Archivio Ždanov

Mandel’stam: vittima di Stalin o dell’eversione antistalinista ed antisovietica?, Luca Baldelli

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 31/1/2020, 01:13
Avatar

Junior Member

Group:
Member
Posts:
33
Location:
Profondo Est

Status:


Mandel’stam: vittima di Stalin o dell’eversione antistalinista ed antisovietica?


di Luca Baldelli



La vicenda di Osip Emil’evic Mandel’stam rappresenta ancora oggi, dopo ottant’anni, un buco nero in cui quasi nessuno ha inteso accendere la luce della chiarezza. Chi nomina il grande poeta e scrittore sovietico, rinnovellando le fasi della sua vita, fino alla morte, avvenuta in un campo di lavoro, lo fa sempre e comunque dando per scontata una pretesa volontà da parte di Stalin di eliminarlo, in quanto inflessibile, caustico fustigatore del suo “regime”, in versi e in rima. Le cose stanno davvero così, o anche in questo caso si è data la stura al solito meccanismo della calunnia antisovietica e antistaliniana in particolare? Vediamo di mettere in fila i fatti, nella loro oggettività. Osip Emil’evic Mandel‘stam, poeta, prosatore e saggista sovietico, nato a Varsavia da famiglia ebraica nel 1891, sotto lo zarismo, diventa ben presto uno dei maggiori cantori dell’epopea rivoluzionaria e bolscevica, senza però mai venir meno alla suggestione del verso tradizionale, all’ispirazione lirica che si abbevera alla fonte della tradizione, secondo i canoni seguiti anche, tra gli altri, dai “neoclassici” ucraini (Zerov, Draj – Khmara, Rilskij, solo per citarne alcuni). “Tristia”, “Secondo libro”, “Il rumore del tempo”, “Fedosia”, sono solo alcune opere che proiettano il nome di Mandel’stam nell’empireo della letteratura sovietica negli anni ‘20 – ‘30. Accusato di plagio nel 1929, per un errore (così pare) del suo editore, si difende con passione e parte alla volta dell’Armenia, ricavando da questa esperienza di viaggio una mole di impressioni, emozioni, pensieri, messi nero su bianco in “Viaggio in Armenia” (1930). Le sue relazioni di amicizia e intesa spaziano dal poeta Pasternak al dirigente politico Bucharin, impegnato in una dura lotta contro l’industrializzazione dell’Urss e in un’azione costante, sotterranea e subdola di sabotaggio alla realizzazione degli obiettivi economici e sociali sanciti dal Partito, solo alternata ad opportunistiche tregue. Il Partito comunista dell’Urss non è negli anni ’30, né lo sarà mai dopo, la monarchia assoluta da sempre raffigurata nell’oleografia della propaganda borghese: in esso si confrontano varie tendenze e Stalin più volte finisce in minoranza, oppure fa autocritica e corregge il tiro su alcuni eccessi; nel gruppo dirigente, almeno fino a metà degli anni ’30, le divergenze vengono discusse e, ove possibile, appianate grazie al confronto. C’è chi difende legittimamente posizioni differenti dalla maggioranza e chi, invece, se ne fa scudo, come dimostreranno i Processi di Mosca (1), per sovvertire l’ordinamento socialista e indebolire il Paese. Il Paese vive un entusiasmo, un fervore, una passione collettiva trascinante, nella realizzazione del socialismo: tutti si sentono mobilitati, spinti a dare il meglio di se stessi, in una scalata al cielo che vuol dire liberazione dai secolari ceppi dello sfruttamento e dell’arretratezza, fondazione di un nuovo ordine di liberi ed eguali per la prima volta sulla Terra. In poco tempo, l’Urss conquista traguardi di progresso ed emancipazione che i Paesi borghesi e capitalisti mai avevano conseguiti o, se li avevano ottenuti, ciò era avvenuto nell’arco di secoli. In questo quadro, le spinte centrifughe, le resistenze, i sabotaggi frapposti dal vecchio mondo ormai irrimediabilmente anacronistico, non solo non cessavano, ma si facevano vieppiù aggressivi e trovavano terreno fertile in tutta una serie di ambienti, circoli e apparati. Tra gli intellettuali, forte è la corrente che vede nel nuovo mondo socialista un universo spalancato sulla possibilità di creare nuove opere, finalmente al servizio della collettività, delle sue aspirazioni; l’Uomo nuovo fiorisce nei versi, nelle prose, nei lavori teatrali, nelle opere cinematografiche. Accanto a questo filone, però, esiste tutto un mondo che si mostra titubante, schivo, diffidente, timoroso di perdere i propri privilegi fondati sul possesso del sapere e della cultura da parte di pochi, come strumenti di sottomissione e dominio. Mandel’stam non è un uomo organico a questo vecchio mondo, no, ma ne subisce l’influenza e viene a trovarsi, per così dire, a cavallo tra il vecchio ed il nuovo. Egli è il prototipo dell’intellettuale che aderisce alla Rivoluzione, nella sostanza, ma con un piede anche nella staffa del vecchio universo borghese ormai ben oltre il crepuscolo; vuole cantare le trasformazioni sociali e l’uomo nuovo, vuole inondare i propri versi della luce del fuoco prometeico, ma al tempo stesso non sa staccarsi dalle ombre della reazione, del solipsismo, della diffidenza verso il massiccio, tumultuoso processo di irruzione delle masse nella cultura, nell’arte, nella scienza. Nel 1933, i suoi sentimenti verso la guida del Partito sono ben illustrati nei versi, rimasti nella storia, dell’epigramma dedicato a Stalin:

