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Korean revisionism: una contro-critica a 'espresso stalinist', III parte (I)

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Songun CCCP
view post Posted on 7/3/2013, 18:49




III Parte
(I)

Dopo "Introduction", troviamo i primi capitoli dello scritto che ci narrano, in breve, la storia della Corea, dall'antichità, fino alla modernità. Particolare risalto è dato al periodo di oppressione del paese da parte degli imperialisti giapponesi, e anche la narrazione si attiene alla verità storica, generalmente. Il Capitolo VI dello scritto è il primo capitolo nel quale vengono esposte varie critiche, tanto ideologiche quanto pratiche alla Corea, ricorrendo anche all'uso (anche se non per forza di cose fedele alla realtà e al reale significato) delle Opere complete di Kim Il Sung. Le critiche si articolano su molti livelli, pratici, ideologici, teorici, ma il periodo trattato è sempre il periodo 1945-1950; a causa della lunghezza della III parte, l'ho divisa in più tomi.

I

La prima critica mossa alla Corea è sulla questione della "democrazia progressista", ovvero il periodo del paese che lo condusse dalla Liberazione dal Giappone, fino all'aggressione da parte dell'imperialismo americano. In questo periodo di devastazione, causato dai giapponesi mentre si ritirarono, la Corea era ancora un paese di carattere feudale e contadino (e lo stesso N. Steinmayr descrive bene le sue condizioni nell'appendice al Capitolo VI "Agrarian and other reforms"); ed in queste condizioni, il socialismo doveva riuscire ad essere edificato. Si trattava di un paese non a maggioranza proletaria, arretrato, povero, con poche industrie e con un distribuzione dei terreni agricoli in stile latifondista, e i cui latifondisti erano quasi tutti elementi pro-giapponesi. Queste condizioni possono essere sommariamente considerate simili a quelle della Russia dopo la Rivoluzione di Ottobre, e nel comportamento dei dirigenti coreani troviamo tantissime analogie a quello dei dirigenti sovietici. Ma, secondo gli hoxhaisti, in realtà hanno le condizioni coreane devono essere raffrontate così come appaiono, e non valgono analogie politiche e/o ideologiche con le condizioni russe, ed in questo contesto, essi muovono alla Corea l'accusa di essere ricorsa alla collaborazione tra diverse classi (si noti che la collaborazione di cui parlano, quella del periodo 1945-1950, era con i contadini poveri e medi, la piccola borghesia e patrioti borghesi, mentre i latifondisti e gli elementi pro-giapponesi furono messi alle strette e privati delle loro proprietà, cosa ampiamente ammessa dallo scrittore stesso). Essi la ritengono revisionista soprattutto perché, dato che anche la Cina "revisionista" passò un periodo simile, e, se la Cina è assodato, secondo loro, essere un regime "revisionista", per via di quest'analogia anche la Corea lo è. Ma, come essi ammettono tramite la citazione di vari scritti di Kim Il Sung, la "democrazia progressista" era al solo fine di provvedere alla ricostruzione nazionale e a porre le basi per una rivoluzione democratica, cosa, per altro, fatta anche nella Russia sovietica, che ricorse alla collaborazione con la classe contadina, ed a compromessi anche con grandi industriali (il caso Meščerskij è emblatico). Sembra un paradosso anti-storico quanto scritto nella critica, considerando che in Unione Sovietica si ricorse alla Nuova Politica Economica che durò anche più a lungo del periodo della "democrazia progressista" in Corea, eppure gli hoxhaisti ne sono profondamente convinti. Inoltre, sempre su questa questione, si accusa alla Corea di aver "ritardato" l'egemonia del proletariato, e aver spostato l'inizio della dittatura del proletariato e del socialismo, concedendosi alcuni anni di regime "di collaborazione tra classi; un regime di varie classi". Di nuovo vediamo in ciò una contraddizione con la storia della Corea, che pensano di conoscere, e che passerò in seguito a chiarire. Ma prima di impegnarmi in questa diatriba, vediamo cosa ne pensano i classici del marxismo-leninismo (ai quali si rifanno continuamente i comunisti puritani, ma senza cavarne un ragno dal buco), della collaborazione tra il proletariato ed alcune classi sociali che possono ricoprire un ruolo temporaneamente "progressista" durante la ricostruzione nazionale:

