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Tsaritsyn

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view post Posted on 10/5/2013, 18:46

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Da K. Voroscilov, Stalin e l’Esercito rosso, La Russia sovietica di oggi, n. 5, Società Editrice L’Unità, Roma, 1945, pp. 6-12:


Tsaritsyn


Il compagno Stalin iniziò la sua attività militare sui fronti di Tsaritsyn (poi Stalingrado n.d.r.), e in modo abbastanza fortuito. Al principio di giugno del 1918 il compagno Stalin, con un distaccamento di soldati rossi e due autoblindate, è inviato a Tsaritsyn per organizzare tutti gli approvvigionamenti della Russia meridionale. A Tsaritsyn trova non soltanto un caos incredibile nelle organizzazioni sovietiche, sindacali e di partito, ma una confusione ancora peggiore, e una situazione inestricabile negli organi del comando militare. Il compagno si urta ad ogni passo in ostacoli di carattere generale, che gli impediscono di adempiere il suo compito immediato. Questi ostacoli erano dovuti soprattutto al rapido sviluppo della controrivoluzione cosacca che, in quel momento, era fortemente appoggiata dai tedeschi che avevano occupato l’Ucraina. Le bande controrivoluzionarie cosacche occupano in poco tempo tutta una serie di località vicine a Tsaritsyn e in questo modo non soltanto distruggono ogni possibilità di incetta sistematica del grano per le popolazioni affamate di Mosca e di Leningrado, ma creano una situazione estremamente pericolosa per la stessa Tsaritsyn.
Né in quel momento la situazione è migliore altrove. A Mosca scoppia la rivolta dei socialisti-rivoluzionari di sinistra, all’est Muraviev tradisce; negli Urali si sviluppa e si rafforza la controrivoluzione cecoslovacca; alla frontiera meridionale, gli inglesi marciano su Bakù. Si è circondati da un cerchio di fuoco. La rivoluzione attraversa le più terribili prove. Pei fili del telegrafo si succedono, uno dietro l’altro, i telegrammi di Lenin al compagno Stalin e di Stalin a Lenin. Lenin, preavvertito dei pericoli, incoraggia, esige misure decisive. La situazione di Tsaritsyn acquista una importanza enorme. Se il Don insorge e se perdiamo Tsaritsyn corriamo il rischio di perdere tutto il Caucaso del Nord, ricco produttore di grano. E questo il compagno Stalin lo comprende perfettamente. Rivoluzionario esperto, egli giunge presto alla convinzione che il suo lavoro darà un risultato a una sola condizione, – che egli riesca ad esercitare una influenza sul comando militare la cui funzione, nelle condizioni del momento, diventa decisiva.
“La linea al sud di Tsaritsyn non è ancora ristabilita”, scrive egli a Lenin in una nota del 7 luglio, seguita da un poscritto caratteristico: “Mi affretto verso il fronte, scrivo soltanto di ciò che riguarda il lavoro”.
“Scaccio e rimprovero chi di dovere. Spero che la linea sarà presto ristabilita. Potete esser certo che non risparmieremo nessuno, né noi stessi né gli altri e il grano lo daremo ad ogni costo. Se i nostri “specialisti” militari (ciabattini!) non dormissero e non fossero dei fannulloni, la linea del fronte non sarebbe stata spezzata; e se la linea sarà ristabilita lo sarà non grazie ai militari, ma loro malgrado”.
E poi, rispondendo alla preoccupazione di Lenin circa la possibilità di un’azione dei socialisti rivoluzionari di “sinistra” a Tsaritsyn, scrive in termini brevi, ma fermi e chiari:
“Quanto agli isterici, state sicuro che non ci tremerà la mano; coi nemici agiremo da nemici”.
Esaminando sempre più attentamente l’apparato militare, il compagno Stalin si convince della completa impotenza di esso e del fatto che in parte manca persino la volontà di organizzare la resistenza alla controrivoluzione che diventa arrogante.
