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Su Breznev (raccolta), Andrej Zdanov (utente)

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view post Posted on 12/3/2013, 22:41

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Leninismo o socialimperialismo?

Nota pubblicata su Facebook in data 8 dicembre 2012


Il titolo di questa nota riprende quello del celebre articolo delle redazioni del Quotidiano del popolo, di Bandiera rossa e del Quotidiano dell’Esercito popolare di liberazione del 22 aprile 1970, incluso nelle Opere di Mao Tse-tung (vol. 24, pp. 108-128), nel quale la Dottrina Breznev e la prassi politica ed essa legata erano condannate in forma particolarmente netta, in quanto manifestazione del “socialimperialismo”. Un tempo le mie opinioni coincidevano con quelle espresse in quello scritto. Tuttavia, la presa in esame del materiale documentario sulle questioni storiche trattate mi ha fatto gradualmente mutare giudizio. Sicché compresi come il senso del titolo (Leninismo o socialimperialismo?) possa essere ribaltato, evidenziando l’estraneità dell’URSS a fini imperialistici e il suo impegno nella difesa della comunità socialista dai reparti d’assalto della controrivoluzione. Quanto segue è tratto dalla risposta inviata ad un compagno maoista appena ieri; il Poscritto contiene materiale impiegato più avanti nella stessa risposta, con qualche aggiunta. Buona lettura a tutti i compagni.

Cecoslovacchia.

Qual era la situazione nel paese alla vigilia dell’intervento del Patto di Varsavia?
“…Dubcek, che dall’inizio aveva la fiducia nel Partito e nel paese, passò gradualmente da posizioni marxiste-leniniste, subì l’influsso degli opportunisti di destra e delle forze antisocialiste, e alla fine ne divenne il simbolo”.
“Anche la disgregazione del potere socialista raggiunse un livello rilevante. Il modo di procedere di Dubcek a capo del Partito e di Cernik come presidente del governo condussero al punto che fu pian piano smantellata l’attività degli organi di potere dello stato socialista, la pubblica sicurezza, la giustizia, l’esercito, utilizzati dai nemici interni ed esterni del nostro regime”.
“L’attività del governo e il suo modo di procedere furono determinati oltre da Cernik anche da altri elementi di destra che indebolirono la gestione statale della società socialista, deformarono le intenzioni della riforma economica e fecero di tutto per dar spazio a concezioni revisioniste e antisocialiste negli ambiti principali della politica statale”.
“J. Smrkovsky da un lato fece approvare alcune modifiche legislative illegali che appoggiavano la destra, e dall’altro con F. Kriegl ostacolò la promulgazione di misure legislative contro la reazione e la controrivoluzione”.
“Per la crescita dei fenomeni negativi nell’esercito ebbe parte fondamentale il gen. Prchlik, che dopo il gennaio 1968 passò dalla funzione di capo della Direzione politica centrale a quella di direttore della sezione del CC del Partito per il comando del lavoro di partito nell’esercito, nella pubblica sicurezza, nei tribunali e nelle procure”.
“La destra danneggiò soprattutto i nostri giovani… Si giunse allo scioglimento dell’Unione della gioventù cecoslovacca quale unica organizzazione che influiva sull’educazione politico-ideologica della gioventù nello spirito del marxismo-leninismo. In conseguenza dell’indecisione della presidenza del CC del Partito, le organizzazioni giovanili furono lasciate in mano alle forze controrivoluzionarie di destra”.
“Anche l’Opera di rinnovamento conciliare svolse una ampia attività al servizio del clericalismo politico combattente”.
E così via. Il documento Conclusioni tratte dallo sviluppo della crisi nel Partito e nella società dopo il XIII congresso del PCC, pubblicato dalla sezione propaganda del CC del PCC nel marzo 1971, da cui sono tratte le precedenti informazioni, conclude constatando la gravità della situazione: “Nell’agosto 1968 in Cecoslovacchia si è creata una situazione controrivoluzionaria esasperata, e il nostro paese si è trovato sull’orlo della guerra civile… La scelta fu o con la controrivoluzione, che con la reazione internazionale stava svolgendo la sua opera nefasta, oppure con le forze socialiste al fine di respingere la controrivoluzione e difendere la causa del socialismo”. Dunque: “L’ingresso delle truppe alleate in Cecoslovacchia il 21 agosto 1968 ha prevenuto un bagno di sangue e fu perciò l’unica decisione necessaria e corretta”.
La propaganda occidentale ha a lungo raffigurato l’intervento del Patto di Varsavia come una “invasione”, e tutt’ora lo spaccia per tale. In realtà furono gli stessi comunisti cecoslovacchi a chiedere l’intervento. Nell’agosto 1968, i dirigenti del PCC che più vivamente avvertirono il pericolo della controrivoluzione incalzante e che compresero il tradimento di Dubcek, inviarono a Breznev la seguente lettera:

“Egregio Leonid Il’ic (Breznev),

ci rivolgiamo a Lei con la seguente dichiarazione, consapevoli della grave responsabilità che ci assumiamo. Il nostro processo democratico iniziato a gennaio e fondamentalmente positivo, la correzione degli errori e delle colpe commessi nel passato e dell’intera guida politica della società, stanno via via scivolando dalle mani del comitato centrale del partito. La stampa, la radio e la televisione, che sono praticamente in balìa delle forze di destra, hanno influenzato l’opinione pubblica a tal punto che iniziano a inserirsi elementi ostili nella vita politica del nostro paese, senza che la società insorga. Creano ondate di nazionalismo e sciovinismo e suscitano la psicosi anticomunista e antisovietica. Il nostro collettivo – la gestione del partito – ha commesso una serie di errori. Non abbiamo saputo difendere e realizzare adeguatamente le norme marxiste-leniniste della vita di partito, soprattutto i principi del centralismo democratico. La gestione del partito non è più in grado di difendersi adeguatamente dagli attacchi contro il socialismo, non è in grado di organizzare una resistenza né ideologica né politica contro le forze di destra. La stessa esistenza del socialismo nel nostro paese è minacciata. Gli strumenti politici e di governo sono già in una certa misura paralizzati. Le forze di destra hanno creato condizioni favorevoli per il colpo di Stato controrivoluzionario. In questa situazione ci rivolgiamo a voi, comunisti sovietici, rappresentanti guida del PCUS e dell’URSS, chiedendovi di appoggiarci ed aiutarci efficacemente con tutti i mezzi a vostra disposizione. Solo con il vostro aiuto si può salvare la Cecoslovacchia dal pericolo minaccioso della controrivoluzione. Ci rendiamo conto che per il PCUS e per l’URSS questo passo estremo per la difesa del socialismo in Cecoslovacchia non è semplice. Per questo lotteremo con tutte le forze e con tutti i nostri mezzi. Nel caso in cui le nostre forze e possibilità si esaurissero o non ottenessero risultati positivi, considerate questa nostra dichiarazione come una richiesta urgente di un’azione e di aiuto generale da parte vostra. Tenendo conto della complessità e della pericolosità della situazione nel nostro paese vi chiediamo il massimo riserbo in merito alla nostra dichiarazione. Per questo vi abbiamo scritto direttamente in russo”.

