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Falliti e usurpatori, Rudé právo

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view post Posted on 18/4/2014, 11:20

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Da «Rudé právo», 12 gennaio 1977:


Falliti e usurpatori


Per quanto alcuni esponenti del mondo borghese parlino della necessità di una pacificazione ideologica, non c’è nulla che comprovi un simile disarmo ideologico da parte dello stesso imperialismo; così ha dichiarato al XV congresso del nostro partito il segretario generale del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco, il compagno Gustav Husák. Egli ha sottolineato come invece l’imperialismo cerchi forme e metodi nuovi per sviluppare un’offensiva anticomunista e scuotere l’unità dei paesi socialisti, e intensifichi gli attacchi contro la Repubblica socialista cecoslovacca e gli altri paesi socialisti, specialmente contro l’Unione Sovietica.
“Ci attaccano”, ha poi ricordato il compagno G. Husák, “perché stiamo costruendo il socialismo sui principi leniniani, un socialismo che, nella nostra prassi, incarna tutto ciò che e nobile, progressista e umano. Ci attaccano perché stiamo realizzando quegli ideali per i quali hanno combattuto, patito e sono morti i figli e le figlie migliori dei nostri popoli, e per i quali ancora combattono i veri rivoluzionari in tutto il mondo”.
Ogni giorno abbiamo modo di convincerci di quanto siano vere queste parole.
La borghesia odia il socialismo già solo per il fatto che esso ha distrutto il mito del carattere eterno del dominio capitalista, ha posto fine allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e ha reso accessibile a tutto il popolo ciò che una fascia privilegiata di ricchi vuole tenere solo per sé.
Guidata da un disperato istinto di autoconservazione la borghesia colpisce tutt’intorno all’impazzata, fa tutto il possibile e non si fa alcuno scrupolo pur di arrestare il processo rivoluzionario.
Nel suo tentativo di frenare l’irreversibile processo della sua fine la reazione borghese ricorre ai metodi più svariati, con i quali vorrebbe evitare o allontanare la propria scomparsa. Alle forme brutali dell’anticomunismo ne sostituisce altre meno vistose. Uno di questi nuovi metodi è il “miglioramento” del socialismo, espressione con la quale la borghesia intende la deformazione del socialismo e la sua graduale liquidazione.
In questa “santa alleanza” per dare la caccia alle idee del comunismo, di cui parlavano già gli autori del Manifesto del partito comunista, oggi le classi dirigenti della borghesia impegnano tutto il proprio esteso apparato statale e propagandistico. Con il loro polverone non vogliono soltanto distogliere l’attenzione dalle piaghe e dai mali del capitalismo contemporaneo.
La missione principale di questa moderna crociata è di dissuadere le masse popolari dei paesi capitalisti dai tentativi di ottenere dei cambiamenti, tanto più se cambiamenti rivoluzionari. La sua missione e il suo compito è di acquietare il movimento popolare anticapitalista, minare moralmente e frantumare qualsiasi movimento di sinistra, immunizzare i lavoratori contro le idee del socialismo scientifico, consolidare nella coscienza del popolo l’idea che il capitalismo sia l’unico sistema sociale possibile, duraturo ed eterno.
La gamma dei mezzi con i quali la reazione giustifica questo fine parla da sola: si va dalle leggi discriminatorie contro coloro che hanno idee di sinistra, come succede nella Repubblica federale tedesca, al divieto per i partiti operai di svolgere attività negli stabilimenti industriali, come succede in Francia, ai più svariati metodi di spionaggio e persecuzione ai danni delle persone di orientamento progressista, ciò per cui è ben nota la storia moderna degli Usa, fino alle più sanguinose rappresaglie, nelle quali si “segnala” la marionetta filoamericana Pinochet.
Alla reazione internazionale fa comodo qualsiasi mezzo e qualsiasi alleato. Essa corrompe chiunque si lasci corrompere, comprando sottobanco o in blocco, e fa affidamento anche su transfughi e disertori del campo nemico. Recluta gli emigrati, ma anche i vari falliti che vivono nei paesi socialisti, i quali per vari motivi legati ai propri interessi reazionari di classe, per vanità, mania di grandezza, perché sono dei rinnegati o per inguaribile mancanza di spina dorsale, sono pronti anche a vendere la propria dignità al diavolo.