«In Germania il partito comunista lotta insieme colla borghesia, ogni qualvolta questa prende una posizione rivoluzionaria contro la monarchia assoluta, contro la proprietà feudale e contro la piccola borghesia reazionaria. [...] In una parola, i comunisti appoggiano dappertutto ogni moto rivoluzionario contro le condizioni sociali e politiche esistenti.» [Karl Marx e Friedrich Engels, 'Manifesto del Partito comunista', 21 Febbraio 1848]

«[Nel programma di Gotha] Prima di tutto, si accetta la frase lassalliana sonora, ma storicamente falsa, che rispetto alla classe operaia tutte le altre classi costituirebbero una sola massa reazionaria. Questa affermazione è vera solo in singoli casi eccezionali, per esempio in una rivoluzione del proletariato come la Comune, o in un paese in cui non soltanto la borghesia ha forgiato a propria immagine lo Stato e la società, ma dopo di essa anche la piccola borghesia democratica ha portato questa trasformazione sino alle sue ultime conseguenze. Se per esempio in Germania la piccola borghesia democratica appartenesse a questa massa reazionaria, come avrebbe potuto il Partito socialdemocratico operaio procedere per anni in stretta alleanza con essa, cioè col partito del popolo?.» [Friedrich Engels, 'Lettera ad August Bebel', 20 Giugno 1873]

«In Asia si sviluppa, si estende e si rafforza ovunque un potente movimento democratico. Là, la borghesia marcia ancora col popolo contro la reazione. Centinaia di milioni di uomini si svegliano alla vita, alla luce, alla libertà. Quale entusiasmo suscita questo movimento universale nel cuore di tutti gli operai coscienti, i quali sanno che il cammino verso il collettivismo passa per la democrazia! Quale simpatia sentono tutti i democratici onesti verso la giovane Asia!» [Vladimir Lenin, 'L’Europa arretrata e l’Asia avanzata', 31 (18) Maggio 1913]

«Fra i paesi di democrazia popolare e la Repubblica Popolare Cinese vi sono alcune importanti disparità: 1) In Cina esiste una dittatura democratica del proletariato e dei contadini, qualcosa di simile a quella di cui i bolscevichi parlavano nel 1904-1905. 2) In Cina esisteva l'oppressione della borghesia straniera, e per questo motivo la borghesia nazionale in Cina è parzialmente rivoluzionaria; è quindi ammissibile una coalizione con la borghesia nazionale, e in Cina i comunisti e la borghesia formano un blocco. La cosa non è innaturale. Anche Marx nel 1848, quando dirigeva la Neue Rheinische Zeitung, formò una coalizione con la borghesia, ma non per lungo tempo. 3) In Cina stanno ancora affrontando il compito della liquidazione dei rapporti feudali, e in questo senso la rivoluzione cinese ci ricorda la Rivoluzione francese del 1789. 4) La caratteristica particolare della rivoluzione cinese consiste nel fatto che il Partito comunista è alla testa dello Stato.» [Giuseppe Stalin, 'Cinque conversazioni con economisti sovietici', 22 Febbraio 1950]

«Nelle condizioni dell’oppressione imperialistica, il carattere rivoluzionario del movimento nazionale non implica affatto obbligatoriamente l’esistenza di elementi proletari nel movimento, l’esistenza di un programma rivoluzionario o repubblicano del movimento, l’esistenza di una base democratica del movimento. La lotta dell’emiro afghano per l’indipendenza dell’Afghanistan è oggettivamente una lotta rivoluzionaria, malgrado il carattere monarchico delle concezioni dell’emiro e dei suoi seguaci, poiché essa indebolisce, disgrega, scalza l’imperialismo.» [Giuseppe Stalin, 'Principi del leninismo', Aprile 1924]

Nei documenti del Comintern troviamo allo stesso modo risoluzioni sulla questione, dove viene messo in evidenza il fatto che si possa (anzi, si debba!) collaborare anche con classi antagoniste, momentaneamente, nei paesi coloniali e semi-coloniali, per raggiungere scopi immediati e necessari, come la rivoluzione democratica, nei paesi dove non fosse ancora avvenuta:

«Il rifiuto, da parte dei P.C. delle colonie, di partecipare alla lotta contro la tirannia imperialista, motivato con il pretesto della "difesa" degli interessi autonomi di classe, costituisce opportunismo della peggior specie, il quale non può che gettare discredito sulla rivoluzione proletaria in Oriente. [...] I P.C. di paesi orientali e semicoloniali d'oriente, che si trovano in uno stato più o meno embrionale devono partecipare a qualsiasi movimento che consenta loro di radicarsi tra le masse.» ['Tesi sulla questione orientale', II congresso dell'Internazionale Comunista, Luglio 1920]

«Il proletariato sostiene, anzi porta avanti in prima persona rivendicazioni parziali, quali per esempio la rivendicazione di una repubblica democratica indipendente, dell'abolizione dell'inferiorità politica delle donne, etc; nella misura in cui i rapporti di forza esistenti non gli permettano di considerare l'attuazione del programma sovietico come compito immediato.» ['Il Fronte Unico Antimperialista', IV congresso dell'Internazionale Comunista, Dicembre 1922]

«Nei paesi coloniali e semicoloniali il Comintern ha un duplice compito: costituire un nucleo di Partiti Comunisti che rappresenti gli interessi del proletariato nel suo insieme; dare il massimo appoggio al movimento rivoluzionario nazionale diretto contro l'imperialismo, diventare l'avanguardia di tale movimento, potenziare ed espandere il movimento sociale all'interno di quello nazionale.» ['Tesi sulla tattica', IV congresso dell'Internazionale Comunista, 5 Dicembre 1922]

«I comunisti della Corea e di Formosa, in stretta collaborazione coi partiti comunisti del Giappone e della Cina, devono mobilitare i lavoratori ed i contadini per la lotta contro l'imperialismo giapponese, per l'indipendenza della Corea e di Formosa, e devono stabilire un'alleanza rivoluzionaria combattente costituita da tutti gli oppressi e gli sfruttati, allo scopo di ottenere la liberazione nazionale.» ['Risoluzione sulla guerra nell'Estremo Oriente e i compiti dei comunisti nella lotta contro la guerra imperialista e l'intervento militare contro l'URSS', XX plenum dell'IKKI, Settembre 1932]

Dopo aver ampiamente dimostrato la posizione comunista circa la collaborazione tra classi, ricordo agli hoxhaisti che la "democrazia progressista" in Corea non era un "regime di varie classi", bensì un "regime guidato dalla classe operaia in testa, che ricorreva alla collaborazione anche con altre classi". Ora, per chiarire in maniera concisa in cosa realmente consista la "democrazia progressista" coreana, citiamo uno dei maggiori scritti di Kim Il Sung del periodo, tra l'altro usato (a sproposito) da Steinmayr stesso:

«In Oriente, dato che si rivelava sempre più chiaramente il disegno aggressivo degli imperialisti giapponesi teso a conquistare i popoli dell'Asia, era indispensabile formare dei fronti uniti nazionali contro l'imperialismo giapponese. Nei Paesi in lotta contro il dominio coloniale dell'imperialismo e per liquidare il pericolo della colonizzazione, si organizzava il fronte unito nazionale e nei paesi in pericolo di fascistizzazione, come la Francia e la Spagna, si organizzava il fronte popolare. Il fronte popolare e il fronte unito nazionale erano identici come essenza, in quanto entrambi si opponevano al fascismo e all'aggressione imperialista, ma rivestivano queste forme differenti in ragione delle condizioni concrete di ciascun paese. [...] Quale via doveva prendere la Corea liberata? C'è un fatto fondamentale, il più importante, di cui dobbiamo tenere assolutamente conto nella definizione del cammino che la Corea dovrà seguire. Si tratta del fatto che la Corea è stata per molto tempo una colonia dell'imperialismo giapponese. A causa della dominazione dell'imperialismo giapponese, lo sviluppo del capitalismo in Corea era stato estremamente frenato e la società coreana era rimasta una società coloniale caratterizzata da sopravvivenze feudali. Conseguenza particolare di questo fu il permanere nelle nostre campagne di rapporti di coltivazione feudale. Da qui i compiti che si impongono oggi al popolo coreano: completare la rivoluzione democratica antimperialista e anti-feudale e fondare una repubblica popolare democratica. Chi dirigerà allora questa rivoluzione? La classe operaia o la classe dei capitalisti? Nel passato, la classe dei capitalisti coreani, legati all'imperialismo giapponese, ha sfruttato e oppresso il popolo coreano e l'ha ingannato con le parole d'ordine del tipo “riforma della nazione” e “autonomia nazionale”. Questo non toglie che alcuni fa i capitalisti nazionali si siano levati contro l’imperialismo giapponese. È la classe operaia coreana che ha coraggiosamente lottato fino all'estremo contro l’imperialismo giapponese. [...] È evidente che la classe dei capitalisti di Corea che si è venduta all'imperialismo giapponese e che si è legata ad esso, non può dirigere la rivoluzione. Solo la classe operaia che ha valorosamente lottato fino alla fine contro l’imperialismo giapponese può e deve necessariamente dirigere la rivoluzione coreana. [...] Per costruire una repubblica popolare democratica bisogna formare un fronte unito di tutte le forze patriottiche e democratiche che comprenda non solo la classe operaia e i contadini, ma anche i capitalisti nazionali. Non è semplicemente con le parole, ma nella lotta effettiva per la fondazione di una repubblica popolare che possiamo guadagnarci le masse. Dobbiamo sapere che gli intellettuali, i credenti e i capitalisti sono anch'essi attualmente in movimento, benché non siano organizzati. Più le nostre organizzazioni e le nostre forze si consolideranno, più anche essi si organizzeranno gradualmente, liberandosi dal loro stato di dispersione. Tenendo conto di ciò, non possiamo, al momento attuale, trascurare le forze dei nazionalisti e non dobbiamo porre ostacoli alla formazione del fronte unito nazionale rigettandoli senza principio. [...] dato che il fronte unito di cui parliamo ha come fine l'edificazione di una repubblica popolare democratica, è impensabile che ci si unisca coi lacchè dell'imperialismo giapponese. Possiamo unirci e d'altra parte dobbiamo farlo con i capitalisti nazionali coscienziosi che desiderano l’edificazione di uno Stato democratico e indipendente. È solamente formando un simile fronte unito che potremo edificare una repubblica popolare democratica e raccogliere tutte le classi e gli strati delle masse popolari.
In questa lotta il Partito Comunista non dovrà essere né inattivo né timido. Nella lotta per l’istaurazione di una repubblica popolare democratica i membri del Partito Comunista devono giocare il ruolo più attivo e più energico; devono essere alla testa delle masse popolari. Solo così le masse popolari seguiranno il Partito Comunista. I capitalisti nazionali possono ad ogni istante esitare nel corso della lotta per la fondazione di una repubblica popolare democratica. L'esperienza mostra che non raramente essi ingannano le masse o tradiscono gli interessi articolari di classe. I capitalisti nazionali temono la spinta rivoluzionaria delle masse e facilmente esitano nella misura in cui la rivoluzione avanza. Per questo dobbiamo da una parte sforzarci di realizzare l'unione con loro, anche se essi esitano e non dimostrano ardore per l'opera di edificazione di una repubblica popolare democratica e, d'altra parte, denunciare e criticare senza fine i loro crimini e la loro indecisione. Solo in questo modo potremo far conoscere chiaramente alle masse la vera natura dei capitalisti nazionali e, nello stesso tempo, far loro comprendere a fondo la politica del Partito Comunista. Il Partito Comunista deve cooperare senza esitazione con i partiti che auspicano la riunificazione e l’indipendenza del nostro paese, ma non deve mai mettersi al loro rimorchio, e, ancor meno, lasciarsi assorbire. [...] Anche i capitalisti nazionali provano grande paura per la nostra lotta contro gli elementi sopravvissuti dell'imperialismo giapponese, perché hanno anch'essi più o meno servito l'imperialismo giapponese nel passato. È un errore pretendere che non si debbano denunciare e criticare i loro crimini nel momento in cui preconizziamo il fronte unito nazionale. Nel quadro del fronte unito dobbiamo attenerci al principio di combatterli pur unendoci con loro. Solo così potremo elevare il livello di coscienza politica delle masse lavoratrici e mettere fine all'indecisione dei capitalisti nazionali. [...] Il nostro compito immediato è fondare una repubblica popolare democratica. Non possiamo saltare delle tappe nello sviluppo della rivoluzione, dobbiamo adottare una giusta strategia e una giusta tattica per portare a termine i compiti che si impongono nel momento attuale della rivoluzione. I bersagli della nostra lotta immediata sono i lacchè dell'imperialismo, che cercano di aiutare una ristrutturazione delle forze sue e dei suoi alleati: le forze feudali, cioè i proprietari fondiari. Se si vuol portare a termine la rivoluzione democratica contro i residui delle forze imperialiste e delle forze feudali, bisogna assolutamente edificare una repubblica popolare democratica, un potere popolare diretto dalla classe operaia, formando un fronte unito democratico avente per nucleo la classe operaia e comprendente l’immensa massa dei contadini e gli intellettuali patrioti, cioè anche gli stessi capitalisti nazionali che abbiano una coscienza nazionale. Il programma di base del Partito, che rappresenta le esigenze strategiche della tappa attuale della rivoluzione è immutabile, ma il suo programma di azione, che rappresenta le esigenze tattiche, può cambiare in ogni momento.» [Kim Il Sung, 'Sull'unificazione di una Corea nuova e del Fronte Unito Nazionale', 13 Ottobre 1945]