“Viviamo senza fiutare il paese sotto di noi,
i nostri discorsi non si sentono a dieci passi
e dove c’è spazio per un mezzo discorso
là ricordano il montanaro caucasico.
Le sue dita tozze sono grasse come vermi
e le parole, del peso di un pud (2), sono veritiere,
ridono i baffetti da scarafaggio
e brillano i suoi gambali.
E intorno a lui una marmaglia di capetti dal collo sottile,
si diletta dei servigi di mezzi uomini,
chi fischia, chi miagola, chi frigna
appena apre bocca e alza un dito.
Come ferri di cavallo forgia decreti su decreti
a chi da’ nell’inguine, a chi sulla fronte,
a chi nelle sopracciglia, a chi negli occhi
ogni morte è per lui una cuccagna
e l’ampio petto di ossetino”.

Versi che si commentano da soli, frutto non tanto del sentimento spontaneo di Mandel’stam, quanto della campagna d’odio diretta contro Stalin, invidiato per le sue capacità, la sua fermezza, la sua onestà, il suo rifiuto di ogni compromissione con la borghesia, da una parte tutt’altro che trascurabile del vertice del VK (b) P, parte con la quale Mandel’stam intratteneva contatti e relazioni. In quei versi, possiamo vedere, in filigrana, una trama ben più complessa ed articolata della semplice ispirazione lirica di Mandel’stam: innanzitutto, si fa chiaramente cenno alle origini ossetine di Stalin, una speculazione, questa, non comprovata da alcun fatto o documento, ma fatta ampiamente circolare dagli ambienti anticomunisti e trockisti, al fine di incrinare l’ampio consenso di cui godeva il “Piccolo Padre” tra i georgiani, oltre che tra i sovietici tutti, e anzi distruggere il vanto, l’orgoglio dei georgiani per Stalin, riconducendo le radici dell’albero genealogico degli Dzhugashvili alle montagne dell’Ossezia. Un’ “intossicazione” disinformante, questa, alla quale, in sede storica, ha contribuito in particolare I. Iremashvili, compagno di studi di Stalin prima a Gorj poi a Tiflis e suo acerrimo avversario politico, menscevico convinto, emigrato in Germania (casualità…), dove nel 1932 darà alla luce il suo libro di memorie dal titolo “Stalin e la tragedia della Georgia” (“Stalin und die Tragoedie Georgiens”), edito da Verfasser. Il dileggio, la caricaturizzazione degli aspetti fisici, veri o presunti, di Stalin, gli alti lai verso il suo presunto (e, nei fatti, inesistente) strapotere, facevano parte dello stile di certi avversari politici, annidati nella burocrazia partitica e negli apparati dell’OGPU (assorbita nel 1934 dal Ministero degli Affari Interni o NKVD), ambienti nei quali, a dispetto della mendace storiografia ufficiale borghese e revisionista, Stalin, amatissimo dal popolo, dalle persone oneste e laboriose del Paese, non sarà mai visto di buon occhio se non da una minoranza. Che poi i vari Jagoda, Ezhov, Bucharin e compagnia, opportunisticamente, abbiano fatto sfoggio ufficiale di devozione al Segretario del VK (b) P, con l’ampollosità e la retorica tipiche degli ipocriti e dei cospiratori, e con intensità e continuità variabili, questo faceva parte al massimo grado del gioco diretto contro Stalin, abilmente orchestrato da centrali interne ed esterne. Tornando ai versi sopra riportati, occorre ricordare