E già l’11 luglio 1918 il compagno Stalin telegrafa a Lenin:
“Le cose si complicano per il fatto che lo stato maggiore del Caucaso settentrionale si dimostra assolutamente incapace di adeguarsi alle condizioni della lotta contro la controrivoluzione. Il grave è che non soltanto i nostri “specialisti” sono psicologicamente inadatti a una lotta decisiva contro la controrivoluzione, ma che essi nella loro qualità di ufficiali “di stato maggiore”, capaci solo di “abbozzare dei tracciati” e di fare dei piani di rimaneggiamento delle formazioni, guardano con assoluta indifferenza alle azioni operative… e, in generale, si considerano come degli estranei, degli ospiti. I commissari militari non sono riusciti a colmare questa lacuna…”.
Il compagno Stalin non si limita a dare questa caratteristica implacabile; nella stessa nota egli trae la conclusione pratica per la sua attività:
“Non mi sento in diritto di rimanere indifferente davanti a questo stato di cose, quando il fronte di Kalinin (che allora dirigeva le operazioni nel Caucaso settentrionale, V.) è tagliato fuori dai punti di vettovagliamento e il Nord lo è dalle regioni cerealicole. Metterò fine, sul posto, a queste ed a molte altre insufficienze. Prendo una serie di misure e ne prenderò delle altre sino alla destituzione dei funzionari e comandanti che compromettono la nostra causa, e ciò malgrado le difficoltà di forma, che all’occorrenza saprò spezzare. Naturalmente prendo su di me tutta la responsabilità di fronte a tutti gli organi superiori”.
La situazione diventava sempre più tesa. Il compagno Stalin spiega un’energia colossale e, in breve, da commissario straordinario per l’approvvigionamento diventa, di fatto, il dirigente di tutte le forze rosse del fronte di Tsaritsyn. Questa situazione riceve una sanzione ufficiale a Mosca e al compagno Stalin sono affidati i compiti di:
“Ristabilire l’ordine, riunire i reparti in unità regolari, costituire un vero comando, cacciare tutti quelli che rifiutano di obbedire” (dal telegramma del Consiglio Militare Rivoluzionario della Repubblica che porta la menzione: “Il presente telegramma è spedito in accordo con Lenin”).
In quel momento si trovavano sotto a Tsaritsyn i resti delle armate rivoluzionarie dell’Ucraina, ritiratesi attraverso le steppe del Don sotto la pressione delle truppe tedesche.
Sotto la direzione del compagno Stalin si crea un Consiglio Militare Rivoluzionario che procede all’organizzazione di un esercito regolare. L’ardente natura del compagno Stalin, la sua energia e volontà ottennero ciò che il giorno prima pareva ancora impossibile. In un periodo di tempo brevissimo si creano divisioni, brigate e reggimenti. Lo stato maggiore, gli organi del vettovagliamento e tutte le retrovie sono ripulite radicalmente degli elementi controrivoluzionari e ostili. L’apparato sovietico e di partito si migliora e si mostra più energico. Attorno al compagno Stalin si raccoglie un gruppo di vecchi bolscevichi e di operai rivoluzionari e invece di uno stato maggiore impotente sorge nel sud, alle porte del Don controrivoluzionario, una rossa fortezza bolscevica.
In quel periodo Tsaritsyn rigurgitava di controrivoluzionari di tutte le risme, dai socialisti rivoluzionari di destra e dai terroristi sino ai monarchici incarogniti. Tutti questi signori, sino all’arrivo del compagno Stalin e a quello dei reparti rivoluzionari dell’Ucraina, si sentivano quasi completamente liberi e vivevano aspettando giorni migliori. Per assicurare la riorganizzazione delle forze rosse al fronte, bisognava spazzare le retrovie con mano ferrea, implacabile. Il Consiglio Militare Rivoluzionario, diretto dal compagno Stalin, crea una Cekà speciale, a cui affida il compito di epurare Tsaritsyn dalla controrivoluzione.