Nella sua accanita lotta contro il progresso la reazione internazionale cerca di dare l’impressione che esista una sorta di ampio fronte anticomunista, nel quale si sforza di trascinare, accanto ai traditori dichiarati, anche i singoli e i gruppi indecisi o disorientati, e lo fa mascherandosi a volte da “sinistra” o da “comunisti”. Spesso prova a fare l’impossibile: resuscitare anche degli individui politicamente morti, sia nelle file degli emigrati dai paesi socialisti, sia in quelle dei rimasugli dei nemici di classe all’interno di questi paesi, dei rinnegati, fino ad arrivare a vari elementi criminali e asociali. Una delle forme di questa “commovente” collaborazione è la fabbricazione di ogni sorta di pamphlet, lettere, proteste e altre calunnie dozzinali, che sono spacciate per espressione di questi o quegli individui o gruppetti dell’“opposizione”, e poi diffuse nel mondo capitalista con gran chiasso e in modo ben coordinato.
In questa categoria rientra anche l’ultimissimo pamphlet, la cosiddetta Charta 77, che un gruppetto di persone provenienti dalle file della fallita borghesia reazionaria cecoslovacca, nonché da quelle degli organizzatori falliti della controrivoluzione del 1968, ha passato, su commissione delle centrali anticomuniste e sioniste, ad alcune agenzie occidentali.
Si tratta di un libello demagogico, antistatale, antisociale e antipopolare che diffama con grossolane menzogne la Repubblica socialista cecoslovacca e le conquiste rivoluzionarie del popolo. I suoi autori accusano la nostra società perché in essa la vita non è organizzata secondo i loro principi borghesi ed elitari.
Questi usurpatori, che disprezzano il popolo, i suoi interessi e gli organi rappresentativi da esso eletti, si arrogano il diritto di rappresentarlo, chiedono “un dialogo con il potere politico e statale” e vorrebbero ad- dirittura svolgere il ruolo di “intermediario in eventuali situazioni conflittuali”. Questo pamphlet si accorge dell’esistenza del socialismo nel nostro paese solo in un unico caso: nella denominazione della repubblica. Esso muove da posizioni cosmopolite, dalle posizioni di classe della borghesia reazionaria sconfitta, e rifiuta il socialismo come sistema sociale.
Quasi fossero fuori dal tempo e dallo spazio, gli autori del pamphlet si appellano demagogicamente a “importanti valori di civiltà, su cui nel corso della storia si sono concentrati gli sforzi di tanti progressisti”, quali sono le libertà e i diritti dell’uomo. Ebbene, il nostro stato socialista nei documenti internazionali e nelle leggi del paese ha proclamato e garantito, applicandoli nella prassi, i diritti e le libertà più ampie a favore del popolo dei lavoratori, che è l’amministratore di questo paese. Gli ispiratori del pamphlet però, pur usando le stesse parole, hanno in mente qualcosa di completamente diverso: spasimano per “diritti e libertà” a favore dei rimasugli della sconfitta reazione borghese. Essi pensano a quei “diritti e libertà” che permetterebbero loro di poter di nuovo organizzare liberamente un’attività diretta contro lo stato e il partito, di predicare l’antisovietismo e di tentare nuovamente di abbattere il potere statale socialista.
Dopo le disfatte subite nel nostro paese dalla reazione nel 1948 e poi ancora venti anni dopo, questi donchisciotte vogliono gettare i semi di una nuova avventura controrivoluzionaria e precipitare la nostra società socialista nel caos e nell’incertezza.
L’impegno di molte forze progressiste, con alla testa i comunisti, avanguardia del progresso umano, ha davvero portato alla conquista di molti importanti “valori di civiltà”, li ha conquistati però non per la borghesia, bensì a discapito della borghesia. Li ha conquistati a discapito dell’imperialismo, del colonialismo e dei regimi fascisti. E così è stato anche nella nostra storia.
Il nostro popolo, fedele all’insegnamento ricevuto negli anni della crisi, non intende concedere e non concederà a nessuno alcun diritto ad avere una nuova chance controrivoluzionaria. Come ha più volte ricordato il compagno G. Husák, nel nostro paese le rose della controrivoluzione non fioriranno.
Il contenuto del pamphlet per il suo carattere calunnioso non è del resto né nuovo né interessante. La storia dell’anticomunismo ne conosce alcuni ancora più reazionari. Ma queste bolle di sapone sono poi sempre regolarmente scoppiate in breve tempo, sia che avessero dei propri autori o che fossero dei falsi, sia che alla loro creazione fossero legati nomi oscuri oppure noti.
