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Il realismo socialista e i suoi detrattori, B. Rjurikov

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view post Posted on 15/2/2014, 17:37

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Da «Inostrannaja literatura», n. 1, 1962:


Il realismo socialista e i suoi detrattori


… Un giorno d’inverno le gelide acque della Senna gettarono sulla riva qualcosa di poco attraente, dal cattivo odore. Si trovò tuttavia della brava gente che raccolse questo «qualcosa» ed ebbe persino il coraggio di renderlo di dominio pubblico. Così apparve sulla rivista «Espirit» l’articolo «Il realismo socialista». Questo fatto è già stato commentato dalla critica sovietica ma vogliamo, tuttavia, occuparcene ancora una volta, dato che racchiude in sé elementi, nel loro genere, istruttivi.
La redazione di «Espirit» informò che l’articolo era opera di un giovane scrittore sovietico il quale, «naturalmente», si nascondeva dietro l’anonimato.
Lo stile di quest’articolo si distingue da quello ampolloso e serio di Demets. L’anonimo non disdegna la retorica e ha persino delle pretese ironiche, sforzandosi di usare uno stile parodistico. Ma il metodo di discussione dello «sconosciuto scrittore» è poi sostanzialmente uguale a quello del famigerato falsificatore Demets. Demets afferma che la teoria del realismo socialista non si basa sulla realtà effettiva, ma su quella prescritta e obbligatoria. Scrive l’anonimo: «Alla base della formula del realismo socialista si trova l’idea dello Scopo, quell’ideale universale al quale tende la realtà nel suo sviluppo rivoluzionario». L’autore compie poi un banale giochetto di prestigio che esclude il concetto di realtà e ottiene così che lo Scopo (con l’iniziale maiuscola) diventi scopo per sé stesso, una specie di principio divino, esistente in modo autonomo.
«Questo Scopo è lo scopo finale di tutta la realtà, di quella che è e di quella che non è, ed è uno scopo infinito e gratuito, è lo Scopo per se stesso. Infatti quale scopo può avere lo Scopo?»
In pieno accordo coi «ricercatori» del tipo di Demets, il nostro anonimo chiama la teoria del realismo socialista teologica.
A che cosa mira questo «incognito», con le sue banali manipolazioni?
Anzitutto egli mette in dubbio la veridicità esistenziale, la conformità alla realtà e l’obiettività dell’arte del realismo socialista. Egli mette in bocca ai social-realisti questa dichiarazione: «Noi rappresentiamo la vita come la vogliamo vedere, la rappresentiamo così come deve diventare».
I nostri scrittori, pittori, artisti del teatro e del cinema danno con i loro sforzi comuni una vasta panoramica della vita sovietica. Essi vedono sia il nuovo che trionfa, sia le sopravvivenze del passato, sia la rabbiosa opposizione del nemico. La prospettiva di sviluppo della vita che danno i nostri artisti non è basata su una fantasia arbitraria. La società si sviluppa in base a leggi chiare e obiettive e la comprensione di queste leggi, la capacità di individuare nella vita e di comprendere l’azione delle forze sociali determinanti, arma gli artisti e permette loro di guardare con sicurezza in avanti. Lo sviluppo rivoluzionario della vita non è una predizione nebulosa ma un inesorabile processo progressivo, che onora chi lo scopre, lo comprende e lo rappresenta.
Il nuovo Programma del Partito comunista è completamente pervaso dall’idea dello sviluppo dialettico. Esso tempera l’impeto dell’ispirato slancio in avanti verso il comunismo, con la previsione, che ne consegue, della realtà scientifica obiettiva. Non a caso il Programma è indissolubilmente legato al piano di previsione ventennale dello sviluppo dell’economia nazionale. I nostri piani di edificazione del comunismo sono completamente motivati da un punto di vista sia economico che politico. Il socialismo e il comunismo continuano la loro marcia vittoriosa in avanti secondo precise leggi oggettive; la via dello sviluppo comunista è scientificamente prestabilita.
La realtà spaventa i nemici, poiché si sviluppa in modo non conforme ai loro desideri, ma conforme alle profezie scientifiche del comunismo. Essi vorrebbero dichiarare inesistenti i risultati del presente e infondati e fantasiosi i piani per il futuro. Da parte loro gli esteti reazionari levano alte grida in favore della libertà dell’arte mentre essi stessi si cibano delle briciole che cadono dal tavolo degli ideologi e dei politici della loro classe. Anche questi ultimi sono terrorizzati dall’inesorabile sviluppo della realtà. Ed ecco che allora i detrattori, gemendo per lo sforzo, scrivono che il realismo socialista riflette non l’obiettivo trasformarsi della vita ma gli scopi soggettivi, inventati dai politici e dagli ideologi, e, alla luce di questi scopi, deforma il quadro reale dell’esistenza.