II

N. Steinmayr decide poi di "informarci" del fatto che i comunisti coreani abbiano ritenuto prematura l'instaurazione di un sistema di potere sovietico in Corea, a causa delle sue condizioni dopo il 1945. Per farlo, l'autore non cita testi in cui si dica ciò, ma si limita a riprendere un passo in cui si dice: «the principle of uniting to the maximum all forces that love the country and people» [Il principio dell'unità di tutte le massime forze che amano il paese ed il popolo], ed al usarlo come 'prova'! A bene guardare, sembra che tutto ciò non abbia alcuna relazione con l'affermazione che in Corea si è deciso di non procedere alla creazione di un sistema di potere sovietico. Ci sarebbe da chiedersi dove l'autore veda questo collegamento. Nonostante l'autore si limiti a calunnie e speculazioni, vedrò comunque di analizzare quanto puerilmente sciorinato sulla Corea in maniera rigorosa e scientifica. Innanzitutto, i soviet sono gli organi di potere sovietico, non organi di potere popolare in generale:

«I Soviet sono la forma russa della dittatura proletaria.» [Vladimir Lenin, 'La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky', Novembre 1918]

Ma questo forse, i genî del leninismo lo sanno, dato che l'Albania di Hoxha non si basava su soviet, ma comunque su organi di potere popolare. I soviet sono delle assemblee popolari gestite dai delegati della classe operaia, e, come tali, essi devono rappresentare il governo proletario, ma, non è per forza una Repubblica dei Soviet che si deve creare per l'instaurazione del socialismo. Vediamo, ad esempio, che di "Repubbliche Sovietiche", ovvero i cui organi di potere popolare ero dei veri e propri soviet, vi furono solo quella nell'URSS e qualche altro esperimento dello stesso tipo ma di breve durata, in Europa ed Asia. L'Albania non era un Repubblica Sovietica, bensì Popolare, come la Corea. Vediamo, ora, le opinioni di eminenti marxisti sui concetti di "Repubblica democratica" e "Repubblica popolare":

«Nelle condizioni create dalla disfatta militare degli Stati fascisti aggressori, nelle condizioni del rapido aggravarsi della crisi generale del capitalismo, dell'enorme aumento della potenza dell'Unione Sovietica, il nostro paese, come anche gli altri paesi a democrazia popolare, assicuratasi la stretta collaborazione con l'URSS e con le altre democrazie popolari, vede aprirsi la possibilità di realizzare il passaggio al socialismo senza creare un regime sovietico, attraverso il regime di democrazia popolare, a condizione che questo regime si rafforzi e si sviluppi con l'aiuto dell'Unione Sovietica e dei paesi di democrazia popolare.» [Georgi Dimitrov, 'Rapporto al V Congresso del Partito Operaio Bulgaro', 19 Dicembre 1948]

«La strada polacca verso il socialismo, malgrado i suoi caratteri particolari, non è qualcosa di essenzialmente diverso, ma solo una variante della strada generale di sviluppo verso il socialismo, variante che può esistere proprio grazie alla precedente vittoria del socialismo nell'URSS, una variante basata sulle esperienze dell'edificazione socialista nell'URSS, con riguardo alla natura specifica del nuovo periodo storico che determina le condizioni dello sviluppo storico della Polonia.» [Boleslaw Bierut, 'Rapporto al I Congresso del Partito Operaio Unificato Polacco', Dicembre 1948]