Per loro va bene tutto ciò che è contro il socialismo. Come esempio si può ricordare l’imbroglio imbastito nel 1967 dalla stampa borghese attorno al cosiddetto manifesto degli scrittori cecoslovacchi. Si disse che quel pamphlet era stato firmato da alcune centinaia di nostri scrittori e artisti. Il giornale britannico Sunday Times scrisse persino “l’originale è in mani sicure in occidente” e “per il momento non pubblichiamo l’elenco dei firmatari per evitare rappresaglie da parte del regime”. Il parigino Le Monde si coprì di ridicolo quando escluse categoricamente ogni dubbio sulle singole firme. Si coprì di ridicolo anche l’emittente radiofonica e televisiva britannica BBC che organizzò una tavola rotonda di mezz’ora per dimostrare l’autenticità del pamphlet, e ci cascarono anche dei notissimi scrittori della Germania ovest come Grass, Böll e altri. Furono molti allora gli individui e le istituzioni che caddero nel ridicolo. Qualche anno dopo molto semplicemente confessò la paternità del “manifesto” un certo Pfaff, che ad alcuni compagni dell’emigrazione rivelò di esserselo inventato di sana pianta. Naturalmente di questa brutta figura sul Sunday Times, su Le Monde o altrove non si parlò affatto. Lo scopo era stato però raggiunto: denigrare un paese socialista, calunniare il socialismo. E a questo riguardo anche la peggiore infamia otterrà dalla borghesia una giustificazione morale. E una mancia competente.
Nel caso di quest’ultimo pamphlet non si tratta in realtà di un falso, si e tuttavia registrata una chiara concordanza programmatica degli ispiratori e un’evidente coordinazione dell’iniziativa. Il pamphlet “è stato consegnato ad alcuni giornali occidentali accuratamente scelti”, dichiara il britannico The Guardian. “Nella Repubblica federale tedesca e stato distribuito agli esponenti dei principali giornali occidentali”, ha scritto il corrispondente da Bonn del Times, aggiungendo che “la fonte che lo ha messo a disposizione (si intende: il pamphlet) non desidera essere menzionata”. Lo capiamo bene, in quanto sarebbe chiaro a tutti che gli autori del pamphlet sono agenti delle centrali dell’anticomunismo.
Il pamphlet, secondo un piano accuratamente concordato, e stato pubblicato contemporaneamente in diversi luoghi del mondo capitalista. Un ruolo decisivo lo hanno svolto le centrali dell’anticomunismo. Non è chiaro, del resto, chi può celarsi dietro questa iniziativa? Quelli che si dichiarano autori del pamphlet non hanno certo un’influenza del genere. Danno a credere di combattere per il progresso, ma intanto sono impantanati fino al collo al servizio della più nera reazione imperialistica.
Come per un ordine prestabilito il pamphlet è caduto nel pieno di una campagna diffamatoria contro i paesi socialisti che già da mesi le centrali dell’anticomunismo stavano rinfocolando. Già il modo stesso con cui è stato reso pubblico non lascia dubbi sul fatto che si è trattato davvero di un ordine proveniente dall’esterno, e si può persino supporre da quale centro anticomunista sia stato ispirato.
Questa volta le agenzie borghesi non sono più così reticenti e citano vari nomi legati al pamphlet. Da un punto di vista politico si tratta di un’eterogenea accozzaglia di individui falliti sul piano politico e umano. Ne fanno parte V. Havel, membro di una famiglia milionaria, antisocialista incallito, P. Kohout, servo fedele dell’imperialismo e suo agente dichiarato, J. H ájek, un politico fallito che in nome della neutralità voleva separare il nostro stato dalla collettività dei paesi socialisti, L. Vaculík, autore del controrivoluzionario Manifesto delle 2000 parole, V. Silhán, fantoccio del blocco delle forze controrivoluzionarie, J. Patočka, professore reazionario che si e messo al servizio dell’anticomunismo, P. Drtina, esponente della reazione prima del febbraio ’48 e ministro borghese della Giustizia, V. Cerný, noto reazionario, famoso per la sua dichiarazione sui “lampioni” ai quali nel sessantotto dovevano essere appesi i seguaci del socialismo, individui anarchici e trockisti del genere di Uhl, gli organizzatori dei tristemente noti K 231 e Kan, ancora coloro che vorrebbero sfruttare la religione per scopi politici reazionari e altri che in passato sono stati condannati secondo la legge per specifiche attività antistatali.