Firmato: Indra, Kolder, Kapek, Svestka, Bil’ak

Per non mostrare debolezza e non fornire ai controrivoluzionari ulteriori pretesti per l’agitazione nazionalistica, i firmatari della lettera agirono in segreto e chiesero all’URSS di mantenere la riservatezza. Dal canto loro, i sovietici, nel tentativo di mettere a tacere le calunnie dei nemici del socialismo a proposito della presunta “invasione”, scrivevano sulla Pravda nello stesso mese: “Dirigenti di partito e di Stato della repubblica socialista cecoslovacca si sono rivolti all’URSS e agli altri paesi alleati, chiedendo di fornire al popolo cecoslovacco fratello un aiuto immediato, anche con l’ausilio delle forze armate… Le misure intraprese non sono dirette contro lo Stato… Esse servono alla pace e sono dettate dalla preoccupazione di rafforzarla”. Tuttavia, per rispettare la volontà dei dirigenti cecoslovacchi, la loro dichiarazione non fu esplicitamente menzionata.
L’intervento delle truppe del Patto di Varsavia stroncò una controrivoluzione che avrebbe potuto avere conseguenze potenzialmente disastrose, quali la restaurazione del capitalismo in Cecoslovacchia, la creazione di un avamposto borghese incuneato al centro del campo socialista, il probabile scoppio di un conflitto armato con la NATO, un danno oggettivo alla causa del movimento comunista mondiale. Sottolineo quest’ultimo aspetto, che è uno dei problemi fondamentali affrontati dalla Dottrina Breznev. Scrive il teorico marxista S. Kovalëv, poco dopo l’intervento del Patto di Varsavia: “Non possiamo ignorare le affermazioni, tenutesi in alcuni luoghi, che le azioni dei cinque paesi socialisti siano in contrasto con il principio marxista-leninista della sovranità e dei diritti dei popoli all’autodeterminazione. L’infondatezza di un tale ragionamento consiste principalmente in quanto si basa su un approccio astratto e non di classe, alla questione della sovranità e dei diritti dei popoli all’autodeterminazione. I popoli dei paesi socialisti e i partiti comunisti certamente hanno e dovrebbero avere la libertà di determinare le modalità di avanzamento dei loro rispettivi paesi. Tuttavia, nessuna delle loro decisioni dovrebbe danneggiare o il socialismo nel loro paese o gli interessi fondamentali degli altri paesi socialisti, e di tutto il movimento operaio, che lavora per il socialismo” (La sovranità e i doveri internazionali dei paesi socialisti, “Pravda”, 26 settembre 1968).
Il concetto fondamentale è chiaro: ogni partito comunista può muoversi liberamente, in accordo con le particolarità nazionali del proprio scenario d’azione, ma non deve violare le leggi generali dell’edificazione socialista, poiché ciò significherebbe abbandonare il socialismo, incamminarsi sulla via del capitalismo. La restaurazione del capitalismo in un paese socialista rappresenta una danno sia per il proletariato del paese stesso, sia per il movimento comunista mondiale, che si vede così privato di uno dei suoi reparti. Dalla teoria leninista-staliniana del socialismo in un solo paese sappiamo infatti che la vittoria del socialismo in un paese può ritenersi definitiva soltanto qualora il socialismo abbia trionfato in una serie di altri paesi limitrofi, i quali lo proteggano dai tentativi di aggressione militare da parte dei paesi capitalistici. Con la vittoria della controrivoluzione in Cecoslovacchia, il campo capitalista avrebbe raggiunto i confini dell’URSS, ed anche quelli della Polonia.
Nelle già citate Conclusioni tratte dallo sviluppo della crisi nel Partito e nella società dopo il XIII congresso del PCC si legge: “Fra i valori costanti e immutati del socialismo vi sono:
- Il ruolo guida della classe operaia e della sua avanguardia, il Partito comunista;
- la funzione dello stato socialista come metodo della dittatura del proletariato;
- l’ideologia marxista-leninista e la sua applicazione tramite tutti gli strumenti di influsso sulle masse;
- la proprietà comune socialista dei mezzi di produzione e i principi della gestione pianificata dell’economia nazionale;
- i principi dell’internazionalismo proletario e la loro conseguente realizzazione in politica estera, specialmente in rapporto all’URSS”.
Questi principi furono violati dai revisionisti. Per esempio, durante il IV Congresso degli scrittori cecoslovacchi (27-29 giugno 1967), Ludvík Vaculík giunse ad affermare: “Questo congresso non si è tenuto quando lo hanno deciso i membri di questa organizzazione, ma quando il «padrone» ha amabilmente concesso la sua approvazione. In compenso egli si aspetta che renderemo omaggio alla sua dinastia. Propongo di non rendergli omaggio”. Il «padrone», ovviamente, era il partito.
Lo stesso autore, nel manifesto delle Duemila parole, scrisse: “L’inganno maggiore” era stato che mentre “molti operai credevano di governare”, in realtà “governava in loro nome uno strato particolarmente istruito di funzionari di partito e statali”. Questi funzionari “avevano preso il posto della classe rovesciata, diventando i nuovi signori”. Dunque, negazione del ruolo guida del partito e denigrazione della dittatura del proletariato, nel più classico stile trotskista.
Già nel 1963, l’economista Radoslav Selucky, sulle pagine della rivista Kulturní tvorba, criticava il «culto del piano», pronunciandosi a favore della decentralizzazione, sul modello jugoslavo.
La propaganda contro l’URSS e gli altri paesi socialisti poté liberamente imperversare nella rete dei mezzi di comunicazione, a causa del controllo di quest’ultima da parte dei revisionisti (il direttore generale della TV di Praga Pelikan e altri), suscitando vive proteste da parte dei partiti fratelli. Lo stesso Breznev, in una conversazione telefonica con Dubcek il 13 agosto 1968, si lamentò della situazione: «Negli ultimi due o tre giorni i vostri giornali hanno pubblicato calunnie contro l’Urss e gli altri partiti fratelli. I miei compagni del Politburo insistono per mandare una nota di protesta e io non posso trattenerli dal farlo».
Tale era la situazione creatasi in Cecoslovacchia, che indusse i sinceri comunisti a chiedere aiuto all’URSS.

Per una compiuta analisi della questione, vedi le più volte menzionate Conclusioni tratte dallo sviluppo della crisi nel Partito e nella società dopo il XIII congresso del PCC (www.charta77.org/pdffiles/Pouceni1971.pdf; il sito che le ha pubblicate è anticomunista, quindi non si faccia caso agli insulti e alle stupidaggini borghesi proferite qua e là) e anche l’articolo di Massimo Ciusani Agosto 1968 – Agosto 2008: il pericolo di destra nei partiti comunisti (www.resistenze.org/sito/te/cu/st/cust8i04-003621.htm).

Afghanistan.

Così il compagno Enrico Vigna descrive il sorgere della controrivoluzione nel paese, dopo l’ascesa al potere del PDPA:

«Da quel momento si formarono le prime bande (spesso tribali o di clan) e i primi campi di controrivoluzionari nel Pakistan: già nei primi mesi 1979 nella regione di Peshawar c’erano venti campi e una cinquantina di basi in cui erano concentrati fino a 30.000 uomini, finanziati, armati e foraggiati dal Congresso americano. A marzo-aprile del 1979 la controrivoluzione assaltò la città di Herat con bande provenienti dal vicino Pakistan con la complicità dello stesso esercito pakistano. Il leader di queste prime bande era S. Mojaddadi, riparato in occidente già nel luglio 1978. Il tentativo fallì, l’esercito e le milizie popolari respinsero l’aggressione. Il rappresentante del Dipartimento di Stato degli Usa W. Christopher in visita in Pakistan nell’estate 1979, invitò alla formazione di un governo in esilio e all’unione dei rivoltosi, garantendone il riconoscimento degli Stati Uniti. Nel frattempo in Pakistan cominciarono ad arrivare navi con armi e munizioni. Gli Usa cercarono per un po’ di negare il loro coinvolgimento, ma furono traditi dall’ex-presidente dell’Egitto Sadat: nel settembre 1981 parlando alla televisione fu preso improvvisamente da uno slancio di sincerità e dichiarò: “… vi rivelerò un segreto. Appena cominciò la lotta nell’Afghanistan, gli Stati Uniti stabilirono contatti con me per fornire armi all’opposizione afgana dal Cairo su aerei americani…”. [TV Egiziana, settembre 1981]

Così cominciò l’intervento e l’ingerenza straniera e il calvario del popolo afgano che dura ancora oggi: fondamentale sottolineare che tutto questo avveniva quando di truppe sovietiche in Afghanistan non c’era nemmeno l’ombra. Dopo i fatti di Herat il governo afgano sulla base del punto 7 del Trattato Sovietico-Afghano di amicizia, buon vicinato e collaborazione richiese più volte aiuto all’Unione Sovietica, la quale pur solidarizzando con il governo afgano non prese decisioni immediate, valutando ponderatamente la situazione nell’insieme e sollecitando fermamente l’ONU a fermare le attività di questi gruppi fuorilegge e armati.

Nel suo libro di memorie “Dalle ombre”, l’ex direttore della CIA, R. Gates scrive che i Sevizi segreti americani cominciarono a fornire aiuti alla controrivoluzione sei mesi prima dell’intervento sovietico [R. Gates, "From thè Shadows"]. Confermato dallo stesso Brzezinski, che all’epoca era Consigliere per la Sicurezza Nazionale del presidente Carter, in un intervista al “Le Nouvel Observateur”; alla faccia dei nostri intelligentoni leaders della sinistra nostrana, creduloni e storicamente puntualmente disponibili (… ultimo esempio la Jugoslavia… ) a recepire e fare proprie le versioni che poi, immancabilmente si dimostrano direttive e progetti targati CIA, serenamente ammessi (perlomeno negli ultimi cinquant’anni). In questa intervista egli ammette tranquillamente: “… la versione ufficiale della CIA fu che gli aiuti ai mujaheddin cominciarono durante il 1980, dopo l’intervento sovietico del 24 dicembre 1979, ma la realtà… è completamente diversa: infatti fu il 3 luglio 1979 che il presidente Carter firmò la prima direttiva per aiuti segreti all’opposizione del regime prò-sovietico di Kabul… Quando i sovietici giustificarono il loro intervento per contrastare il coinvolgimento segreto degli Stati Uniti in Afghanistan, l’opinione pubblica non gli credette…”».