La testimonianza del nemico è talvolta preziosa e interessante. Ecco come, nella rivista delle guardie bianche “Donskaja Voinà” (“L’onda del Don”) del 3 febbraio 1919, il colonnello Nossovic (ex-capo della direzione delle operazioni dell’armata), che ci aveva tradito ed era passato al servizio di Krassnov, descrive questo periodo e la parte avuta in esso dal compagno Stalin:
“Il compito principale affidato a Stalin era l’approvvigionamento delle province settentrionali e, per adempiere questo incarico, egli era stato investito di poteri illimitati…
“La linea Griazi-Tsaritsyn era stata definitivamente tagliata. Al nord era rimasta una sola possibilità di ricevere munizioni e di mantenere i collegamenti: il Volga. Nel sud, dopo l’occupazione di Tighoretski da parte dei volontari, la situazione era pure diventata molto precaria. E per Stalin, il quale attingeva le sue risorse esclusivamente dalla provincia di Stavropol, questa situazione significava quasi la fine della sua missione nel sud. Ma, evidentemente, rinunciare a portare a buon termine un compito affidatogli non era nelle abitudini di un uomo come Stalin. Si deve rendergli la giustizia di riconoscere che la sua energia può destare l’invidia di qualsiasi vecchio amministratore e che molti potrebbero imparare da lui la capacità di applicarsi al lavoro e alle circostanze.
“A poco a poco, nella misura in cui il suo lavoro diminuiva, o, più giustamente, mano a mano che il suo compito diretto si restringeva, Stalin incominciò a penetrare in tutti i rami dell’amministrazione della città e soprattutto a occuparsi del grave problema della difesa di Tsaritsyn e, in particolare, di tutto il cosiddetto fronte rivoluzionario del Caucaso”.
E più avanti, passando a dare una caratteristica della situazione di Tsaritsyn, Nossovic scrive:
“Da quel momento a Tsaritsyn, in generale, l’atmosfera si fece irrespirabile. La Cekà di Tsaritsyn lavorava in pieno. Non passava giorno senza che si scoprissero dei complotti nei luoghi che parevano più sicuri e segreti. Tutte le prigioni della città rigurgitavano…
“La lotta al fronte aveva raggiunto il più alto grado di tensione…
“Dal 20 luglio Stalin si trovò ad essere il principale propulsore e dirigente. Una semplice conversazione per filo diretto col centro sulle insufficienze e gli inconvenienti della organizzazione della direzione della regione bastò perché Mosca, per filo diretto, emanasse l’ordine col quale Stalin veniva messo a capo di tutta l’amministrazione militare e civile…”.
Ma Nossovic stesso più avanti riconosce quanto era fondata questa repressione. Ecco quanto scrive circa le organizzazioni controrivoluzionarie di Tsaritsyn:
“In quel momento anche l’organizzazione controrivoluzionaria, che aveva come programma l’Assemblea Costituente, si era considerevolmente rafforzata e, ricevuto denaro da Mosca, si preparava a entrare in azione per aiutare i cosacchi del Don nella loro lotta per liberare Tsaritsyn.
“Disgraziatamente, l’ingegnere Alekseiev, capo di questa organizzazione, e i suoi due figli, venuti da Mosca, erano poco al corrente della situazione reale e, causa una errata impostazione del piano, che prevedeva di far partecipare all’azione il battaglione serbo, già al servizio dei bolscevichi presso la Cekà, l’organizzazione fu scoperta…
“La risoluzione di Stalin fu breve: «Fucilare». L’ingegnere Alekseiev, i suoi due figli e con essi un numero considerevole di ufficiali, parte dei quali appartenevano all’organizzazione e parte erano soltanto sospetti di farne parte, furono presi dalla Cekà e, senza alcun giudizio, immediatamente fucilati”.