che, quando Mandel’stam li lesse all’amico poeta Boris Pasternak, quest’ultimo, assurto poi a vestale dell’anti – stalinismo da tutto un filone apologetico e mistificatorio, affermò di dissociarsi da quello che, a suo dire, rappresentava “un suicidio”, “un fatto che nulla aveva a che spartire con la letteratura, con la poesia”. Il ruolo pilatesco di Pasternak, però, emergerà ancor più chiaramente dopo l’arresto di Mandel’stam, avvenuto nel maggio del 1934. La vulgata anti – stalinista, borghese e revisionista, ha sempre ricondotto al leggendario “strapotere” di Stalin le infelici sorti di Mandel’stam, ma, come sempre, si tratta della solita disinformazione e distorsione storica, che fa strame di fior di documenti ed evidenze attestanti l’esatto opposto. La verità è una: Stalin non solo non volle l’arresto di Mandel’stam, ma fece tutto quanto era in suo potere per annullare i provvedimenti repressivi adottati nei confronti del poeta. E sì, suonerà strano ad alcuni “studiosi”, ma in Urss vigeva la più rigorosa e montesquieana divisione dei poteri! Stalin non ebbe mai alcun potere sulla magistratura e poca influenza esercitò – mi si lasci dire, purtroppo! – sull’apparato poliziesco, almeno fino al 1940. Rispetto al Governo, poi, Stalin non rivestì, negli anni ‘30, alcuna carica apicale, essendo Molotov, dal 1930 al 1941, il Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo dell’Urss (ossia, il Capo del Governo). Molotov era uno con la schiena diritta, non un pupazzo, come ha teso a rappresentarlo la storiografia che, purtroppo, va per la maggiore e che scambia la fedeltà al Partito e al socialismo negli anni ‘30 per fedeltà personale al legittimo Segretario del VK (b) P, amato per la sua grinta, per le sue capacità e per la dedizione al popolo, non certo per imposizioni a suon di decreti e fantastici provvedimenti autoritari/repressivi varati a tutto spiano.
Nel 1933/34, a reggere le fila dell’OGPU (Direzione Politica Generale dello Stato, quella che comunemente si indica come polizia segreta), poi riassorbita nell’NKVD (Commissariato del Popolo per gli Affari Interni) furono prima Vjaceslav Rudol’fovic Menzhinskij, leale verso Stalin ed il Partito, ma gravemente malato negli ultimi tempi, quindi Genrikh Grigor’evic Jagoda, Commissario del Popolo agli Affari Interni a partire dal luglio del 1934. Jagoda era legatissimo a Bukharin ed all’opposizione di destra, ma non disdegnava neppure intese con Trockij e con i suoi portabandiera. Sotto la copertura di un’inesistente fedeltà e subordinazione allo Stato, al Governo e al Partito, Jagoda portò avanti una linea di subdola diversione e di complotto contro l’ordinamento socialista, in maniera diabolicamente furba e scaltra: egli arrivò al punto di addebitare ad altri deviazioni e abusi che, invece, erano stati commessi interamente da lui stesso e dalla sua cricca. Deviazioni ed abusi che, colpendo cittadini innocenti, o anche colpevoli, ma in misura sproporzionata, miravano a provocare l’odio popolare contro il socialismo, contro Stalin e il Partito, ad accendere focolai di ribellione ed insurrezione. Se nulla di ciò accadde, fu per la pronta vigilanza del