Tale è il primo trucco del nostro anonimo.
Il secondo trucco consiste nel rappresentare l’arte socialista come priva di contenuto umanistico. Lo scopo, di cui parla il nostro prestigiatore, è privo di scopo: «infatti quale scopo può avere lo Scopo?»
Il comunismo è per l’uomo; la felicità viva e palpitante dell’uomo, delle masse popolari: ecco lo scopo dell’edificazione comunista. Di questo parla con estrema chiarezza il Programma del partito, approvato dal XXII congresso.
Lo «Scopo» di cui parla l’anonimo è rappresentato come qualcosa di freddo, di privo d’anima, di morto. Uno scopo astratto, indifferente verso l’uomo. Ma è questa una tipica deformazione borghese del comunismo. L’arte socialista non è mai stata, né mai sarà, indifferente verso l’uomo; l’umanesimo è la sua caratteristica fondamentale e determinante. Da questo deriva il particolare carattere dei nostri scopi, dei nostri ideali, il loro essere permeati di una grande umanità.
Le costruzioni «teoretiche» non sono evidentemente bastate al nostro anonimo per l’abbattimento del realismo socialista. Allora egli si rivolge alla pratica artistica, affrontando, con lo stesso zelo e la stessa ingegnosità, il problema dell’eroe positivo.
Un eroe di Gor’kij, stanco dell’eterna indecisione e della mollezza dei personaggi che lo circondano, erompe aspramente: «Bisogna parlar sempre in modo chiaro: o sì o no».
L’«incognito» se la spassa:
«Gor’kij comprendeva che il suo “eroe” era un uomo del futuro e che soltanto uomini spietati e saldi come l’acciaio potevano tracciare la via verso questo futuro».
Proprio Gor’kij ha descritto la spietatezza del mondo dei Majakin. La costanza nel perseguire lo scopo propria del protagonista, che conosce la sua strada di lottatore per l’instaurazione di nuovi rapporti fra gli uomini, non è giudicata dallo scrittore alla stessa stregua della perseveranza priva di sentimento, colma d’odio, dei rappresentati del vecchio mondo.
L’«incognito dell’Espirit» scrive, a proposito della cultura russa del XIX secolo, che essa è stata creata da «un gruppetto di scettici malinconici». Egli contrappone all’integrità delle «nature positive» con i loro ideali di servizio alla società e al popolo, la fiacchezza e l’indecisione ― considerate princìpi positivi ― delle «personalità indipendenti» che vivono estraniate dalla società. Per lui il XIX secolo è un secolo d’oro.
«Il diciannovesimo secolo è pieno di ricerche, di errori, di slanci più o meno ardenti, esso aspira, nell’impotenza, a trovarsi un posto definito sotto il sole, è lacerato dal dubbio e dal dualismo».
E si vogliono far passare questi gorgheggi lirico-storici per concezione teoretica! In essi non vi è posto per i fatti, per la storia, per il riconoscimento che nel XIX secolo, in Russia, non c’erano soltanto persone che cercavano, ma anche persone che avevano trovato, non solo perché disingannate ma perché già avviate per un cammino luminoso; non c’erano soltanto gli impotenti, ma anche i forti, orgogliosamente coscienti della propria forza. E proprio essi esercitarono un influsso determinante sui destini della patria. Questi erano i decabristi, Belinskij, Herzen, Černyševskij, Nekrasov, i rivoluzionari degli anni ’70, Piotr Alekseev. Fu nel XIX secolo che i marxisti russi cominciarono a rivelarsi attivamente e che Lenin gettò le basi teoretiche e organizzative del partito comunista.
Il nostro anonimo si sente più a suo agio tra persone fiacche e sperdute, che non hanno alcuno scopo, né precisi ideali, che non riconoscono alcun dovere verso il popolo (e il fatto che i migliori di questi uomini «inutili» si tormentassero proprio alla ricerca della via per un servizio reale al popolo, ha scarsa importanza per l’anonimo). Egli sente ripugnanza e indignazione per la dirittura degli «uomini nuovi» e per i loro «discorsi sul popolo e sul comunismo».
«L’esclusivo e dispotico predominio del criterio utilitaristico-morale, un altrettanto esclusivo ed oppressivo predominio dell’amore per il popolo e il proletariato, il culto del popolo e dei suoi interessi…», questi sono, secondo lui, i peccati dell’intellighenzia russa. Questa citazione non è tratta dallo scritto anonimo ma dall’articolo di N. Berdjaev contenuto nella famigerata antologia «Vekhi». Ma quanto si adatta, nello spirito, al pensiero dell’anonimo scrittore!