Passando in seguito alla ripulitura delle retrovie (lo stato maggiore del Caucaso settentrionale e i suoi servizi) dalle guardie bianche, Nossovic scrive:
“Caratteristica di questa ripulitura fu l’atteggiamento di Stalin verso i telegrammi dal centro che gli davano delle direttive. Quando Trotskij, preoccupato perché si sconvolgeva la direzione delle regioni militari, messa in piedi da lui con tanta fatica, inviò un telegramma circa la necessità di lasciare immutati lo stato maggiore e il commissariato e di dar loro la possibilità di lavorare, Stalin scrisse sul telegramma una nota categorica e molto significativa:
«Non prendere in considerazione».
“E infatti, il telegramma non fu preso in considerazione e tutta la direzione dell’artiglieria e parte dello stato maggiore continuarono a vivere su una chiatta a Tsaritsyn”.
La fisionomia di Tsaritsyn divenne in breve tempo irriconoscibile. La città, nella quale ancor poco tempo prima suonava la musica nei giardini, dove la borghesia profuga gironzolava apertamente, con ufficiali bianchi in folla per le vie, si trasformò in un campo militare rosso, dove vige per tutti l’ordine più severo e una disciplina militare. Questo rafforzamento delle retrovie ha immediatamente una ripercussione favorevole sullo stato d’animo dei nostri reggimenti che si battono al fronte. Il corpo dei comandanti e dei commissari politici e tutta la massa dei soldati rossi incominciano a rendersi conto che una solida mano rivoluzionaria li dirige, una mano che conduce la lotta per gli interessi degli operai e dei contadini, che colpisce implacabilmente tutti coloro che si frappongono sul cammino di questa lotta.
Il compagno Stalin non si limita a dirigere dal suo ufficio. Ristabilita la disciplina indispensabile, ricostituita l’organizzazione rivoluzionaria, egli parte per il fronte, che in quel momento aveva un’estensione di circa 600 chilometri. E bisognava essere Stalin e possedere la sua enorme capacità organizzativa per comprendere così bene i problemi specificatamente militari nelle condizioni estremamente difficili del momento, pur non avendo alcuna preparazione militare (il compagno Stalin non aveva mai prestato servizio militare!).
Ricordo, come fosse ora, il principio dell’agosto 1918. Le unità cosacche di Krassnov muovono all’attacco di Tsaritsyn, tentando, con attacco concentrico, di gettare nel Volga i reggimenti rossi. Per molti giorni le truppe rosse, alla testa delle quali si trovava una divisione comunista composta esclusivamente di operai del Bacino del Don, respingono con un vigore eccezionale l’attacco delle unità cosacche magnificamente organizzate. Furono giorni di estrema tensione. Bisognava vedere il compagno Stalin in quei momenti. Come sempre calmo, immerso nei suoi pensieri egli non dormiva, letteralmente, per giornate intere, dividendo la sua attività eccezionale tra le posizioni avanzate e lo stato maggiore dell’armata. La situazione al fronte era diventata quasi catastrofica. Le unità di Krassnov, sotto il comando di Fitskhalaurov, Mamontov e altri, con una manovra ben studiata respingevano le nostre truppe, che erano estenuate e avevano subito perdite enormi. Il fronte del nemico, fatto a ferro di cavallo, con le estremità poggianti sul Volga, si restringeva sempre più. Ogni possibilità di ritirata ci era chiusa. Ma Stalin non se ne preoccupava. Egli era penetrato da una sola convinzione, da un’unica idea: – Vincere, battere il nemico a qualunque costo. – E questa volontà incrollabile di Stalin si comunicava a tutti i suoi collaboratori più vicini e, malgrado la situazione quasi disperata, nessuno dubitava della vittoria.
E vincemmo. Il nemico, disfatto, fu rigettato lontano, verso il Don.

Edited by Andrej Zdanov - 10/5/2013, 23:02
 
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