Partito, dello Stato e del popolo sovietico, che seppero individuare e colpire i nemici comunque mascherati e infiltratisi in numerosi organi e livelli del potere sovietico. Una di queste deviazioni fu, senza dubbio, l’arresto di Mandel’stam. Un ruolo importante, in questo avvenimento, lo ebbe il giornalista bulgaro N.Kh.Shivarov, legato a doppio filo all’apparato spionistico di Jagoda e condannato a pena detentiva nel 1938 (lo stesso anno in cui Jagoda venne fucilato), per il suo ruolo di eversore, di spia e delatore a danno di innocenti. Mandel’stam era sicuramente un intellettuale non organico, anzi percorso da nevrosi e bizzarri impulsi, anche reazionari; credulone e ingenuo, si prese una passione per la “tragedia” dei kulaki (3), non comprendendo che essa, lungi dal rappresentare un’ecatombe, era l’inizio della fine dello sfruttamento per milioni di poveri contadini diseredati, costretti a mendicare un pezzo di terra per loro stessi e le proprie famiglie. Ciò detto, non è possibile, nemmeno oggi, rintracciare una motivazione valida per il suo arresto, al di fuori dei maneggi della cricca antistaliniana e dei suoi oscuri disegni. Stalin, per quanto poté, si prodigò fino alla fine per venire in aiuto del poeta e della sua consorte Nadezhda, esiliati a Cherdyn, nella Regione di Perm. Allorché Bukharin scrisse a Stalin per informarlo dell’avvenuto arresto, con successiva deportazione, del poeta (a riprova di quanto Stalin controllasse e anzi ordinasse determinate misure!), il Segretario del VK(b)P rispose senza mezzi termini ed in maniera laconica: “Chi ha dato loro il diritto di arrestare Mandel’stam? Tutto ciò è vergognoso!”. In queste parole, brilla chiara come il sole l’innocenza di Stalin, la sua totale mancanza di responsabilità in ordine alla vicenda del poeta. Non altrettanto si può dire di Bukharin, “eroe” dell’antistalinismo, che definì Mandel’stam un poeta “tramontato”, appartenente al passato, trascurabile nella sua produzione. Aggiungiamo poi che, non appena riuscì a prendere contatti con gli organi afferenti al Commissariato del Popolo per gli Affari Interni, all’interno dei quali poteva contare su una certa quota di “amici”, persone oneste e ligie al dovere, Stalin perorò apertamente la causa di Mandel’stam e ottenne addirittura la possibilità, per lui, di scegliere un nuovo luogo di insediamento; il poeta optò per Voronezh, centro dove si dedicò intensamente ai suoi interessi letterari e dal quale, poi, si trasferì a Mosca nel maggio 1937, libero, non più soggetto a misure restrittive. Nelle avversità, Mandel’stam, dopo aver scontato il mancato appoggio dell’ “amico” Pasternak da libero, dovette subire un rinnovato disinteresse da arrestato ed esiliato, come abbiamo accennato sopra: infatti, ad una telefonata di Stalin che chiedeva lumi su Mandel’stam e sulla sua condotta, al fine di stimolare una presa di posizione capace di condizionare positivamente l’evolvere delle sue sorti, Pasternak rispose, in sostanza, fregandosene bellamente e spostando la discussione, vilmente, su un piano “metafisico” beffardo, inopportuno, pieno di ignavia. Ecco il resoconto di quella comunicazione telefonica:

“Stalin: ‘Come mai voi, Boris Leonidovic, non vi siete attivato presso le organizzazioni degli scrittori, o con me personalmente, per intercedere in favore di Mandel’stam? Se io fossi un poeta e ad un mio amico capitasse una disgrazia, mi arrampicherei sui muri per andargli in soccorso!’.
Pasternak: ‘Le organizzazioni degli scrittori non si preoccupano più di questo dal 1927. Se io non mi fossi dato da fare, voi non sapreste nulla di questa faccenda! Del resto, Mandel’stam non è propriamente un mio amico’.
Stalin: ‘Ma è un vero artista questo vostro Mandel’stam?’.
Pasternak: ‘Questo non ha importanza’.
Stalin: ‘E che cosa ha importanza?’.
Pasternak: ‘Vorrei incontrarvi e parlarvi’.
Stalin: ‘Di cosa?’.
Pasternak: ‘Della vita e della morte’.

Tanta sollecitudine e volontà di capire in Stalin, tanto menefreghismo e cinismo in Pasternak! Questo, però, l’enciclopedia delle “verità ufficiali” non ce l’ha mai detto. Stalin conosceva senz’altro la poesia a lui “dedicata” da Mandel’stam, e la considerava alla pari di un divertissement, certo non gradevole ma nemmeno tale da far meritare a qualcuno il Gulag. Patetico il tentativo di alcuni di dipingere la telefonata come un trabocchetto da parte di Stalin, visti soprattutto i precedenti: nel 1930, Stalin, che stimava sinceramente i poeti e li proteggeva da incursioni “inquisitoriali” improprie e controproducenti, aveva alzato un’altra volta la cornetta per parlare direttamente a Bulgakov, il quale si era lamentato degli attacchi continui della stampa nei suoi confronti ed aveva indirizzato una lettera di protesta alle massime autorità statali. In quell’occasione, Stalin aveva invitato il grande scrittore sovietico a soprassedere rispetto alle sue intenzioni di emigrare (“davvero siamo stati così cattivi?”) e a rivolgere nuove richieste al Teatro d’Arte, presso il quale aveva manifestato l’intenzione di lavorare. Ebbene, Bulgakov non era finito né in prigione né in un Gulag! Seguendo i consigli di Stalin, sensibilizzato, al pari di altri, dalla lettera di protesta dello scrittore, il celebre autore de “Il Maestro e Margherita” aveva inoltrato ancora domande al Teatro d’Arte, ricevendo poi, in breve tempo, un impiego a lui confacente, che gli aveva consentito di non aver più alcun cruccio di ordine economico e di potersi dedicare serenamente alla sua attività intellettuale. Il “mostro” Stalin, assieme ad altri, aveva evitato l’emigrazione di un talento vero, prestigioso, e, allo stesso tempo, aveva aperto una breccia nelle “cricche” accademiche e culturali, sempre pronte a difendere i propri privilegi invocando, abusivamente, inesistenti avalli del Partito e dello Stato alle loro scelte autoreferenziali, conformiste e filistee, penalizzanti i veri geni. Scelte che, è bene ricordarlo, avevano concorso in maniera determinante al suicidio di Majakovskij, sempre, vergognosamente, attribuito al clima creato da Stalin nel Paese, con sfrontatezza e sprezzo per la verità storica documentata. Mandel’stam potette godere di un respiro profondo per un anno e mezzo circa, dal 1937 al 1938. Pur non potendo risiedere a Mosca, di fatto visse continuativamente nella Capitale, coltivando anche relazioni che, nonostante la sua buona fede, risulteranno per lui fatali: attirato in una “trappola” per la sua ingenuità, la sua totale assenza di malizia e la sua naturale disposizione d’animo positiva verso gli altri, fu posto da alcuni suoi amici a contatto con nemici del popolo dichiarati, con personaggi ostili per principio al sistema sovietico, quali lo scrittore leningradese Valentin Iosifovic Stenic, figlio di un ricco uomo d’affari e collezionista, mentre negli anni precedenti aveva frequentato il letterato ex socialista di sinistra e trockista Viktor L’vovic Kibalcic, poi emigrato in Messico. In un’atmosfera densa di sospetti e di intrighi, nella primavera del 1938, Mandel’stam viene tratto di nuovo in arresto, visitato, riconosciuto affetto da pensieri e fantasie ossessivi e spedito in un campo dell’Estremo Oriente, vicino Vladivostok, presso il quale trova la morte nel dicembre dello stesso anno. A determinare il suo arresto, oltre al clima di sospetti talvolta esagerati che stringono d’assedio la vita politica e sociale dell’Urss nel 