Fu lo stesso Comintern, inoltre a dichiarare (anche se questo non è il caso della Corea, dato che, come dimostrerò, nel paese il potere fu dato al popolo che lo esercitava tramite organi di potere popolare), quanto nei paesi coloniali siano di gran lunga maggiormente importanti le rivendizioni parziali volte al consolidamento della repubblica democratica, e secondarie la crezione di organi di potere popolare:

«Il proletariato sostiene, anzi porta avanti in prima persona rivendicazioni parziali, quali per esempio la rivendicazione di una repubblica democratica indipendente, dell'abolizione dell'inferiorità politica delle donne, etc; nella misura in cui i rapporti di forza esistenti non gli permettono di considerare l'attuazione del programma sovietico come compito immediato.» ['Fronte Unico Antimperialista', IV Congresso dell'Internazionale Comunista, Dicembre 1922]

Ora, avendo quantomeno chiarito la questione della Repubblica Sovietica, e di quali siano i suoi margini di creazione entro un regime proletario, passo ora ad analizzare la Corea. Vi fu in essa la creazione di un potere esercitato dal proletariato, esercitato tramite comitati e assemblee popolari, oppure no? Kim Il Sung ci fornisce eloquenti risposte sulle intenzioni dei comunisti coreani:

«In vista della fondazione di un governo provvisorio democratico unificato per tutta la Corea, [ci siamo fissati il compito di] organizzare prima di tutto, in tutte le località, dei comitati popolari, organi di potere autenticamente popolari, effettuare tutte le riforme democratiche, ricostruire le officine, le imprese e tutta l'economia nazionale distrutte dagli imperialisti giapponesi, elevare il livello di vita materiale e culturale del popolo e gettare così le basi principali della costruzione di uno Stato democratico e indipendente. [...] Il nostro Partito ha intrapreso la stabilizzazione degli organi di un potere di tipo nuovo, popolare, come primo passo per attuare tutto questo compito. Dobbiamo stabilire un nuovo tipo di organo di potere, pienamente conforme alle esigenze del popolo coreano liberato, meglio appropriato allo sviluppo democratico della nostra patria e capace di rappresentare gli interessi di tutte le classi e di tutti gli strati della popolazione, soprattutto delle larghe masse lavoratrici e non mantenere tale e quale la vecchia macchina statale della dominazione imperialista giapponese, né creare un apparato statale facendo solo leggeri ritocchi al vecchio apparato. Il comitato popolare, stabilito su iniziativa del popolo coreano senza ingerenze straniere è stato definito, dal nostro Partito, come questo nuovo tipo d'organo di potere. Infatti il comitato popolare è esattamente il potere stabilito dal popolo stesso di sua iniziativa; è un potere che si oppone ai nemici del popolo coreano, elementi filo-giapponesi, traditori della nazione, proprietari fondiari e capitalisti compradores e che rappresenta gli interessi dei lavoratori (aventi come nucleo la classe operaia) e gli interessi di tutto il popolo; è l'organo di un potere che, radicato profondamente nelle grandi masse, può soddisfare più prontamente le esigenze del popolo, poiché gode del suo appoggio ed ha con esso profondi legami di sangue; è una forma di potere democratico completamente nuova, costruita sulle rovine della macchina di stato repressivo dell'odiosa dominazione dell'imperialismo giapponese e diversa dalla instabile forma di potere «democratico parlamentare» della società borghese; è un nuovo tipo di potere, capace di condurre il nostro popolo verso una società democratica più avanzata, libera, felice e ricca. Soltanto un potere di questo tipo può assicurare l'indipendenza e la sovranità completa della nostra patria, raccogliere attorno a sé le larghe masse popolari e valorizzare su larga scala il loro zelo politico e il loro patriottismo per mobilitare tutte le forze nella costituzione di una patria ricca e potente. Perciò, il nostro Partito ha mobilitato tutte le forze popolari per la fondazione di questo nuovo tipo di potere e per il suo rafforzamento e il suo sviluppo. Con l'istituzione e il continuo sviluppo degli organi di potere, di tipo nuovo nelle province, noi ci troviamo di fronte al problema di stabilire un organismo centrale atto a dirigere in modo organico tutti i comitati popolari locali. Solo la costituzione di una simile macchina centrale di stato avrebbe offerto la possibilità di vincere la dispersione nel lavoro degli organi del potere popolare e la loro tendenza al separatismo regionale, e compiere con maggior successo e in modo uniforme i compiti politici ed economici più urgenti che incombevano sulla patria e il popolo.» [Kim Il Sung, 'Sull'instaurazione di un potere di nuovo tipo, popolare, e realizzazione delle riforme democratiche', 28 Marzo 1948]