In uno stesso mucchio assieme alla più nera reazione anticomunista si sono uniti anche certi esponenti del revisionismo di destra, l’avventuriero internazionale F. Kriegel e altri.
Un originale museo delle cere politico i cui manichini non sono più noti o interessanti per il pubblico di casa.
Ma per le centrali anticomuniste questo museo delle cere ha tuttavia ancora un suo “valore”. Negli stati maggiori della guerra fredda sanno bene che non si può più confondere la gente con le frottole sui “bolscevichi che mangiano i bambini”. Gran parte dell’anticaglia anticomunista è ormai logora, e gran parte dei “mangia-comunisti” borghesi e ormai fuori moda. E così si arruolano nuovi “combattenti” fra le file degli emigrati e dei rinnegati, fra gli avanzi della borghesia sconfitta, traditori di vario tipo, elementi declassati e senza morale, per tutti i quali è stata trovata anche una nuova parola alla moda: “dissidenti”.
Nella sua storia il movimento rivoluzionario ha conosciuto diversi elementi come Mrva che per trenta denari sono diventati leccapiedi, delatori e lacché traditori degli interessi del popolo. È su gente come questa che la reazione internazionale anche oggi fa affidamento nel suo tentativo di difendere il proprio posto nella storia.
Neanche i metodi del “sabotaggio letterario” sono nuovi. Qualche anno fa li ha descritti in modo piuttosto diretto l’ex capo dello spionaggio americano Allen Dulles. Egli disse: “dobbiamo intensificare la lotta ideologica contro i sovietici, se volete un lavoro di sabotaggio ideologico”. E poi: “a suo tempo il dott. Goebbels, a mio parere un falsificatore e un demagogo di talento, ha dichiarato che nelle camere a gas si possono avvelenare d’un sol colpo alcune centinaia di persone, ma con una bugia ben studiata se ne avvelenano milioni... Come si fa? In un modo molto semplice: un po’ di inchiostro, un bel po’ di vecchi archivi, un gruppetto di intrepidi scribacchini e una certa somma di dollari”.
E così oggi per tirar fuori dagli impicci la reazione mondiale non c’è solo il ricatto atomico con il quale gli imperialisti hanno cominciato la guerra fredda contro il socialismo, ma anche il sabotaggio ideologico, per il quale essi usano anche “gruppetti di intrepidi scribacchini” e naturalmente “una certa somma di dollari”. Il socialismo però non si è spaventato neanche di fronte al ricatto atomico e tanto meno può aver paura degli scribacchini di pamphlet reazionari.
I paesi socialisti hanno lottato e continuano a lottare con determinazione affinché nel mondo si instaurino un clima nuovo e nuovi rapporti fra i vari paesi, a dispetto di tutti i sostenitori della guerra fredda. Il loro impegno costruttivo ha avuto i suoi risultati positivi alla Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa. L’atto finale in essa sottoscritto stabilisce i principi della politica di coesistenza pacifica fra gli stati appartenenti a diversi sistemi sociali, il rispetto delle leggi e la non ingerenza, stabilisce l’inviolabilità degli attuali confini in Europa e vincola i firmatari a risolvere tutti i problemi internazionali solo ed esclusivamente per vie pacifiche.
La decisa politica di pace dei paesi socialisti gode del favore generale di moltissimi non comunisti, socialisti e cattolici, perché è una politica che vuole che la pace, che regna già da più di trent’anni, diventi duratura.
È evidente che questa politica si è scontrata naturalmente con l’ostilità dei circoli imperialisti più reazionari, che per diversi motivi vorrebbero rimettere indietro le lancette della storia. E in questo ben coordinato complotto reazionario contro la distensione mondiale ha il suo zampino e il suo tornaconto anche la nostra emigrazione reazionaria e il gruppetto rimasto in patria, il cui compito è di servire l’imperialismo dall’interno del nostro stato.
Il tempo non gioca a loro favore. Sono rimasti bloccati come nei torrenti di montagna quei sassi coperti di muschio che tentano inutilmente di opporsi alla forza delle acque. Il tempo vi scorre sopra ed essi sono coperti dal muschio della dimenticanza.