(Enrico Vigna, Afghanistan ieri e oggi)

Durante un colloquio a Mosca il 20 marzo 1979, il primo ministro sovietico Kossighin disse a Taraki: «Noi crediamo che sarebbe un errore fatale mandare le nostre truppe in Afghanistan. Se ci entrassero la situazione non migliorerebbe. Anzi, peggiorerebbe. Le nostre truppe dovrebbero combattere non solo con dei nemici esterni, ma anche con una parte della popolazione».
I sovietici erano ben consapevoli dei rischi derivanti da un loro intervento in Afghanistan. Taraki aveva avuto, due giorni prima della riunione di Mosca, una conversazione telefonica con Kossighin (http://publishing.cdlib.org/ucpressebooks/...d=&brand=eschol), al quale aveva richiesto l’invio di truppe sovietiche in Afghanistan, magari camuffate da unità afghane, che l’URSS prontamente fornì.
Nel luglio 1979 Taraki iniziò a chiedere l’invio di un grande contingente sovietico nel paese. I sovietici preferirono non intervenire immediatamente, ma erano sempre più preoccupati per i contrasti interni al PDPA. Breznev, in due incontri a Mosca (il 20 marzo e all’inizio di settembre 1979), aveva consigliato a Taraki di rimuovere Amin (fautore della linea avventurista e rivale di Taraki) dalla direzione, avvisandolo del pericolo di attentati organizzati da quest’ultimo. In settembre, Taraki tentò di affrontare Amin ma fu sconfitto e ucciso. Con la sua linea ultrasinistra, Amin favorì oggettivamente il proliferare della controrivoluzione, inimicò al partito ampi strati sociali. Indifferente ai suggerimenti del generale sovietico Viktor Paputin di attuare una politica meno estremistica, Amin era probabilmente un agente americano, incaricato di destabilizzare il paese attraverso una politica ultrasinistra, secondo uno schema già collaudato da tempo (vedi Ezov).
Fu solo quando tutto ciò fu chiaro, che i sovietici intervennero direttamente in Afghanistan, contrariamente alla propria decisione iniziale. Immediatamente gli USA si mossero contro l’URSS, supportati dalla Cina di Deng (non più maoista). «L’aggressione cinese al Vietnam, la decisione della Nato di iniziare una nuova fase nella corsa agli armamenti con l’installazione di nuovi missili nucleari in Europa, la concentrazione di un formidabile apparato militare americano intorno all’Iran, l’addestramento e l’invio nell’Afghanistan democratico di gruppi armati… non sono fenomeni isolati, ma anelli di un’unica catena», diceva Mikhail Suslov nel suo discorso al VIII Congresso del POUP, il 13 febbraio 1980.
Nonostante il conflitto armato, il governo del PDPA ottenne numerosi successi sul fronte economico, come illustrato dal compagno Vigna:

“I risultati della rivoluzione dal 1980 al 1985, nonostante la controrivoluzione:

Costruiti due impianti per l’estrazione del gas, che alla fine dell’85 avranno portato all’esportazione di gas, pari al 40% dell’affluenza di valuta del paese.

Produzione nazionale lorda: aumentata del 13%
Produzione dell’energia elettrica: aumentata del 61%.
Produzione del settore statale: aumentata del 47%.
Produzione del settore industriale: aumentata del 25%.
Costruiti 100 impianti industriali (uguale al 70% del bilancio dell’entrate del paese) comprese dighe, centrali elettriche e 1600 Km di strade.
Artigianato, con 296.000 lavoratori: ha una produzione di 14,450 miliardi di afgani.
Produzione di pellicce Astrakan: raggiunge l’8% del volume del commercio del paese.
Produzione dell’energia elettrica: aumenta del 48%.
Produzione di gas: aumentata del 10%.
Produzione della farina: aumentata del 60%.
Produzione del cemento: aumentato dell’I 1%.
Produzione di carne: aumentata del 17%.
Alfabetizzati 1.380.000 uomini e donne.
Formazione di 80.000 operai specializzati.

All’interno della campagna per l’alfabetizzazione formati 20 corsi speciali per lavoratori nell’orario di lavoro. La fabbrica di scarpe Akho e l’azienda Melli Bass sono state le prime aziende ad avere i lavoratori completamente alfabetizzati.

Produzione di agrumi: raggiunge le 2.000 tonnellate (con un valore di valuta importata di 800.000 dollari).

Media dei salari: aumentata del 2,4%.

Nel 1978 nel paese esistevano 30 scuole materne. Nel 1985 ce n’erano 309.

Ospedali e ambulatori aumentati del 92%.

Posti letto ospedalieri: aumentati dell’80%.

Medici specialisti: aumentati del 70%.

La fabbrica tessile Ensafi raggiunge la produzione di 2500 metri di materiale al giorno (media europea).

L’84% della popolazione viveva in campagna. All’interno della riforma agraria e dell’acqua furono redistribuiti 810.000 ettari di terra a contadini senza terra o con poca terra, furono stanziati dal governo 60 milioni di dollari di crediti a tasso zero per i contadini e le cooperative, 647.000 contadini aderirono a forme cooperative. Furono cancellati tutti i debiti contratti prima della rivoluzione a 760.000 famiglie contadine.

Nel 1985:
- la produttività nelle campagne ebbe un incremento del 78%;
- solo nei primi tre mesi dell’85, 910.000 nuovi ettari furono coltivati a cotone;
- ci fu un aumento del 40% in più di famiglie che ottennero la terra;
- l’esportazione della produzione della cooperativa Busti di uva afgana raggiunse 900.000 dollari.
Realizzazioni in cooperazione con l’URSS:
- centrale idroelettrica Naglu (produzione -100.000KW);
- fabbrica di azoto Mazar I Sharif (produzione 150.000 carbammidi all’anno);
- autofficina Dzhangalk;
- stabilimento prefabbricati edilizi di Kabul;
- Politecnico di Kabul;
- 5 istituti tecnici;
- 11 scuole professionali;
- 1 stazione spaziale chiamata LOTOS per le comunicazioni satellitari;
- 1 ponte sul Amudarja;
- 2 fabbriche per la panificazione e produzione di cibi in scatola.

Nel 1985 furono costruite 5.600 case, pari a 610.000 mq abitativi, 28 scuole, 6 asili, 40 biblioteche, 19 scuole di musica (musica afgana, indiana, orientale ed europea).”

(Enrico Vigna, Afghanistan ieri e oggi)

Purtroppo l’arrendevolezza di Gorbaciov pose fine a questo periodo di grande sviluppo della nazione afghana, facendola precipitare nel caos che ancor oggi pervade il paese.

Polonia.

Nel 1981 la situazione in Polonia era “oltremodo difficile” e “preoccupante”, come la descrisse Jaruzelski.
“Il Partito è molto debole, 600-700mila membri fanno ormai parte di Solidarnosc, si sta corrompendo, anche questo è comprensibile: una crisi dopo l’altra… La dirigenza si permette frodi. Di fronte alla popolazione ha poca autorità”.
“È apparso un altro elemento negativo: la Chiesa, che sta con Solidarnosc. Aveva già iniziato con Wyszynski. Glemp ha spedito lettere a me, a Walesa e ai deputati, scrive che l’introduzione dello stato d’emergenza ‘porterebbe alla tragedia’. Le lettere al parlamento e a Walesa finiranno ovviamente in Occidente. Se la Chiesa del resto appoggia Solidarnosc per noi la situazione sarà dura. Dovrò parlare di nuovo con Glemp. Abbiamo anche inviato il nostro rappresentante dal Papa, domani mi incontro con i cattolici” (filosocialisti).
“Nella nostra storia ogni 30 anni scoppia una rivolta… il 14 dicembre cade l’anniversario degli avvenimenti del Baltico”.
E così di seguito. I brani sopra riportati sono tratti dagli appunti del generale Anoskin, aiutante di campo del Maresciallo Viktor Kulikov, comandante in capo delle forze del Patto di Varsavia dal 1977 al 1989; in particolare, le citazioni di Jaruzelski risalgono al colloquio con Kulikov dell’8-9 dicembre 1981 (il cui recosonconto è consultabile sul solito sito anticomunista: www.charta77.org/documenti/jaruzelski.htm).
I sovietici, consapevoli della gravità della situazione, avevano predisposto piani di intervento fin dall’estate del 1980, al fine di essere pronti a soddisfare una eventuale richiesta d’aiuto del POUP:

Documento
FASCICOLO SPECIALE
Segretissimo
Copia N.
Al CC del PCUS

La situazione nella Repubblica Popolare Polacca rimane tesa. Il movimento di sciopero sta operando su scala nazionale.
Prendendo conto della situazione che emerge, il Ministero della Difesa chiede il permesso, in un primo momento, di portare 3 divisioni corazzate (una nel Distretto Militare Baltico, 2 nel Distretto Militare Bielorusso) e una divisione meccanizzata (nel Distretto Militare Transcarpatico) alla piena prontezza di combattimento per le 6.00 di sera del 29 agosto per formare un gruppo di forze in caso di assistenza militare alla Repubblica Popolare Polacca.
Per riempire queste divisioni, sarà necessaria la requisizione dall’economia nazionale di fino a 25000 militari riservisti e 6000 veicoli, inclusi 3000 per sostituire i veicoli presi da queste truppe per aiutare da fuori col raccolto. Senza i veicoli addizionali, le divisioni non possono portare le loro riserve mobili alla piena prontezza. La necessità di riempire le divisioni a spese delle risorse dell’economia nazionale sorge perché queste sono mantenute ad un livello ridotto in tempo di pace. Il riuscito adempimento dei compiti durante l’ entrata di queste divisioni nel territorio della Repubblica Popolare Polacca costringe ad essere stabiliti piani per combattere 5-7 giorni prima.
Se la situazione in Polonia si deteriora ulteriormente, noi vogliamo che si debba anche riempire da fuori le divisioni costantemente pronte dei Distretti Militari Baltico, Bielorusso e Transcarpatico al livello di tempo di guerra. Se le principali forze dell’Esercito Polacco se ne vanno verso la parte delle forze controrivoluzionarie, noi dobbiamo aumentare il gruppo delle nostre forze di altre 5-7 divisioni. Per questi fini, al Ministero della Difesa dovrebbe essere permesso di progettare il richiamo di tanti quanti 75000 militari riservisti addizionali e 9000 veicoli addizionali.
In questo caso, vorrebbe dire, che un totale di fino a 100000 militari riservisti e 15000 veicoli dovrebbe poter essere requisito dall’economia nazionale.
La bozza della stessa direttiva al CC del PCUS è legata.