E ancora una citazione tratta da «Vekhi», stavolta dall’articolo di M. Geršenzon:
«… La vita interiore della persona è l’unica forza teoretica della vita umana… Essa, e non dei princìpi autonomi di ordine politico, è l’unica solida base per ogni edificazione di tipo sociale». L’antologia «Le pietre miliari», definita da Lenin enciclopedia del tradimento liberale, ha espresso in modo del tutto lampante la corruzione morale, l’egoismo anti-sociale, l’estraneità e l’avversione a tutti i movimenti democratici popolari dell’intellighenzia borghese postasi al servizio della reazione.
Ci interessa poco sapere chi sia l’anonimo autore dell’articolo sul realismo socialista pubblicato dalla rivista «Espirit». Nessuno ne vuole svelare l’incognito: ha infilato la maschera, se la porti pure in giro! Ma questo tipo lavora rozzamente. Lo spirito dell’intero articolo, la sua forma, lo stile e l’«erudizione» dell’autore mostrano come questo falso sia stato fabbricato in un ambiente intellettuale borghese, legato evidentemente ai circoli dell’emigrazione bianca, dove sono vive le tradizioni de «Le pietre miliari» e delle società filosofico-religiose che incitano alla crociata contro il materialismo.
E a caratterizzare la teoria dell’autore basta il fatto ch’egli ripete quanto diceva la pubblicistica reazionaria nel periodo più infame per il pensiero sociale russo.
Alcuni giornali d’Inghilterra, Stati Uniti e Germania occidentale si affrettarono a riprendere l’articolo dell’anonimo, accompagnandolo con le loro osservazioni… Sospettavano essi in che pozzanghera sarebbero caduti, in compagnia del loro anonimo semplicione? Probabilmente lo sospettavano, dato che la contraffazione è molto rozza, ma l’odio anticomunista ha loro annebbiato i cervelli. Hanno scordato che l’ira è cattiva consigliera.
A proposito, qualche parola su un altro incognito.
Non è soltanto la rivista «Espirit» a interessarsi di spazzatura. L’anno scorso uscì in Inghilterra e in Francia un racconto «di vita sovietica» dal titolo «Entra la corte». L’autore si nasconde sotto lo pseudonimo di Abram Terts. «Si tratta di un racconto d’eccezionale interesse sotto tutti i punti di vista» ― si affrettò a dichiarare il «Guardian» di Manchester. Che vita rappresenta l’autore? Noi utilizzeremo, affinché risulti del tutto chiaro di che cosa si tratta, l’esposizione, piena di simpatia, che ne dà questo autorevole giornale borghese. Secondo l’autore dell’articolo, il libro rivela «gli aspetti intimi della vita della società sovietica e racconta le vicende familiari del procuratore Vladimir Globov, buon padre di famiglia e fedele sostenitore del regime comunista. Sua moglie è una donna innamorata di se stessa che ogni mattina si rimira ignuda nello specchio, mentre Vladimir la spia dal buco della serratura. Il loro figliolo, lo scolaro Sereža, organizza una società segreta, composta da lui e da una bambina con gli occhiali. Lo scopo di questo gioco fanciullesco è lo scalzamento del governo e la creazione di un’autentica società comunista. Due agenti della polizia segreta vagano per il rione elaborando piani per rendere più efficace il loro lavoro, per mezzo della collocazione di filtri nei condotti delle fognature, che trattengano tutti i documenti criminali, gettati nei vasi di latrina…».
Al critico del «Guardian» è piaciuto il tono «particolare», pacato del libro, la maestria e il lucido giudizio dell’autore. Che dire, ognuno ha i suoi gusti. Ma persino da quest’esposizione partigiana appare chiaro che ci troviamo di fronte ad un falso antisovietico piuttosto stupido, fatto su misura per il lettore poco esigente. Le sue immagini non hanno nulla a che vedere con la vita sovietica, ma si possono al massimo riferire alle opere sessual-antirivoluzionarie dell’epoca di maggior marasma sociale sul tipo delle poesie di Sologub o dei racconti di Arcybašev.
I fautori della «guerra fredda» nel campo dell’estetica, nella loro lotta contro il realismo socialista, a quale autenticità, a quale verità vogliono portare?… Non per nulla l’incognito scrittore, lodato dal «Guardian», ha ricordato le tubature dal noto impiego: non sarà questa la fonte d’informazione di questi anonimi e di questi scrittori sotto pseudonimo?

Edited by Andrej Zdanov - 8/8/2014, 19:00
 
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