dell'obshčina

Černyshevskij prese a farsi paladino della comune contadina sul Sovremennik, nei numeri 9 e 11 del 1857, in un saggio dal titolo "Sulla proprietà fondiaria", dove critica le posizioni liberali di economisti quali Jean-Baptiste Say e Frédéric Bastiat, che ritengono la proprietà privata lo stadio superiore e ultimo del processo storico, richiamandosi ad Adam Smith che, nel terzo libro de "La ricchezza delle nazioni", spiega come dopo la caduta dell'Impero romano, il passaggio da una forma all'altra dei rapporti di occupazione della terra (servitù, colonia parziale, affittanza) era stato determinato dal sempre maggior grado di interesse manifestato dal coltivatore nell'accrescimento della produttività del suolo. Ora — osserva Černyshevskij — nei paesi europei in cui il capitalismo si era ormai affermato, ossia la Francia e l'Inghilterra, questo principio non era rispettato. In Francia, dove era assai diffusa la piccola proprietà terriera, i contadini non avevano risorse sufficienti da investire nelle migliorie e la redditività non poteva crescere; mentre in Inghilterra, dove era dominante il sistema del farmer a contratto, si arrivava al paradosso che, se la produzione saliva, grazie al lavoro del contadino che pure vi aveva impiegato suoi capitali, al momento di firmare un nuovo contratto, questi si trovava a dover pagare un canone superiore al precedente, in proporzione all'avvenuto potenziamento dello sfruttamento del terreno. Ne conseguiva che il contadino a contratto non poteva avere un reale interesse nel far sì che la terra fruttasse di più, considerando che dei benefici veniva a goderne il proprietario e non lui. Quanto poi alla maggioranza della popolazione agraria, era costituita da miseri braccianti [7]. Sul tema Černyshevskij sarebbe tornato con il saggio "Critica dei pregiudizi filosofici contro la proprietà comunitaria della terra", pubblicato un anno dopo il precedente sul numero 12 del Sovremennik, facendo la teoria della superiorità del modo di produzione collettivistico della terra in reazione ai fautori della proprietà privata. Non che intendesse porsi nel solco degli slavofili, alfieri acritici dell'obshčina come di un’istituzione da preservare solo perché parte della tradizione popolare, volendo egli difendere il principio del lavoro comune senza mitizzare l’organizzazione reale «di tali vestigia dell’antichità primitiva» [8]. Lo scopo era andare oltre gli slavofili e i liberali per avvalorare l’inevitabilità di un terzo stadio di sviluppo, capace di «unire il vantaggio dell'agricoltore al miglioramento della terra e all'ottimizzazione della produzione».
Nel saggio, la difesa della comunità agraria su basi scientifiche procede attraverso la formulazione di due assiomi che Černyshevskij, con l’abituale ironia, cerca di rendere d’immediata comprensione, non tanto all'avveduto lettore quanto all'avversario liberale dalla scarsa sagacia, corredandoli con una serie di esempi tratti dalle diverse branche del sapere e sfere della vita. Il primo assioma, la cui struttura è un’esposizione del processo dialettico triadico hegeliano, è così enunciato: «In quanto alla forma, lo stadio superiore dello sviluppo è analogo al momento iniziale da cui ha avuto origine». Relativamente alla questione agraria, quindi, a un primo stadio che vide presso tutti i popoli primitivi, pressoché nomadi e privi di solidi legami con un apprezzamento specifico, il possesso comunitario della terra, ne è succeduto un secondo, fondato sulla proprietà privata, che ha contribuito ad aumentare la produzione attraverso investimenti mirati di denaro e lavoro, cui dovrà subentrarne un terzo in grado di conciliare gli interessi del lavoratore con la crescita della produzione. Nel riproporre la forma collettivistica del primo stadio, il terzo se ne discosterà tuttavia nel contenuto, caratterizzato da un'incomparabile maggiore crescita. Tra gli esempi portati da Černyshevskij a supporto della sua tesi, citiamo: in biologia, la massa cerebrale si presenta gelatinosa nella forma, a somiglianza dello stadio inferiore della vita animale rappresentato dai molluschi, mentre il secondo vede la preminenza della carne come «elemento principale del regno animale» [9]. In filologia, tutte le lingue partono da una condizione in cui sono assenti coniugazioni e declinazioni e le parole non subiscono modificazioni di sorta in relazione alla loro funzione grammaticale, poi appaiono e si incrementano le flessioni, finché non si torna alla semplificazione originaria, e infatti nell'inglese moderno, come nella lingua cinese, simile a quelle arcaiche, «io vado a casa», si dice allo stesso modo, «io andare casa» [10]. il commercio, presso le tribù primitive era libero dai dazi doganali, poi per proteggere lo sviluppo dell’industria nazionale fu introdotto il protezionismo, ed ecco che economisti del calibro di Robert Peel rilanciavano di nuovo la libertà di scambio [11]. Sempre quindi ricompare la forma primitiva, solo che le ragioni che decidono il suo ritorno «al termine dello sviluppo e le cause che ne hanno determinato l’esistenza al suo inizio sono diametralmente opposte. Raggiungendo un certo grado di intensità, quelle stesse circostanze che, ad un grado inferiore, erano contrarie alla forma primitiva, si trasformano inevitabilmente in condizioni del suo ripristino» [12].
Il secondo assioma recita: «Sotto l’influenza dell’alto livello di sviluppo che un dato fenomeno della vita sociale ha raggiunto nei popoli progrediti, questo fenomeno può, presso gli altri popoli, godere di un rapido sviluppo ed elevarsi dal grado inferiore direttamente al superiore, evitando i momenti logici intermedi». Per chiarire il suo pensiero, Černyshevskij illustra il lungo processo che in natura porta il legno alla combustione: umidità, decomposizione, fermentazione, essiccazione, formazione del carbone nero, sua modificazione in carbone ardente, apparizione della fiamma. Ciascuno stadio è un momento logico del processo di combustione. Ma la modernità conosceva il fiammifero di fosforo, e questa scoperta consentiva il salto dal primo stadio direttamente all’ultimo, senza dover superare i gradi intermedi. È ovvio che una volta inventato il fiammifero, nessuno per accendere il fuoco avrebbe atteso il compiersi del processo naturale di combustione del legno. Precisamente, il fiammifero avrebbe agito da fattore di accelerazione. Lo stesso poteva dirsi per i fenomeni della vita individuale e sociale. Un popolo arretrato che non aveva cognizione dello sviluppo industriale, doveva farne per forza esperienza diretta e tollerarne gli effetti negativi quando, avendo dimostrato la veridicità del primo assioma, tale sistema sarebbe stato abbandonato per tornare al modello comunitario primitivo? Questo popolo doveva necessariamente affrontare tutte le fasi del processo storico? No, non doveva, perché avrebbe agito su di esso come forza di accelerazione il contatto con il popolo progredito, che aveva già compiuto l'intero percorso [13]. In sintesi, conclude Černyshevskij, «la storia come una nonna, ama straordinariamente i nipotini più piccoli», e a loro non dà semplici ossa, ma quelle del midollo spinale [14]. Furono così poste da Černyshevskij le basi teoriche, poi acclamate e fatte proprie dal movimento populista coevo e successivo all'andata nel popolo, del passaggio rapido della Russia al socialismo, beneficiando delle conquiste tecniche del capitalismo senza che i lavoratori ne dovessero subire per forza i drammatici contraccolpi. Il ruolo del fiammifero, ovvero il fattore di accelerazione nella contingenza specifica, sarebbe stato rappresentato dalla rivoluzione contadina.