Firmato da
M. Suslov, A. Gromyko, Yu. Andropov, D. Ustinov, K. Chernenko
28 agosto 1980
N. 682 – op. (3 pagine)


Nel febbraio 1981, al XXVI Congresso del PCUS, Leonid Breznev aveva ribadito: “Non lasceremo andare la Polonia verso la catastrofe.”
La richiesta d’aiuto dei comunisti polacchi, che fin dal marzo 1981 avevano informato i sovietici della loro decisione di imporre la legge marziale, non tardò ad arrivare. Traggo ancora dal diario di lavoro di Anoskin una parte del resoconto di Jaruzelski a Kulikov, risalente allo stesso colloquio:
“Gli operai nelle fabbriche potrebbero scioperare, li comanda Solidarnosc, il Partito nelle fabbriche non sarebbe in grado di agire. Tuttavia gli scioperi per noi sono la variante migliore: gli operai rimarrebbero sul posto, sarebbe peggio se uscissero dalle fabbriche e cominciassero a devastare le sedi di Partito, organizzare manifestazioni di piazza, ecc. Se questo accadesse in tutto il paese, voi sovietici dovreste aiutarci. Non riusciremmo a sbrigarcela da soli contro milioni di persone. Agiremmo con lo slogan ‘Difendere la patria’, e in questa situazione l’esercito dispone di ogni autorizzazione. È uno slogan politico; si potrebbe convocare un comitato militare-rivoluzionario. Abbiamo scelto questo slogan in modo che non sia il Partito ad apparire in primo piano, perchè non gode di molta popolarità fra la popolazione”.
Quindi, nelle sue recenti dichiarazioni pubbliche, quando sosteneva, con la legge marziale, di aver salvato la Polonia dall’intervento sovietico, Jaruzelski mentiva: era stato lui stesso a chiedere aiuto al Patto di Varsavia, in caso di necessità. In effetti, la situazione militare non era delle migliori: l’area urbana di Katowice, per esempio, “ha circa 4 milioni di abitanti, come tutta la Finlandia, ma l’esercito, a parte le divisioni antiaeree, non c’è sul posto”, riferì Jaruzelski. Chiedendo ancora l’aiuto sovietico, egli disse ancora: “è inverno, l’Occidente mantiene le sanzioni economiche, abbiamo bisogno di aiuti economici; capisco che per nessuno di noi sia facile, ma non sarebbe poi un grande sforzo. E sarebbe peggio se la Polonia finisse fuori dal Patto di Varsavia”. Il Maresciallo V. Kulikov acconsentì ad avviare l’operazione Scudo 81 (intervento del Patto di Varsavia in Polonia), se i comunisti polacchi non avessero avuto forze sufficienti a mantenere il controllo di tutto il paese, ma si disse fiducioso del fatto che i polacchi avrebbero vinto “contro quel pungo di controrivoluzionari” contando sulle proprie forze.
Fortunatamente, gli eventi si mossero nella direzione pronosticata da Kulikov, con il successo del piano di Jaruzelski. L’instaurazione della legge marziale assestò un notevole colpo alle forze controrivoluzionarie, consentendo di riportare l’ordine nel paese, ma non risolse i problemi più profondi. I dirigenti polacchi, come quelli romeni, avevano infatti commesso l’errore di servirsi indiscriminatamente di crediti occidentali; sfruttando questa circostanza, i paesi capitalistici occidentali strangolarono il paese incrementando i tassi d’interesse e minacciando (ed attuando) sanzioni economiche quando il partito contrattaccava alle azioni di Solidarnosc. Questo errore fu fatale per la Polonia socialista, e i sovietici ne erano consapevoli.
L’appoggio dell’URSS alla Polonia non era un sostegno acritico. Anzi, il 14 aprile 1981, parlando al X Congresso della SED, con una trasparente allusione alla situazione polacca, Suslov affermò che «soltanto la rigorosa e conseguente applicazione degli insegnamenti del marxismo-leninismo garantisce il trionfo degli ideali socialisti, non esistendo nessuna altra via, mentre ogni deviazione conduce a conseguenze nefaste». Lo stesso Suslov, poco tempo dopo, si recò personalmente in Polonia, per aiutare gli elementi sani del POUP a riprendere in mano la situazione e a correggere gli errori del passato.
Il giorno precedente, il giornalista sovietico Lessoto scriveva: «C’è della gente, dentro il POUP, che vorrebbe approfittare delle discussioni per imporre dei punti di vista estranei al marxismo-leninismo con lo scopo di mascherare atteggiamenti da rinnegati con ambigue frasi sul pluralismo ideologico e sulla partnership fra forze politiche diverse» (Comunisti della Warel, “Pravda”, 13 aprile 1981).

Poscritto.

Alcuni dati supplementari sul coinvolgimento dell’Occidente capitalista nella vicenda cecoslovacca, nella quale ebbero un ruolo preminente le organizzazioni sioniste:

“Al congresso degli scrittori riuniti a Praga il 29 giugno 1967, numerosi oratori criticano la politica del governo: Pavel Kohout confronta il destino di Israele a quello della Cecoslovacchia dopo gli accordi di Monaco; il romanziere Jan Procházka, membro supplente del Comitato centrale ed ex confidente di Novotný, dà lettura di una lettera indirizzata alla direzione del partito in cui si protesta contro la campagna anti-israeliana. Qualche settimana dopo il congresso, il romanziere di lingua slovacca M?a?ko parte per Israele e denuncia sulla stampa occidentale il servilismo e le tendenze antisemite e regressive del governo di Praga” (François Fejtö, Storia delle democrazie popolari dopo Stalin, Firenze 1971, p. 255).

Il principale esponente delle organizzazioni sioniste in Cecoslovacchia fu Eduard Goldstücker. Diamo un’occhiata alle sue attività:

“Parlava spesso alla radio e alla televisione, sollecitava la ‘purificazione’ e la ‘rinascita’ del Partito, cercava di accaparrarsi le simpatie degli scrittori, degli artisti, dei giornalisti e di quanti operavano nel campo della cultura, diventava membro di vari consigli e comitati, società commissioni. Più tardi apparvero furtivamente e circolarono per Praga le voci di una sua… presunta possibile elezione alla carica di… presidente della repubblica cecoslovacca. I sionisti sapevano che Goldstücker non avrebbe potuto conseguire tale onore, ma ne spargevano la voce: voci del genere erano quanto mai utili per alimentare artificialmente il suo prestigio. È chiaro che un ‘possibile presidente’ viene ascoltato con attenzione e rispetto” (Ibidem).

Così scrive di lui la “Pravda” slovacca, dopo il suo smascheramento: “Sotto la sua guida, l’Unione degli Scrittori ha fatto a poco a poco della controrivoluzione il proprio punto di riferimento e la propria posizione ideologica (…). Con la diretta partecipazione di Goldstücker sono stati pubblicati ampi brani del trotzkista e rinnegato Isaac Deutscher, che è stato presentato ai lettori come un eminente marxista”.

Goldstücker era già stato condannato all’ergastolo nel 1951, all’epoca di Gottwald e Stalin, per alto tradimento, spionaggio e conspirazione contro il socialismo. Riabilitato dai kruscioviani nel 1955, ebbe un ruolo fondamentale negli eventi degli anni Sessanta. Fu anche grazie alla sua azione che Zbignew Brzezinsky, ideologo dell’imperialismo americano, potè recarsi a Praga per tre anni consecutivi e tenervi conferenze anticomuniste. E che cosa fecero i revisionisti quando stavano per essere schiacciati dall’intervento del Patto di Varsavia? Chiesero aiuto all’imperialismo occidentale:

“O. Sik, che dal 21 agosto 1968 soggiornava con un gruppo di ministri – esponenti della destra – a Belgrado, incaricò illegalmente J. Hajek di recarsi all’ONU. Hajek partecipò così al dibattito sulla cosiddetta questione cecoslovacca al Consiglio di sicurezza, che fu imposta all’ordine del giorno dalle potenze occidentali. Hajek fece un intervento antisovietico raffinato, nonostante gli fosse stato trasmesso l’avvertimento categorico del presidente della repubblica, del governo e del CC del Partito di non andare a New York e di non intervenire al Consiglio di sicurezza”.
(Conclusioni tratte dallo sviluppo della crisi nel Partito e nella società dopo il XIII congresso del PCC)

Questo dovrebbe fugare ogni ulteriore dubbio sul ruolo delle organizzazioni sioniste e dello spionaggio occidentale. Si sosteneva, a ragione, nell’URSS brezneviana:

Il sionismo costituisce un impero invisibile, enorme e potente di finanzieri e industriali, un impero che non si trova indicato su alcuna carta geografica del globo, ma che opera ovunque si estenda il campo capitalista.
(“La grande cospirazione internazionale”, dalla “Komsomolskaja Pravda” del 4 ottobre 1967)

Ulteriore documentazione sulla questione polacca: www.resistenze.org/sito/te/po/pl/popl7d05-001310.htm, http://archiviostorico.corriere.it/1992/fe...021815573.shtml.