Ovviamente si può discutere circa l'applicazione o meno dei metodi della democrazia popolare, anche se non si può negare (ed è quello che gli hoxhaisti hanno fatto) la ferma volontà dei dirigenti coreani nella creazione di comitati popolari. Per quanto riguarda l'effettiva creazione di organi di potere popolare, riporto ora il Capitolo V della Costituzione del 1948, la sezione "Gli organi locali del potere":

«Articolo 69 : Le Assemblee Popolari a tutti i livelli sono composte da deputati eletti sulla base di un suffragio universale, egualitario e diretto, a scrutinio segreto. [...]
Articolo 70 : Le Assemblee Popolari Locali a tutti i livelli assicurano l'osservanza e l'esecuzione delle leggi nelle loro rispettive aree; dirigono tutte le attività nel campo economico, pubblico e culturale; approvano il bilancio locale; assicurano la protezione delle proprietà private e statali, il mantenimento dell'ordine pubblico e dei diritti dei cittadini.
Articolo 72 : I Comitati Popolari delle province, delle città, delle contee o dei distretti cittadini dei ri, dei villaggi o degli insediamenti dei lavoratori sono organi esecutivi delle Assemblee Popolari ai livelli corrispondenti e gli organi amministrativi locali dello stato.
Articolo 74 : I Comitati Popolari a tutti i livelli conducono tutti gli affari amministrativi dello stato nelle aree sotto la loro giurisdizione in virtù delle decisioni e delle direttive delle Assemblee Popolari ai livelli corrispondenti e agli organi di livello più alto.»

Ora diamo un'occhiata anche alla Costituzione del 1972, per vedere, in ultima istanza, i ruoli dei Comitati Popolari e delle Assemblee Popolari nella Corea democratica, così come sono stati creati e diversificati durante la rivoluzione socialista:

«Articolo 115: Le assemblee popolari di provincia (o di città dipendenti direttamente dalle autorità centrali), di città (o di circoscrizioni urbane) e di circoscrizione, sono gli organi locali del potere.
Articolo 116 : L'assemblea popolare locale è composta dai deputati eletti a scrutinio segreto secondo i principi del suffragio universale, uguale e diretto.
Articolo 118 : L'assemblea popolare locale ha i compiti e poteri seguenti:
1. Approvare il piano locale di sviluppo dell'economia nazionale.
2. Approvare il bilancio locale.
3. Eleggere o revocare il presidente, i vicepresidenti, il segretario generale e i membri del comitato popolare corrispondenti.
4. Eleggere o revocare il presidente del comitato amministrativo corrispondente.
5. Eleggere o revocare i giudici e gli assessori popolari del tribunale corrispondente.
6. Annullare le decisioni e le direttive ingiuste del comitato popolare corrispondente, delle assemblee popolari e di comitati popolari delle istanze inferiori.
Articolo 122 : L'assemblea popolare locale adotta delle decisioni. Le decisioni dellʼassemblea popolare locale sono rese pubbliche dal presidente del comitato popolare corrispondente.
Articolo 125 : Il comitato popolare locale ha i compiti e i poteri seguenti:
1. Convocare la sessione dell' assemblea popolare.
2. Effettuare il lavoro relativo alle elezioni dei deputati all'assemblea popolare.
3. Effettuare il lavoro nei confronti dei deputati alla assemblea popolare.
4. Fissare le misure per realizzare le decisioni della assemblea popolare corrispondente e dei comitati popolari ai livelli superiori.
5. Dirigere il lavoro del comitato amministrativo corrispondente.
6. Dirigere il lavoro dei comitati popolari al livelli inferiori.
7. Dirigere il lavoro degli organismi e delle imprese statali e delle organizzazioni cooperative sociali che si trovano sul suo territorio.
8. Annullare le decisioni e le ordinanze ingiuste del comitato amministrativo corrispondente, dei comitati popolari e dei comitati amministrativi ai livelli inferiori e sospendere l'esecuzione delle decisioni ingiuste delle assemblee popolari ai livelli inferiori.
9. Nominare o revocare i vice-presidenti, il segretario generale e gli altri membri del comitato amministrativo corrispondente.
Articolo 126 : Il comitato popolare locale adotta decisioni ed emana direttive.
Articolo 127 : Il comitato popolare locale è responsabile del suo lavoro davanti all'assemblea popolare corrispondente e il comitato popolare ai livelli superiori.
Articolo 128 : I comitati amministrativi di provincia (o di città dipendente direttamente dalle autorità centrali), di città (o di circoscrizione urbana) e di circoscrizione sono gli organi amministrativi ed esecutivi degli organi locali del potere.
Articolo 130 : Il comitato amministrativo locale ha i compiti e i poteri seguenti:
1. Organizzare e risolvere i problemi amministrativi della località corrispondente.
2. Realizzare le decisioni e le direttive dell'assemblea popolare e del comitato popolare corrispondenti, nonché quelle degli organi di livello superiore.
3. Elaborare i l piano locale di svi luppo dell'economia nazionale e fissare le misure per realizzarlo.
4. Fare il bilancio locale e prendere misure per realizzarlo.
5. Prendere le misure necessarie per mantenere l'ordine pubblico nella località, proteggere gli interessi dello Stato e garantire i diritti dei cittadini.
6. Guidare il lavoro dei comitati amministrativi a livello inferiore.
7. Annullare le decisioni e le direttive inique dei comitati amministrativi ai livelli inferiori.
Articolo 131 : Il comitato amministrativo locale adotta delle decisioni ed emana ordini.»