Il pensiero economico e l'ideale socialista

All'inizio del 1860 Černyshevskij si dedicò allo studio dell'economia politica che lo portò a concludere come il capitalismo fosse uno stadio transitorio e innaturale del processo produttivo. Non approfondì le dinamiche della produzione capitalistica, ma ne colse l'essenziale, gli elementi di progresso e quelli negativi. Bersaglio privilegiato della sua polemica sono i liberali che, fautori del laissez-faire, non vogliono l’intervento dello Stato in economia. Ma in Russia — fa notare Černyshevskij — l'economia era nelle mani dello Stato e discutere se dovesse o meno intervenire nelle questioni economiche era una perfetta perdita di tempo. In linea di principio egli stesso non era contrario al laisser faire, tuttavia solo in caso di elevata produttività e di alto rendimento del lavoro, cioè di benessere reale goduto dalla manodopera, fatto che avrebbe reso superflua l'ingerenza statale in economia. In generale però lo Stato doveva prendere provvedimenti per abbattere i monopoli, concepiti al fine di contrastare la concorrenza, e per garantire una divisione più equa della ricchezza. Nel caso particolare poi della Russia, l'azione del governo era indispensabile per assicurare la sopravvivenza della comune contadina, essendo l'agricoltura la principale voce produttiva del paese. In "Capitale e lavoro", Černyshevskij oppone al libero mercato l'economia razionale del socialismo, estrinsecazione degli interessi del popolo lavoratore che prende coscienza di essere altro dal ceto medio. Tale riflessione si puntualizzò nel 1861 quando Černyshevskij iniziò la traduzione dei "Principi dell'economia politica" di John Stuart Mill, fermandosi al primo libro corredato da un apparato di note, in cui circostanziava il proprio pensiero, mentre gli altri quattro si limitò a commentarli attraverso una scelta di brani. Il capitalismo gli appare un sistema ingiusto e contraddittorio, che sfrutta l'aumento della produzione per l'esclusivo vantaggio del capitale, serbando al lavoratore i soli mezzi atti a garantirne la sopravvivenza. La miseria così generata è considerata da Černyshevskij un ostacolo all'ulteriore sviluppo della produzione, in perenne balìa delle fluttuazioni del mercato.
Al modo di produzione capitalista doveva succedere quello socialista che, nella sua visione, è regolato dai bisogni reali, precedentemente definiti. I produttori avrebbero lavorato tanto quanto occorreva a soddisfarli, quindi ogni lavoratore sarebbe venuto a godere, in egual misura, dei benefici conseguenti l'aumento della produzione [15]. La comunità rurale in ambito agricolo e il cooperativismo in quello industriale e manifatturiero avrebbero combinato lo sviluppo della produzione su larga scala con il benessere delle classi lavoratrici. Il socialismo così inteso può essere definito utopistico solo nell'accezione marxista del termine, che vede nel proletariato la classe deputata a realizzare la rivoluzione, giacché, diversamente dai massimi esponenti di questa dottrina come Fourier e Owen, per Černyshevskij la trasformazione della società su basi egualitarie non può avvenire da sé, senza il rovesciamento dell'ordine costituito. Occorre infine sottolineare che, grazie all'obshčina, i contadini russi erano ideologicamente più affini al proletariato, nel rivendicare il possesso comune dei mezzi di produzione, che ai propri pari europei, maggiormente sensibili all'idea della proprietà privata, e che pertanto la rinascita morale e sociale del Paese, mediante un atto rivoluzionario, poteva a ragione essere fondata su di loro [16].