Fonti.

http://archivio.unita.it/

http://it.wikipedia.org/

www.instoria.it/

www.charta77.org/

http://murruemanuele.blogspot.it/

www.claudiomutti.com/index.php?url=6&id_news=50

www.aginform.org/libro.html

http://andreafais.wordpress.com/2010/04/13...-guerra-fredda/

Edited by Andrej Zdanov - 16/8/2013, 22:07
 
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Dati economici dell’URSS brezneviana

Nota pubblicata su Facebook in data 9 dicembre 2012


Tra il 1965 e il 1975, le famiglie in possesso di apparecchi televisivi passarono da 32 a 86 su 100 nelle città e da 15 a 67 su 100 nelle campagne e quelle in possesso di frigorifero rispettivamente da 17 a 87 e da 3 a 45 su 100 […]. Il miglioramento fu comunque generale e particolarmente visibile nelle repubbliche asiatiche, anche grazie ai profitti realizzati mediante i canali dell’“economia sommersa”.

(G. Procacci, Storia del XX secolo, Mondadori, Milano, 2000, p. 414)

3. Le tappe vittoriose dei piani quinquennali

I RISULTATI FONDAMENTALI RAGGIUNTI DALL’OTTAVO PIANO QUINQUENNALE


Durante il XXIV Congresso del PCUS, giunti al momento di fare il punto sui risultati conseguiti dall’economia socialista nell’ottavo piano quinquennale (1966 – 1970), è stato evidenziato che gli obbiettivi di base, sia economici che sociali, sono stati raggiunti. Ancora una volta questi traguardi sono lì a testimoniare in modo incontrovertibile gli enormi vantaggi di cui il sistema economico socialista dispone. In cinque anni la produzione industriale è cresciuta di una volta e mezzo, la quantità media annua di produzione agricola del 21%, il reddito nazionale del 41%, il che ha consentito di elevare di 1/3 il livello dei redditi reali dei lavoratori. Oltre a ciò occorre ricordare che ogni percentuale di crescita registrata nel periodo attuale esprime valori in senso assoluto di molte volte maggiori rispetto ai valori di crescita del quinquennio precedente.

All’epoca Vladimir Majakovskij, riferendosi al primo piano quinquennale, scrisse: “Amo i nostri piani grandiosi, che procedono con passi da gigante.”

I grandiosi obbiettivi del primo piano quinquennale e i risultati da esso conseguiti appaiono oggi di modesta portata di fronte alle conquiste raggiunte oggi dal nostro Paese. Bastino questi dati per giudicare: nel 1970, ultimo anno dell’ottavo piano quinquennale, all’industria sovietica occorreva una settimana soltanto per produrre tanta energia elettrica quanto quella dell’intero 1932, ultimo anno del primo piano quinquennale, 18 giorni per l’acciaio, tre settimane per il petrolio, un mese per il carbone e 9 giorni per gli autoveicoli. Nel solo 1970 la produzione industriale sovietica è stata ben due volte maggiore di tutti i piani quinquennali prebellici messi insieme. Se la nostra economia nel primo piano camminava, oggi galoppa con passi da gigante.

Il significato dell’ottavo piano non sta solo nell’avanzamento della produzione socialista verso nuove e di gran lunga più alte mete, ma anche nei sostanziali mutamenti sociali che sono occorsi in tutto il Paese. Durante l’ultimo quinquennio è stato introdotto il salario garantito per i colcosiani e il suo livello è aumentato del 42%. E’ stato inoltre migliorato il trattamento pensionistico così come la qualità dei servizi alla persona. Ciò ha permesso di avvicinare notevolmente il tenore di vita dei contadini a quello dei cittadini.

Nel Paese si sta realizzando inoltre un notevole innalzamento del grado di scolarizzazione, che oggi sta raggiungendo per tutti il livello medio superiore. Durante l’ottavo piano il popolo ha visto crescere il numero dei laureati di 2,6 milioni e dei diplomati di 4,4 milioni. A titolo informativo ricordiamo che durante il primo piano i laureati furono 170 mila e i diplomati 291 mila.

Nel solo 1970 corsi di istruzione a vario livello hanno raggiunto 79 milioni di persone, praticamente un cittadino su tre dell’Unione Sovietica è studente. In conclusione, il nostro Paese nello scorso piano ha consolidato ulteriormente le basi per l’edificazione del comunismo, processo che continuerà a ritmo ancora maggiore negli anni a venire.

(Economia Politica, Cap. X, p. 223)

Nel Capitolo VIII, a pag. 166, dello stesso manuale di Economia Politica (Terza edizione. Mosca, Politizdat, 1971), è detto inoltre: “Mentre nel periodo dal 1918 al 1968 la crescita industriale sovietica è stata del 9,9% annuo, quella statunitense è si è fermata mediamente ogni anno al 3,7% soltanto.”
Scrive poi, in nota, il traduttore Paolo Selmi: “Anche se nel 1976 era lievemente calata (8,5%) e ciò continua nei dieci anni successivi, fino a giungere nel 1985 al 3,1%, non bisogna dimenticare che nello stesso periodo gli Stati Uniti erano al 1,6% di crescita (fonte Ol’shtynskij, L. I. “Omyshlenie istorii).”

Nell'articolo Leninismo o socialimperialismo? si afferma: “Le azioni perverse della cricca dei rinnegati revisionisti sovietici hanno arrecato enormi danni alle forze produttive della società e hanno causato gravi conseguenze: declino dell’industria, deterioramento dell’agricoltura, riduzione del bestiame, inflazione, insufficienza dei rifornimenti, insolita scarsezza di articoli sui mercati statali e crescente impoverimento del popolo lavoratore. [...] Oggi l’economia dell’Unione Sovietica è in preda a una crisi insanabile.” (Opere di Mao Tse-tung, vol. 24, p. 142)
Tutte le affermazioni, qui, sono campate in aria. Ho già citato dati sullo sviluppo industriale e agricolo, sulla crescita dei redditi reali dei lavoratori. Vediamo ora come andavano le cose nell'allevamento: “Nei kolchoz e nei sovchoz aumentò notevolmente il numero dei capi di bestiame, dai 70,8 milioni di capi del gennaio del 1959 ai 99,2 milioni di capi del gennaio 1971.
Gli obiettivi dell’ottavo piano quinquennale in tutti i principali settori dell’allevamento furono raggiunti: 105,4 per cento nella produzione della carne, 103,2 per cento nella produzione del latte, 105,3 per cento nella produzione delle uova e il 101,5 per cento nella produzione della lana.” (Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia universale, vol. XIII, p. 40)
Riguardo allo sviluppo dei consumi, per il IX piano quinquennale, come riportato da Suslov nel suo articolo sul Ruolo guida della classe operaia nell’edificazione del comunismo (Il marxismo-leninismo, p. 299), era previsto un aumento della produzione per l'industria pesante del 41-45% e del 44-48% per quella leggera. E si potrebbero citare molti altri dati.
I maoisti proclamano: «Indifferenti alla sorte del popolo, Breznev e soci hanno estorto tasse e imposte esorbitanti, hanno applicato la politica hitleriana dei “cannoni al posto del burro” e hanno accelerato la militarizzazione dell’economia nazionale, per rispondere ai bisogni dell’espansione degli armamenti e dei preparativi di guerra del socialimperialismo» (Ivi).
Ancora asserzioni indimostrate e infondate. Dalla Storia universale dell'Accademia delle Scienze dell'URSS risulta: «Il 1° aprile 1965 il Cc del Pcus e il Consiglio dei ministri dell’URSS approvavano i decreti “Investimenti di capitali nell’agricoltura nel periodo 1966-1970” e “Sostegni economici ai kolchoz”.
[...] Per garantire la redditività ditutti i settori della produzione dei kolchoz e dei sovchoz furono fissati prezzi di acquisto dei prodotti, economicamente giustificati. Tenendo conto delle caratteristiche locali i prezzi di acquisto del frumento e della segale furono aumentati del 12-62 per cento, quelli del bestiame bovino del 20-25 per cento, quelli della carne suina del 30-70 per cento, quelli degli ovini del 10-70 per cento e il prezzo del latte del 10-40 per cento. I prezzi al dettaglio del pane, del grano mondato e della carne restarono però immutati.
[...] Furono annullati debiti dei kolchoz per più di 2 miliardi di rubli. Fu variato anche il metodo di imposizione fiscale sui redditi degli agricoltori che furono da questo momento calcolati non al lordo ma al netto. Di conseguenza gli introiti fiscali derivanti dall’imposta sul reddito pagata dai kolchoz, nel loro complesso, diminuirono della metà» (Ibidem, p. 32).
«Anche se l’elemento fondamentale che determinò l’incremento dei redditi reali fu la ristrutturazione del salario, un ruolo importante in questo fenomeno di crescita fu assolto in questo periodo anche dalla riduzione del prelevamento fiscale.
Nel 1960-1961 fu abolita la contribuzione fiscale sui salari inferiori ai 60 rubli al mese. Contemporaneamente furono ridotte del 40 per cento le tasse sui salari fino a 70 rubli e, agli inizi del 1968, la riduzione dell’imposta fu estesa ai salari fino a 80 rubli. Nel complesso i redditi reali pro capite crebbero nel 1970 del 33 per cento rispetto al 1965, del 55.2 per cento rispetto al 1960 e di quasi quattro volte rispetto al 1940.
I redditi reali dei colcosiani nel corso degli anni 60 aumentarono di circa sei volte» (Ibidem, p. 40).
Alla faccia della pesante tassazione! Se a ciò si aggiunge il fatto che le spese militari dell'anno 1982, nel pieno della guerra in Afghanistan, erano di solamente 17,05 miliardi di rubli (5,3% del bilancio statale), mentre gli investimenti nell'agricoltura per il XI piano quinquennale (1981-85) erano di ben 170 miliardi di rubli*, ogni dubbio sulla veridicità delle affermazioni dei maoisti dovrebbe scemare.

