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Sul giusnaturalismo

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view post Posted on 22/8/2014, 18:45

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Da AA.VV., Marxismo e teorie del diritto, Il Mulino, 1980, pp. 257-260:


SUL GIUSNATURALISMO

Da S.A. Golunskij e M.S. Strogovič, The Theory of the State and Law (1940), in Soviet Legal Philosophy, a cura di J.B. Hazard, cit., pp. 403-405. Traduzione italiana di R. Guastini.


[…] Il maggiore sviluppo e la maggiore diffusione della teoria del diritto naturale, come teoria effettivamente seguita, furono durante il periodo della disintegrazione del feudalesimo nei secoli XVII e XVIII, allorché il giusnaturalismo diede espressione all’ideologia della borghesia e fu largamente propagandato nelle opere dei più eminenti giuristi e filosofi del tempo: Hugo Grotius, Thomas Hobbes, Thomasius, Pufendorf, Christian Wolff, Jean-Jacques Rousseau, Immanuel Kant e altri. Vi erano grandi differenze nei punti di vista di costoro: alcuni (come Rousseau) erano rivoluzionari, partigiani della sovranità popolare. Altri, al contrario (come Christian Wolff e Hobbes), sostenevano la monarchia assoluta e la soggezione politica dei cittadini. Tuttavia, tutti questi giuristi e filosofi avevano una convinzione comune: accanto al diritto positivo vi è un diritto naturale, razionale e giusto, le cui norme emanano dalla ragione dell’uomo ed esprimono gli eterni e immutabili principi della morale. La maggior parte dei sostenitori di questa opinione — al tempo in cui la borghesia era una classe rivoluzionaria — pervennero a conclusioni rivoluzionarie. La proposizione che le norme giuridiche emananti dalla natura libera e razionale dell’uomo, e consistenti in forme razionali e naturali di vita comune, sono leggi naturali — distinte dal diritto positivo, che legalizzava la schiavitù dell’uomo, il dispotismo e la tirannia — è una proposizione caratteristica della scuola giusnaturalistica dei secoli XVII e (specialmente) XVIII.
Due tendenze si possono distinguere in questa scuola. La prima — rappresentata da Locke, Montesquieu e altri — basava la teoria del diritto naturale sulla dottrina dei diritti individuali, inerenti all’uomo e al cittadino: diritti immutabili, inalienabili, conferiti all’uomo dalla natura, e non suscettibili di essergli sottratti da parte dello Stato. Questa dottrina dei diritti inalienabili della personalità trovò espressione, durante la rivoluzione borghese del 1789 in Francia, nella famosa Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che proclamava i diritti dell’uomo alla libertà, alla proprietà e alla sicurezza, nonché il suo diritto di resistere all’oppressione, come diritti eterni e inalienabili. Questa corrente della scuola giusnaturalistica rappresentava il liberalismo borghese, che rivendicava la libertà di sviluppare i rapporti capitalistici e la proprietà privata. L’altra corrente — di cui Rousseau è l’esponente più eminente — concepiva il diritto naturale come una manifestazione della volontà del popolo, della sovranità popolare. Secondo questo punto di vista, i diritti dei cittadini sono assorbiti dalla volontà generale del popolo, e l’eguaglianza dei cittadini è il contenuto fondamentale del diritto naturale. Questa corrente aveva carattere democratico piccolo-borghese.
Guardando alle tesi fondamentali della teoria del diritto naturale, bisogna ammettere che — nell’inferire deduttivamente il diritto dalla ragione piuttosto che dai rapporti sociali — questa teoria è completamente idealistica ed è costruita su fondamenti metodologicamente sbagliati. La sua idea di base, che — a fianco del diritto attualmente in vigore — esiste anche un diritto speciale, proveniente da principi eterni e immutabili come la ragione, la natura, la volontà divina, gli imperativi morali, ecc., è artificiosa e non trova riscontro nella scienza. Dal punto di vista della dottrina materialistica della società, una simile teoria è del tutto arbitraria. I campioni del giusnaturalismo erano d’accordo nell’asserire l’esistenza di un qualche diritto razionale, eterno e immutabile. Ma quando si chiedeva loro di definire il contenuto di questo diritto naturale e di stabilire con precisione quali norme sono norme naturali, ciascun autore procedeva a modo suo, con il risultato che nulla nel diritto appariva immutabile. I più recenti campioni di questa teoria sono stati costretti ad ammetterlo. Uno di essi — Stammler — ha avanzato la nuova idea di un «diritto naturale a contenuto mutevole», affermando che le norme del diritto naturale (così come quelle del diritto positivo) cambiano in ragione di varie circostanze: solo l’astratta idea di giustizia in generale rimane identica. Questo approccio lascia il diritto naturale privo di qualsiasi fondamento e senza alcuna parvenza di determinatezza. Così questa teoria è stata, ovviamente, un fallimento, e non ha potuto non ammettere essa stessa il suo insuccesso.
Durante i secoli XVII e XVIII la teoria del diritto naturale diede espressione alle opinioni giuridiche della borghesia — che erano avanzate e progressive per quei tempi — nella sua lotta contro il feudalesimo e l’assolutismo. Gli ideologi borghesi criticarono a fondo tutte le istituzioni e la legislazione della monarchia assoluta feudale, che aveva impedito lo sviluppo delle forze produttive e dei nuovi rapporti di produzione (e sociali) borghesi. Dal punto di vista delle rivendicazioni politiche e sociali della borghesia, tutto il diritto allora vigente dello Stato feudale sembrava irrazionale — e di fatto certo lo era —, antiquato e inadeguato alle nuove condizioni sociali: ossia i rapporti capitalistici che si andavano sviluppando e rafforzando. Le rivendicazioni giuridiche del giusnaturalismo, d’altro canto, mentre erano semplicemente le rivendicazioni della borghesia, e rappresentavano le sue idee di un assetto borghese (necessario, ma non ancora realizzato), erano sinceramente considerate dagli ideologi borghesi come rivendicazioni eterne e immutabili della natura. Queste sono le vere radici della teoria giusnaturalistica, nella forma da essa assunta nel sec. XVIII: il diritto naturale è l’insieme delle rivendicazioni giuridiche e dei principi avanzati dalla borghesia, e ancora irrealizzati, in contrasto con il diritto positivo allora vigente (il diritto antiquato dello Stato feudale). Di conseguenza, il diritto naturale in questa sua, storicamente condizionata, espressione era — allora — una teoria progressiva. Era uno dei mezzi ideologici di cui si servì la borghesia nella sua lotta contro il feudalesimo. I suoi campioni dichiaravano che la libertà e l’eguaglianza sono i principi fondamentali del diritto naturale. Ciò costituiva, in realtà, una richiesta di libertà per l’attività capitalistica, di liberazione della proprietà privata dalle restrizioni feudali e di abrogazione dei privilegi di classe feudali. In altre parole, nella sua fase ascendente e fiorente, la teoria del diritto naturale fu uno dei fondamenti teorici del democratismo borghese.

Edited by Andrej Zdanov - 23/8/2014, 22:48
 
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