1937/38, anche una precisa lettera indirizzata al Commissario del Popolo per gli Affari Interni Nikolaj Ivanovic Ezhov (altro mestatore, poi individuato come spia giapponese, autore di un progetto di eliminazione fisica di Stalin e fucilato), dal Segretario dell’Unione degli Scrittori dell’Urss Vladimir Petrovic Stavskij, il quale, con evidente esagerazione, e forse ignorando una poesia celebrativa di Stalin scritta da Mandel’stam, qualificò le sue liriche come “oscene”, senza alcun discernimento e senza alcuna analisi seria della sua produzione. Lo stesso Stavskij, tuttavia, citò nella sua missiva, quali appassionati difensori di Mandel’stam (e lo furono davvero!), i letterati Valentin Petrovic Kataev e Iosif Prut. Né l’uno né l’altro, è bene sottolinearlo, subirono mai persecuzioni!
In quel 1937/38 vennero fatti oggetto di provvedimenti restrittivi molti nemici e cospiratori annidati negli apparati dello Stato, ma alcuni innocenti finirono nel tritacarne e fu grazie a Stalin, Molotov e altri (non dimentichiamo il Capo dello Stato, l’autorevolissimo Kalinin) se ad un certo punto si pose fine ad iniziative giudiziarie che stavano debordando nettamente verso l’abuso, come era avvenuto in passato con Jagoda! Ancora una volta, il potere sovietico si mostrava saldo e pronto ad impedire l’estendersi dell’arbitrio. Ricordiamo pure, a beneficio della verità, che le riabilitazioni più rilevanti e numericamente consistenti si ebbero proprio in questo periodo, non certo sotto Krusciov, il quale riabilitò i nemici del popolo, non i cittadini onesti: grazie a Stalin e al gruppo dirigente sovietico, tantissimi casi furono revisionati e moltissime persone uscirono dalle prigioni e dai Gulag in cui le avevano gettate sgherri senza onore e senza morale che si coprivano di lodi a Stalin, al Partito e all’NKVD per meglio fare i loro comodi, al soldo o meno di potenze straniere desiderose di distruggere l’Urss. Ricordiamo anche che il cosiddetto “Grande Terrore” non fu affatto tale: una netta minoranza della popolazione ne fu coinvolta, comprendendo in questa anche chi, in maniera del tutto giusta, finì a sua volta “represso” per i suoi abusi a danno dei cittadini. In tutto, qualche centinaio di migliaia di persone, cifra che certo impallidisce dinanzi ai milioni di detenuti, persone soggette a provvedimenti restrittivi di vario grado, negli Usa di quegli anni, per non parlare delle dittature fasciste. Mandel’stam, in questo quadro, viene a situarsi come un “vaso di coccio tra vasi di ferro”: buono d’animo, forse un po’ troppo emotivo e percorso da fremiti irrazionali (sulla sua perizia medica ci asteniamo, per rispetto verso la figura e le controversie alla quale essa dà adito), egli non seppe riconoscere i suoi reali amici e i suoi autentici nemici, anzi li confuse e, per così dire, li “scambiò”. In un contesto di massima vigilanza e azione per la difesa dell’Urss da una minaccia golpista, bonapartista, sapientemente manovrata dalle potenze fasciste ed imperialiste, per interposti militari (vedi Tukhacevskij), con il ricordo vivo e bruciante delle altre cospirazioni trockiste, bukhariniane e zinovieviane, non era facile orientarsi nel sottile discrimine tra ingenuità, colpevolezza e concorso attivo alla sedizione. Come non era facile individuare, subitaneamente, chi conduceva indagini in maniera corretta e garantista e chi, invece, faceva di ogni erba un fascio, oppure utilizzava le inchieste per vibrare colpi al potere sovietico (da una certa fase in poi, Ezhov fu tra questi!). Per tutti questi motivi, la vicenda di Mandel’stam andò a finire in un certo modo. Addebitare a Stalin la colpa di queste vicende è infondato sul piano storico, vigliacco e sleale sul piano umano. Purtroppo, la malafede anima tutti i cantori prezzolati dell’antistalinismo, i quali sono assolutamente trasversali a tutti gli schieramenti: un’operazione di restaurazione della verità storica dovrà pertanto farsi strada tra mille ostacoli, montagne di menzogne vendute per fatti reali, documenti fasulli spacciati per autentici. Qui sta il problema, ma qui sta anche la nostra sfida, per rendere giustizia a chi non l’ha mai avuta o ha visto il proprio nome infangato dai calunniatori, dai bugiardi, dai mistificatori.