* Dati provenienti dall’Archivio Storico de l’Unità.

Edited by Andrej Zdanov - 16/3/2013, 22:20
 
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mikoyan89
view post Posted on 16/3/2013, 21:56




Quindi ne potremmo concludere che i maoisti hanno contribuito a diffondere il mito della stagnazione economica,perchè in quel passo di Leninismo o socialimperialismo? da te citato non hanno neanche presentato un minimo di dati.
Comunque volevo chiederti se si conosce qualche cosa sul commercio estero e sui rapporti finanziari con altri paesi,perchè in Titanic europa V.Giacchè parla di prestiti concessi dagli USA anche all'URSS, non dà una precisa collocazione temporale,ma dal contesto si capisce che si tratti degli anni '70-'80.Ora,l'era Breznev termina nel 1982,mentre la crisi dei paesi socialisti si manifesta ampiamente nella seconda metà di quel decennio,e dato che l'autore parla di un insieme di fattori,ovvero il ribassamento dei prezzi delle forniture energetiche,l'aumento dei tassi d'interesse sui debiti,più la corsa al riarmo che avrebbero giocato un ruolo importante nella fine dei paesi socialisti,mi piacerebbe sapere come andarono realmente le cose,perchè sui motivi del crollo dell'URSS se ne sono dette un sacco e mentre la borghesia parla di stagnazione economica,burocrazia,voglia di libertà dei cittadini ecc.,tra i compagni si parla semplicisticamente di deviazione verso il capitalismo da parte del rinnegato Kruschev,senza fare distinzione con il periodo brezneviano nel quale secondo essi sarebbe continuato lo smantellamento dei rapporti di produzione socialisti.
Pertanto vorrei capire le ragioni sopratutto economiche che hanno portato al disastro e quali e di chi sono le responsabilità.Dai tuoi ultimi scritti sembrerebbe che Breznev e ancor di più Suslov in realtà fossero tutt'altro che revisionisti,per cui tutte le responsabilità ricadrebbero quindi su Gorbaciov (anche perchè oltre a Breznev morirono nello stesso periodo anche tutti i suoi alleati nel PCUS).
 
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view post Posted on 17/3/2013, 14:20

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Quindi ne potremmo concludere che i maoisti hanno contribuito a diffondere il mito della stagnazione economica,perchè in quel passo di Leninismo o socialimperialismo? da te citato non hanno neanche presentato un minimo di dati.

Esattamente. I maoisti si sono poi spinti molto oltre rispetto ai borghesi, i quali generalmente ammettono che gli anni dell'ottavo piano quinquennale siano stati il miglior periodo per l'URSS, sotto il profilo economico. Gli occidentali se ne resero conto anche perché l'URSS raddoppiò le esportazioni di grano in questo periodo.

CITAZIONE
Comunque volevo chiederti se si conosce qualche cosa sul commercio estero e sui rapporti finanziari con altri paesi,perchè in Titanic europa V.Giacchè parla di prestiti concessi dagli USA anche all'URSS, non dà una precisa collocazione temporale,ma dal contesto si capisce che si tratti degli anni '70-'80.Ora,l'era Breznev termina nel 1982,mentre la crisi dei paesi socialisti si manifesta ampiamente nella seconda metà di quel decennio,e dato che l'autore parla di un insieme di fattori,ovvero il ribassamento dei prezzi delle forniture energetiche,l'aumento dei tassi d'interesse sui debiti,più la corsa al riarmo che avrebbero giocato un ruolo importante nella fine dei paesi socialisti,mi piacerebbe sapere come andarono realmente le cose,perchè sui motivi del crollo dell'URSS se ne sono dette un sacco e mentre la borghesia parla di stagnazione economica,burocrazia,voglia di libertà dei cittadini ecc.,tra i compagni si parla semplicisticamente di deviazione verso il capitalismo da parte del rinnegato Kruschev,senza fare distinzione con il periodo brezneviano nel quale secondo essi sarebbe continuato lo smantellamento dei rapporti di produzione socialisti.

L'URSS ha sempre commerciato con l'Occidente e in particolare con gli USA. Durante il primo piano quinquennale, per esempio, vi furono massicce importazioni di macchinari moderni per l'industrializzazione. Durante gli anni Quaranta si contrassero anche dei debiti con le banche americane (in precedenza, per bloccare l'industrializzazione, l'Occidente non concesse prestiti all'URSS).
Per quanto riguarda gli anni di Breznev (Settanta), il commercio con l'Occidente era così articolato:
a) esportazioni di materie prime, in particolare petrolio, sull'onda della crisi petrolifera dei primi anni Settanta;
b) importazioni di grano;
c) importazioni di macchine tecnologicamente avanzate.
Negli anni Settanta, il clima di distensione internazionale permise un aumento delle importazioni e delle esportazioni verso l'Occidente. Benché l'aumento delle importazioni fosse superiore a quello delle esportazioni, la bilancia commerciale sovietica rimase sempre in positivo, anche nella prima metà degli anni Ottanta. Quanto alle importazioni di grano, occorre rilevare come l'URSS producesse da sola tutto il grano di cui aveva bisogno (basti pensare che il raccolto minimo, durante il decimo piano quinquennale, fu di 179 milioni di tonnellate di grano); ma una parte di esso veniva esportato (come accadeva anche nella seconda metà degli anni Quaranta) negli altri paesi socialisti e progressisti; il che, unito alle condizioni meteorologiche particolarmente avverse di alcuni anni (1972 e 1975, per esempio) e al rapido aumento della popolazione, creava la necessità di importare grano dall'Occidente.
Ulteriori fattori penalizzanti furono le spese militari per la guerra in Afghanistan e il commercio svantaggioso con paesi come Cuba, la quale costava 90 milioni di dollari al giorno sul bilancio dell'URSS, quello strano impero in cui la ricchezza andava dal centro alla periferia.
L'anno peggiore fu il 1981, quando a questi fattori si sommò la contrazione di un debito più grande del solito. La difficoltà fu superata con l'ottimo raccolto dei due anni successivi (superiore a 200 milioni di tonnellate di grano) e il generale miglioramento dell'economia garantito da Andropov, protetto di Suslov negli anni precedenti.
Gorbaciov portò però l'economia al disastro totale, contraendo debiti in misura massiccia con l'Occidente ed ostinandosi ad esportare materie prime, quando la crisi petrolifera era ormai passata e i prezzi erano diminuiti.
Si fecero invece strangolare dal debito in maniera palese la Polonia e la Romania, per questo biasimate dall'URSS. La seconda fu spinta ad avvicinarsi dall'Occidente da alcune azioni sconsiderate di Krusciov, stigmatizzate da Breznev e Suslov nel 1964.
 
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Yuri Gagarin
view post Posted on 18/3/2013, 20:43




CITAZIONE
Gorbaciov portò però l'economia al disastro totale, contraendo debiti in misura massiccia con l'Occidente ed ostinandosi ad esportare materie prime, quando la crisi petrolifera era ormai passata e i prezzi erano diminuiti.

Questo fu il grande errore anche di Ceaucescu , che accumulò debiti molto grandi con gli Stati Uniti D'america , e iniziò una politica di austerità per estinguere tale debito . Il Conducator voleva emanciparsi dall'URSS brezneviana , che imponeva a essa di diventare un granaio , ma egli sbagliò totalmente , preso com 'era dalla fobia antisovietica ( a differenza di Mao , del primo periodo di Enver Hoxha e dei paesi asiatici che atturaono una politica estera super partes nei confronti di URSS e Cina Popolare ) .
L'errore principale infatti fu il debito eccessivo accumulato , non propriamente il debito in se per se per quel che riguarda la Romania , ma fu un errore anche la guerra all'Afghanistan .
 
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mikoyan89
view post Posted on 18/3/2013, 21:45




@Andrej Ottimo.Comunque,da un punto di vista economico*,è tua opinione che l'URSS dell'era brezneviana stesse effettivamente avanzando verso il comunismo?E' una domanda molto generica e so che richiede un attento studio di parecchie fonti e testimonianze,però mi piacerebbe conoscere il tuo giudizio personale.