Come metterebbero volentieri al tempo la marcia indietro, d’accordo in ciò con tutti quelli che nel mondo sono seriamente preoccupati dal processo di distensione internazionale e sarebbero contentissimi di vedere l’Europa e il mondo di nuovo nella trappola della guerra fredda. Due anni fa queste forze hanno cercato di impedire la realizzazione della conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa. Non ci sono riuscite. Adesso che, secondo le decisioni prese alla conferenza di Helsinki, si sta preparando una nuova assemblea degli stati che hanno sottoscritto l’atto finale, che dovrà tenersi quest’anno a Belgrado, esse vorrebbero riportare indietro l’Europa e il mondo, e vorrebbero fare dell’incontro di Belgrado non un momento di dialogo costruttivo sulle nuove vie per la distensione e per lo sviluppo della collaborazione fra i popoli, bensì una piazza che serva per propagandare gli attacchi contro i paesi socialisti.
A questo fine deve servire anche il pamphlet con il suo contorno di nomi tristemente famosi. Uno dei tanti prodotti per i quali i fornitori all’ingrosso prendono in prestito i nomi dei falliti di tutti i tipi dei diversi paesi socialisti. Una parte integrante delle numerose campagne condotte ora con maggiore ora con minore intensità contro questo o quel paese socialista. Si distingue se vogliamo per il contenuto, non certo per il suo orientamento di fondo.
Non è in realtà difficile intuire chi sia il loro denominatore comune, il loro comune ispiratore. Alla canonica domanda “a chi serve” segue l’altrettanto canonica risposta: serve all’imperialismo, si tratta di una nuova campagna contro il socialismo mondiale.
Non è la prima campagna e certamente nemmeno l’ultima. Nei trent’anni del nostro cammino socialista ne abbiamo conosciute non poche. La propaganda reazionaria ha già diffuso nel mondo fiumi di bugie su di noi.
Essa “gratifica” poi la nostra repubblica di un’attenzione particolare dall’aprile del 1969, da quando cioè il nostro partito e il nostro popolo hanno imboccato con successo la via della stabilizzazione della nostra società socialista e del suo ulteriore sviluppo. I profeti, che sia in patria sia all’estero ci predicevano le piaghe della crisi che ora invece scuote il mondo capitalista, già da anni attendono invano l’avverarsi delle loro stolte previsioni. L’atmosfera serena, laboriosa e creativa del nostro paese inquieta non poco i falliti in patria e all’estero e li conduce a gesti disperati e anche azzardati.
Il partito comunista della Cecoslovacchia ha superato il periodo del caos e del dissesto, ha condotto la società e il popolo fuori dalla crisi. Esso sviluppa in modo coerente e creativo il marxismo-leninismo, al suo XV congresso ha elaborato e approfondito ulteriormente il programma di costruzione di una società socialista progredita, un programma che migliori il tenore di vita del popolo, le sue certezze politiche e sociali, e ha sviluppato e continua a sviluppare la democrazia socialista.
In un momento in cui il nostro popolo, sotto la guida del partito, mette in pratica con grande responsabilità e spirito di sacrificio la linea e le conclusioni del XV congresso, un paio di falliti e usurpatori indispettiti e tronfi, ma in effetti agenti dell’imperialismo, del tipo di Mlynář, Kriegel, Havel, Hájek, Patočka e Vaculík, senza un briciolo di onore e di coscienza ordiscono piani che non hanno e non possono avere altro fine se non quello di preparare una nuova controrivoluzione. Le persone che volevano introdurre di contrabbando nel nostro paese la controrivoluzione già una volta hanno avuto ciò che meritavano. Devono pur rendersi conto che qualsiasi nuovo tentativo è destinato a fallire sul nascere. Il 1968 non si ripeterà. Oggi più che mai vale ciò che ha detto Gottwald: Non permetteremo che sconvolgano la nostra repubblica!
Il nostro popolo va per la sua strada. La strada del progresso sociale, la strada del socialismo. La strada della solida amicizia con l’Unione Sovietica e con gli altri paesi socialisti, come membro stabile della collettività socialista. Collaboriamo e continueremo a collaborare con tutte le forze progressiste e amanti della pace nel mondo.
È la strada buona e retta che ci condurrà con certezza alle mete del comunismo. Chiunque lavora rettamente e si sforza di contribuire al bene comune su questa strada troverà la sicurezza per la propria vita.
Nessun pamphlet menzognero potrà smentire la verità della storia.

Edited by Andrej Zdanov - 18/4/2014, 15:59
 
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