Fonti:
www.nnre.ru/istorija/stalin_i_pisateli_kniga_pervaja/p5.php
https://lombradelleparole.wordpress.com/20...uio-telefonico- tra-boris-pasternak-e-stalin-nel-1934-a-cura-di-antonio-sagredo-avente-ad- oggetto-il-destino-di-osip-mandelstam/#_ftn3
http://lit.1september.ru/article.php?ID=200304205 www.poslednyadres.ru/news/news134.htm
www.corriere.it/cultura/eventi/2012...-polese-pronto- bulgakov_5b6bd8be-3e2a-11e2-ab02-9e37f2f89044.shtml

Note:
1) Per una corretta informazione su Processi di Mosca e la cosiddetta “repressione di massa”vedasi: http://noicomunisti.blogspot.it/2012/09/sc...-la-quinta.html, http://noicomunisti.blogspot.it/2014/02/st...onsabilita.html, http://noicomunisti.blogspot.it/2012/11/tr...i-di-mosca.html, https://noicomunisti.wordpress.com/2016/06...di-grover-furr/, https://noicomunisti.wordpress.com/2016/09...ij-e-i-nazisti/, https://noicomunisti.wordpress.com/2016/06...io-di-m-gorkij/. https://noicomunisti.wordpress.com/2016/06...morte-di-gorkj/, https://noicomunisti.wordpress.com/2016/06...credeva-hitler/, https://noicomunisti.wordpress.com/2016/06...della-sentenza/, https://noicomunisti.wordpress.com/2016/06...-sulle-falsita- delle-rivelazioni-dellera-khrushcev/,
https://noicomunisti.wordpress.com/2016/11...kov-mondorosso/ https://noicomunisti.wordpress.com/2016/12...io-di-pjatakov/ https://noicomunisti.wordpress.com/2016/12...sioni-di-massa/, https://noicomunisti.wordpress.com/2016/11...ti-in-un-gulag/, https://noicomunisti.wordpress.com/2016/11...niera-di-bugie/, https://noicomunisti.wordpress.com/2016/06...rita-su-stalin/, https://noicomunisti.wordpress.com/2016/06...urr-e-vladimir- bobrov/,
https://noicomunisti.wordpress.com/2016/06...-38-cio-che-le- prove-mostrano-di-grover-furr/,
2) PUD: unità di misura russa, equivalente a 16,3805 kg
3) Per saperne di più, vedasi:
https://noicomunisti.wordpress.com/2016/06...dio-in-ucraina/ https://noicomunisti.wordpress.com/2016/06...ata-in-ucraina/ https://noicomunisti.wordpress.com/2016/09...vietica-in-pdf/
 
Top
0 replies since 31/1/2020, 01:13   39 views
  Share