Il materialismo e il principio etico dell'egoismo razionale

Desiderando contrapporsi sia alla metafisica tradizionale che al meccanicismo di stampo cartesiano, il quale inserisce nella realtà il dualismo della res cogitans e della res extensa, Černyshevskij afferma, sulla scia dei lavori di Jacob Moleschott, la perfetta unità della materia, organica e inorganica. In una lettera scritta da Viljujsk ai figli, sintetizza il suo materialismo in questi termini: «Tutto ciò che esiste è materia. La materia possiede delle qualità [17]. La manifestazione delle qualità sono le forze [18]. Tutto ciò che definiamo leggi di natura sono i modi di agire di queste forze». Černyshevskij sviluppò la propria concezione filosofica in un saggio edito nel 1860 sui numeri 4 e 5 del Sovremennik, dal titolo "Il principio antropologico in filosofia", che aveva l'aspetto di una recensione poco lusinghiera al libro di Lavrov, "Saggi su questioni di filosofia pratica" (Očerki voprosov praktičeskoj filosofii), accusato di eclettismo e, in ultima analisi, di andare a raccogliere impressioni da ogni dove senza poter proporre al pubblico un pensiero coerente. Al di là dell'immediato — e ingannevole — spirito polemico, nonché dello stile prolisso che sembra non voler mai giungere al nocciolo della questione, lo scritto è il maggior contributo reso in ambito filosofico da Černyshevskij, quello in cui porta a compimento la protesta contro la morale ufficiale, rea di mortificare l'individuo e di comprimerne le spinte ideali entro gli angusti limiti di un ordine religioso e poliziesco, per fondare una nuova etica che fosse congrua alla sfida di radicale rinnovamento imposta dai tempi. Il materialismo inteso in senso monistico gli consentiva di poter trasferire nel campo delle scienze morali lo stesso determinismo presente nelle scienze naturali, e in questo precisamente si compone il significato del principio antropologico: «Il lettore ha potuto capire in cosa consiste tale principio... consiste nel fatto che l'uomo deve essere ritenuto un essere unico che ha una sola natura, per non scindere la vita umana in due metà che appartengono a differenti nature e per considerare ogni aspetto dell'attività umana come un'attività di tutto il suo organismo dalla testa ai piedi inclusi» [19]. Feuerbach aveva già restituito all’uomo, liberato da ogni pastoia divina, il suo spazio autonomo in filosofia, ma Černyshevskij intende andare oltre e fare della morale una scienza come la fisica.
Analizzando le motivazioni che stimolano le azioni dell'uomo, egli le riconduce tutte al solo principio dell'interesse personale. Il recupero del concetto di egoismo non è in sé originale, avendo compiuta la stessa operazione Herzen, sebbene solamente per affermare il diritto della persona alla piena realizzazione della propria natura. Černyshevskij, invece, allarga questo concetto dall'individuo al tessuto socio-economico in cui vive, caratterizzato dalla rapida espansione impressa alla produzione dal capitalismo. Dopo aver spiegato che l'interesse guida l'uomo alla ricerca di ciò che gli procura piacere e a rifuggire ciò che cagiona dolore, definisce cosa utile quella che assicura un piacere duraturo e bene, «il grado superlativo dell'utilità». A questo punto parrebbe che l'etica di Černyshevskij si configuri come utilitaristica, ma le conclusioni del suo ragionamento sono diametralmente opposte, in quanto l'utile di cui parla non è personale bensì generale. Poiché l'interesse conduce ad abbracciare il vantaggio più grande e a tralasciare il più piccolo, presto l'uomo avrebbe compreso che l'interesse collettivo è superiore a quello individuale, in quanto al