*parlo di punto di vista economico perchè credo che i cambiamenti ideologici della società siano molto più lenti di quelli economici/materiali,assumendo che il partito mantenga come bussola i principi del marxismo-leninismo e continui l'opera di educazione ideologica della società.
 
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view post Posted on 18/3/2013, 23:39

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fu un errore anche la guerra all'Afghanistan .

La guerra influì di certo negativamente sull'economia sovietica. Ma agire altrimenti avrebbe significato tradire l'internazionalismo leninista, negare l'aiuto richiesto dai compagni afghani. Lenin ha insegnato che «l'interesse della rivoluzione operaia internazionale sta al di sopra dell'integrità territoriale, della sicurezza, della tranquillità di questo o quello, e più esattamente del proprio Stato nazionale».

CITAZIONE
Il Conducator voleva emanciparsi dall'URSS brezneviana , che imponeva a essa di diventare un granaio

Domani vi trascrivo un brano di Suslov a riguardo.

CITAZIONE
Comunque,da un punto di vista economico*,è tua opinione che l'URSS dell'era brezneviana stesse effettivamente avanzando verso il comunismo?E' una domanda molto generica e so che richiede un attento studio di parecchie fonti e testimonianze,però mi piacerebbe conoscere il tuo giudizio personale.

Ritengo di sì. Le opere di Suslov testimoniano come in quegli anni stesse proseguendo l'avvicinamento delle due forme della proprietà socialista e il superamento delle differenze tra città e campagna, come anche l'educazione comunista delle grandi masse del popolo e la progressiva diminuzione del peso relativo dell'economia sussidiaria personale. In quell'epoca si raggiunse il socialismo sviluppato, il quale «è il grado, lo stadio di maturità della nuova società, quando si compie la ristrutturazione di tutto l’insieme dei rapporti sociali sulla base dei principi collettivistici intimamente presenti nel socialismo» (L.I. Brežnev, La via leninista, vol. VI, Mosca, 1981, p. 627).

CITAZIONE
assumendo che il partito mantenga come bussola i principi del marxismo-leninismo e continui l'opera di educazione ideologica della società.

un alto livello ideologico, un profondo senso civile ed un elevato livello di maestria artistica costituiscono le esigenze principali del partito e del popolo nei confronti degli esponenti dell’arte (…)
non esistono problemi che riguardino la creazione artistica che si trovino al di fuori della politica (…)
oggigiorno allo sviluppo morale e ideologico delle nuove generazioni, alla loro educazione culturale occorre dedicare non meno attenzione che all’insegnamento delle scienze (…)
Tuttavia la libertà artistica non è un privilegio di pochi eletti. Il partito tiene in grande considerazione il talento e lo ritiene un patrimonio sociale inestimabile. Ma niente e nessuno può esentare l’uomo dalle esigenze e dalle leggi sociali che sono obbligatorie per tutti. È ingenuo pensare che si possano diffamare i principi politico-morali del nostro ordinamento e nello stesso tempo ci si possa aspettare da esso beni e riconoscimenti. E, naturalmente, il popolo non perdonerebbe a nessuno il passaggio dalla parte dei nostri nemici ideologici, in un momento in cui è in corso una durissima lotta a livello mondiale.
(K.U. Černenko, 25 settembre 1984)

Edited by Andrej Zdanov - 19/3/2013, 19:45
 
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view post Posted on 9/4/2013, 21:56

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Il Conducator voleva emanciparsi dall'URSS brezneviana , che imponeva a essa di diventare un granaio...

Siamo qui di fronte alla famosa divisione internazionale del lavoro. Su questo tema, Suslov ha scritto, nell'articolo del 1971 sul PCUS, partito del marxismo:

In primo luogo è molto importante mostrare obbiettivamente, dalle posizioni dell’internazionalismo proletario, il carattere regolare di integrazione economica e politica dei paesi socialisti, l’interesse vitale di ogni popolo al rafforzamento della compattezza del sistema socialista mondiale, il che risponde pienamente agli interessi nazionali di ogni paese socialista. Il problema attuale è l’elaborazione delle questioni riguardanti l’integrazione economica socialista che, come viene dimostrato nel programma dei paesi del SEV, assicura a tutti i suoi membri un più efficace sfruttamento delle conquiste della rivoluzione tecnico-scientifica, un veloce sviluppo della produzione, il rafforzamento delle posizioni del socialismo nella gara economica con il capitalismo.

E adesso vediamo qualche dato sugli effetti reali di tale politica. Essa fu applicata nel modo più conseguente in Bulgaria. Eccone i risultati:

L’edificazione del socialismo fu portata avanti negli anni 60 in Bulgaria con ritmi serrati sempre più intensi.
Nel decennio in esame il volume degli investimenti di capitale nell’economia aumentò di più di 2,6 volte; la parte maggiore di questi investimenti fu destinata alla realizzazione di nuovi impianti.
Il processo di industrializzazione socialista in questo periodo fu posto in connessione con la realizzazione di grossi impianti industriali, come quello del complesso metallurgico di Kremikovci, il complesso carbonifero-energetico “Mariza-Vostok”, la fabbrica di concimi azotati nei pressi di Stara-Zagora, il complesso petrolchimico nella regione di Burgas, l’ammiraglia dell’industria chimica bulgara, il complesso “Medet” per l’arricchimento di minerali, il complesso siderurgico nei pressi di Plovdiv, una serie di centrali elettriche e di complessi idroelettrici, fabbriche del settore meccanico, industrie del settore alimentare eccetera.
Per effetto dell’incremento della produzione industriale che risultò triplicata, e della produzione agricola, che aumentò del 39 per cento, il reddito nazionale del paese in questo decennio aumentò di circa il doppio.
Le trasformazioni sociali ed economiche che avevano interessato la società bulgara determinarono una svolta in campo demografico e mutamenti nella ripartizione per settori produttivi della forza lavoro.
Si sviluppò con intensità il processo di urbanizzazione. Mutarono i rapporti percentuali tra popolazione urbana e popolazione rurale, rispettivamente il 38 e il 62 per cento nel 1960 e il 53 e il 47 per cento nel 1970.
Mentre agli inizi del decennio in esame la percentuale degli occupati nell’agricoltura era del 54,7 per cento rispetto al totale degli occupati nell’economia del paese, alla fine del periodo si era ridotta al 35,2 per cento.
La percentuale degli occupati nell’industria, nell’edilizia, nei trasporti e negli altri settori della produzione materiale aumentò rispettivamente dal 36,1 al 51,7 per cento.
Il numero degli operai occupati nella sola industria aumentò dai 627 mila del 1960 ai 918 mila del 1970.
Il ruolo della classe operaia quale forza produttiva primaria della società e fattore decisivo nella vita economica e sociale del paese crebbe notevolmente.
Aumentò sempre di più il valore dei fattori intensivi di espansione della riproduzione. L’aumento della produttività del lavoro nel periodo del quarto piano quinquennale fu in media pari al 7,1 per cento l’anno; nel periodo del quinto piano quinquennale questo valore aumentò all’8,3 per cento.
Le possibilità offerte dall’economia pianificata socialista si manifestarono con evidenza nell’industria che si affermò definitivamente quale settore portante dell’economia.
Dal 1961 al 1970 il peso specifico dell’industria produttrice di mezzi di produzione (gruppo “A”) rispetto al complesso del prodotto industriale aumentò dal 47,2 al 54,7 per cento.
Il prodotto industriale per unità di popolazione realizzato in Bulgaria si avvicino ai valori dei paesi socialisti più sviluppati dal punto di vista economico.
Nel corso del quarto e del quinto piano quinquennale i fondi di produzione di base nelle campagne bulgare così come la produttività del lavoro agricolo aumentarono di più del doppio.
Per i ritmi di crescita della produzione agricola per unità di popolazione la Repubblica Popolare di Bulgaria occupò il primo posto nel mondo; per la produzione di uva, pomodori e altri prodotti agricoli si confermò tra i paesi con gli indici produttivi più elevati. Aumentò notevolmente anche la produzione di mais, latte e altri prodotti dell’allevamento.
Subì notevoli cambiamenti lo stesso stile di vita delle campagne bulgare nelle quali si andò sempre più affermando lo stile socialista di vita. Sia per le condizioni di lavoro che per il livello culturale e la coscienza sociale i contadini delle cooperative si avvicinarono notevolmente alla classe operaia.
Lo sviluppo economico creò i presupposti per una più completa soddisfazione delle esigenze dei lavoratori.
Nel 1960-1970 i fondi sociali di consumo aumentarono di più di tre volte.
Aumentarono alquanto anche i salari degli operai e degli impiegati e i redditi dei contadini delle cooperative.
Contemporaneamente si realizzò con notevole intensità il processo di avvicinamento della popolazione rurale alle altre categorie di lavoratori per l’ammontare dei redditi e per il tenore di vita complessivo.
Gli indici dei redditi reali degli operai e degli impiegati (posto uguale a 100 il reddito del 1952) erano pari a 192 nel 1960 e 303 nel 1970, erano cioè aumentati del 57 per cento; quelli dei contadini erano rispettivamente pari a 170 e 283, erano cioè aumentati del 66 per cento.
Nel 1968 gli operai e gli impiegati cominciarono a passare alla settimana lavorativa di cinque giorni, furono aumentate le pensioni di alcune categorie di lavoratori.
Fu attuato con successo il programma di edilizia civile, compresa quella abitativa.
Notevoli successi furono conseguiti anche nel settore dell’istruzione, della scienza e della cultura.
Il numero degli specialisti con un grado di istruzione alto e medio aumentò dai 257 mila del 1960 ai 521 mila del 1970, pari al 30 per cento del totale degli occupati nell’economia.
[...]
Grazie alle conquiste scientifiche e tecniche conseguite in URSS e all’aiuto che l’Unione Sovietica diede al paese, l’industria bulgara poté in breve tempo disporre di industrie siderurgiche e meccaniche, poté produrre macchine e attrezzature, impadronirsi dei procedimenti produttivi più complessi nel settore chimico.
L’Unione Sovietica concesse alla Bulgaria consistenti crediti a lungo termine.
Con l’aiuto della tecnologia sovietica furono realizzati in Bulgaria impianti industriali in molti settori dell’economia. Agli inizi degli anni 70 queste fabbriche producevano il 95 per cento dei metalli ferrosi, l’85 per cento dei metalli non ferrosi, l’80 per cento del petrolio e dei suoi derivati.
Nell’agosto del 1970 tra Unione Sovietica e Bulgaria fu raggiunto un accordo sulla coordinazione dei piani di sviluppo per il 1971-1975 riguardanti tutti i settori dell’economia.
Identico aiuto nello spirito della collaborazione fraterna fornirono alla Bulgaria gli altri paesi socialisti con potenziale economico sviluppato. Da parte sua anche la Bulgaria diede il suo contributo allo sviluppo dell’economia dei paesi fratelli.
I paesi della comunità socialista garantirono continuità nei rifornimenti di materie prime, macchinari e materiali non disponibili nel paese in quantità sufficiente e fornirono alla Bulgaria mercati di smercio per i suoi prodotti.
Nella struttura delle esportazioni bulgare nel corso degli anni 60 si realizzarono molti mutamenti.
Nel periodo 1961-1970 il peso specifico dei prodotti industriali rispetto al totale delle esportazioni aumentò dall’84,4 al 92,1 per cento mentre quello dei prodotti agricoli diminuì dal 16,6 al 7,9 per cento. Mentre nel 1960 i macchinari di produzione nazionale bulgara costituivano il 12,6 per cento delle esportazioni questa percentuale nel 1970 saliva al 27,3 per cento.
Circa il 75-80 per cento delle esportazioni bulgare, che nel periodo 1961-1970 erano aumentate di più di tre volte, risultava diretto verso i paesi della comunità socialista e, in particolare, il 60 per cento veniva esportato in URSS.
Intervenendo al plenum del Cc del Pcb nel luglio del 1968 Todor Zivkov dichiarava che l’esperienza quasi ventennale di lavoro per l’edificazione socialista in Bulgaria dimostrava incontrovertibilmente la giustezza della linea di integrazione economica della Bulgaria con gli altri paesi socialisti e, innanzitutto, con l’economia dell’Unione Sovietica.
(Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia universale, vol. XIII, pp. 96-97 e 99)
 
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il faraone
view post Posted on 10/4/2013, 19:05




CITAZIONE (Andrej Zdanov @ 19/3/2013, 00:39) 
CITAZIONE
Comunque,da un punto di vista economico*,è tua opinione che l'URSS dell'era brezneviana stesse effettivamente avanzando verso il comunismo?E' una domanda molto generica e so che richiede un attento studio di parecchie fonti e testimonianze,però mi piacerebbe conoscere il tuo giudizio personale.

Ritengo di sì.

A prescindere dal risultato dell'esperienza storica, non ti sembra che sia un clamoroso e sintomatico errore porre il comunismo come traguardo raggiungibile?
 
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mikoyan89
view post Posted on 10/4/2013, 20:36




Non ti seguo.Spiegati meglio.
 
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view post Posted on 11/4/2013, 15:51

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A prescindere dal risultato dell'esperienza storica, non ti sembra che sia un clamoroso e sintomatico errore porre il comunismo come traguardo raggiungibile?

Per quale motivo ciò sarebbe errato? Io sono del parere opposto: senza porsi una meta (socialismo, comunismo, ecc.) si giunge a quella che Stalin, in polemica con Zinoviev, aveva ironicamente chiamato l'edificazione a casaccio.
Nell'estate del 1947, dopo il Plenum del CC del partito all'inizio dell'anno, Zdanov e i suoi collaboratori (Voznesenskij, Kuznetsov, Suslov, Kapustin, Popov, Popkov, Rodionov, ecc.) elaborarono un piano per edificare il comunismo entro i tardi anni Sessanta; del passaggio graduale al comunismo lo stesso Zdanov aveva già parlato nel 1939, al XVIII Congresso del partito. Dunque non si tratta solamente di un errore brezneviano.
Il comunismo può e deve essere edificato, attraverso la messa in pratica delle misure indicate da Engels, Stalin, Suslov. Altrimenti saremmo degli utopisti, a sostenere qualcosa che poi non possiamo edificare.
 
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il faraone
view post Posted on 12/4/2013, 11:12




Non è possibile edificare il comunismo con la persistenza del capitalismo nel mondo. Soprattutto non è possibile farlo prima di aver raggiunto l'adeguato sviluppo delle forze produttive. Quindi se mi vuoi dire che puntare al comunismo voglia dire allargare la produzione sono con te, se mi vuoi dire che si possa raggiungere in decenni "mettendo il carro avanti ai buoi" con leggi e decreti no.
 
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view post Posted on 15/4/2013, 14:47

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Il comunismo può anche essere instaurato in un solo paese, con la persistenza del capitalismo in altre aree del mondo, come ha indicato Stalin nelle sue Risposte ad Alexander Werth. In tal caso, però, come lo stesso Stalin indicò al XVIII Congresso del partito, si dovrà mantenere un potente apparato statale, come bastione difensivo contro le aggressioni esterne. Suslov aderiva a questo punto di vista:

Il quarto giorno [del XXI Congresso del PCUS] porta come elemento più importante il discorso di Suslov. (…) Suslov tratta le questioni teoriche toccate da Kruscev nel rapporto, egli si esprime contro alcune pericolosamente equivoche affermazioni di Kruscev, in particolare sull’estinzione dello Stato, in quanto egli – senza però menzionare Stalin – difende e sottolinea fortemente la tesi di questi sulla continuazione dello Stato socialista sin quando sussista il pericolo di un attacco imperialista; in quanto ancora egli esprime l’affermazione molto importante che sino all’abolizione delle classi la classe operaia resta quella dirigente. Questa affermazione è di grande importanza pratica nella lotta contro la banda di Kruscev, dal momento che questa in definitiva persegue una politica populistica orientata sui contadini (…) Manca al discorso di Suslov una nota concretamente pugnace, rimane troppo teorico e misurato. Questo è del resto un contrassegno dell’attuale Congresso. Su tutti i terreni, eccetto quello economico, procede in modo eccessivamente caratterizzato da luoghi comuni, senza nomi ed indirizzi. Massicciamente concreti sono solo i banditi nei loro attacchi contro il gruppo di Molotov.
(Kurt Gossweiler, Contro il revisionismo, p. 448)


Quanto al fatto di "saltare le tappe a colpi di decreti", Suslov era profondamente avverso a simili tentativi, come testimonia la sua seguente critica al balzo in avanti maoista:

...i dirigenti cinesi possiedono un concetto del socialismo e del comunismo e una pratica della costruzione della nuova società che hanno una relazione molto, molto lontana con la teoria marxista-leninista del comunismo scientifico. Né in Marx, né in Lenin troviamo neppure un accenno alla possibilità che i compiti sostanziali della costruzione del socialismo siano risolti senza tener conto del grado di maturità delle premesse socio-economiche e spirituali per un avanzamento e senza prendere in considerazione il compito di innalzare il benessere materiale dei lavoratori.
(M. Suslov, La lotta del PCUS per il consolidamento del movimento comunista internazionale)


Nessuno, né negli anni di Breznev né in quelli di Stalin, e nemmeno nel periodo kruscioviano, affermò di aver già raggiunto il comunismo. L'edificazione del comunismo fu sempre concepita come un processo ancora in corso, lungo e e complesso, strettamente legato all'ulteriore sviluppo delle potenzialità del socialismo:

La dialettica dello sviluppo della società socialista è tale, che nel suo progredire essa realizza sempre più pienamente le proprie possibilità, si sviluppa, si perfeziona e nello stesso tempo crea le premesse per la transizione alla fase successiva, trasformandosi gradualmente in comunismo. Lo sviluppo del socialismo e l’edificazione del comunismo sono un unico ininterrotto processo, in cui ogni nuova tappa è strettamente collegata alla precedente e rappresenta il gradino più alto nel moto ascendente della società.
(M. Suslov, PCUS, partito del marxismo)
 
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12 replies since 12/3/2013, 22:41   1348 views
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