vertice di un'ipotetica gerarchia di beni riposano quegli atti che recano il massimo di utilità (lo stesso nel linguaggio di Černyshevskij che bene, vantaggio, piacere) possibile al maggior numero di persone. Questa presa di coscienza era al momento patrimonio di una minoranza di uomini nuovi, ma presto lo sarebbe stata di tutti, grazie al progresso delle conoscenze scientifiche e alla diffusione della cultura. Appare dunque evidente quale ruolo rivesta l'intelligencija come forza in grado di diffondere il sapere nel popolo, di mostrargli cosa sia il bene e come procurarselo. Le persone che si accostano alla cultura, non possono non riconoscere la superiorità dell'interesse generale su quello individuale, dopo l'affermazione dell'iniquo sistema produttivo capitalista.
Černyshevskij salda così in un tutt'uno in evoluzione l'economia, la morale, la cultura. All'uomo nuovo, ossia all'intellettuale di estrazione popolare, il cosiddetto raznočinec [20] era affidato il compito di conciliare l'interesse individuale con quello sociale, favorendo la formazione di una coscienza collettiva che facesse comprendere alla gente l'urgenza di assicurare il benessere alla maggioranza del popolo in un momento di grandi mutamenti economici, che rischiava di aggravare le condizioni di vita proprio dei più disagiati [21]. Černyshevskij tornerà a riaffermare l'insostituibile funzione dell'intelligencija nell'avanzamento del sapere presso le classi lavoratrici, cui era demandata l'opera di ricostruzione della società, in uno degli ultimi articoli scritto prima della morte, "Il carattere generale degli elementi che promuovono il progresso", dove scrive: «Se noi uomini di cultura di una nazione qualunque, desideriamo il bene dei nostri connazionali... dobbiamo far loro conoscere ciò che è buono e sforzarci di crear loro le possibilità di assimilarlo... Quando solo l'ignoranza di ciò che è buono è di ostacolo al trionfo del bene sul male, il nostro desiderio di portare dei miglioramenti nella vita dei nostri connazionali può facilmente esser portato a compimento... Fatta eccezione per... pochi individui dalla morale perversa, il resto dei semplici, come degli uomini di cultura, desidera comportarsi bene; e se costoro conducono un'esistenza malvagia è solo perché condizioni di vita vessatorie li costringono a tanto»» [22].

Note

1) Si tratta del titolo più alto conferito da un'università all'epoca dell'Impero russo.
2) "I rapporti estetici tra arte e realtà" (dissertazione), su n-g-chernyshevsky.ru. URL consultato il 6 dicembre 2016.
3) F. Venturi, p. 258.
4) F. Venturi, p. 260.
5) F. Venturi, pp. 260-261.
6) M. Natalizi, pp. 45-50.
7) M. Natalizi, pp. 56-57.
8) N. G. Černyshevskij, p. 73.
9) N. G. Černyshevskij, p. 77.
10) N. G. Černyshevskij, pp. 80-81.
11) N. G. Černyshevskij, p. 86.
12) N. G. Černyshevskij, pp. 87-88.
13) N. G. Černyshevskij, pp. 92-99.
14) N. G. Černyshevskij, p. 101.
15) M. Natalizi, op. cit., pp. 76-80.
16) "La dottrina socialista di N. G. Černyshevskij", su ekoslovar.ru. URL consultato il 20 aprile 2017.
17) Lo stesso che dire proprietà, capacità.
18) Così, ad esempio, se la materia possiede la qualità della combustibilità, la combustione è la forza per mezzo della quale la suddetta proprietà si manifesta.
19) N. G. Černyshevskij, p. 223.
20) Letteralmente il termine raznočinec significa: persona di ceto eterogeneo.
21) N. G. Černyshevskij, pp. 214-226.
22) N. G. Černyshevskij, "Il carattere generale degli elementi che promuovono il progresso", su scicenter.online.

Fonte: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Pensiero_d...C5%A1evskij
 
Top
0 replies since 23/1/2024, 22:36   2 views
  Share