Liquidare la Corea con la semplice asserzione "non venne creato un potere sovietico", è totalmente anti-storico e semplicistico, e mi pare di aver già dimostrato l'erroneità di quest'infamia, percui non mi soffermerei oltre su questa questione.

III

Steinmayr accusa poi la Corea di "alleanza coi nazionalisti", che ci fu al fine di collaborare con le forze patriottiche per ricostruire il paese, ma che agli occhi degli hoxhaisti pare un'"eresia".
Ma innanzitutto, bisogna chiarire una questione ancora aperta in Corea: ovvero, il fatto che, nei movimenti politici coreani negli anni '30 e '40 non si sia mai creata una differenza tra i concetti politici di "patriottismo" e "nazionalismo", nel senso che, i due termini hanno lo stesso significato; mentre in Europa, la storia ha portato ad una chiara divergenza tra i due concetti (dove "nazionalismo" è un'esasperazione del "patriottismo", che viene evoluto in chiave imperialista), in Corea l'uno significa l'altro, in molti casi, e questa distinzione (che non è emersa chiaramente come in Occidente), si sta creando solo da qualche decennio. Questo "problema" riguarda però solo una questione terminologica, infatti in Corea il movimento nazionalista è stato in varie occasioni identificato come reazionario dai comunisti (si pensi alle memorie di Kim Il Sung). Sotto quest'ottica, si può benissimo comprendere scritti come "Per una corretta comprensione del nazionalismo" di Kim Jong Il, in cui si fanno affermazioni come:

«Il nazionalismo si è formato come ideologia di difesa degli interessi di una nazione nel corso della formazione e dello sviluppo nazionali. [...] Il carattere di classe ed il carattere nazionale e le necessità delle classi e della nazione sono tra di essi inseparabili. Infatti, le classi e gli strati sociali di una nazione coltivano differenti necessità ed interessi, dovuti alle loro funzioni sociali ed economiche. Tuttavia, tutti i membri di una nazione hanno lo stesso punto fermo nella difesa dell'indipendenza e del carattere nazionali e nell’aspirazione alla prosperità della nazione senza distinguere tra gli interessi della propria classe o strato sociale. Questo accade poiché il destino di una nazione è precisamente il destino dei suoi membri individuali; in altre parole, il destino dei singoli individui dipende dal destino della nazione. Nessuno potrebbe essere felice, vedendo la sovranità della propria nazione calpestata e il carattere nazionale disprezzato. Amare la propria nazione, curare le sue tipicità ed i suoi interessi, desiderarne la prosperità, sono il sentimento e la psicologia comuni dei membri di una nazione. Il nazionalismo riflette questo sentimento e questa psicologia. In altre parole, il nazionalismo è l’ideologia che sostiene l’amore per la nazione e la difesa dei suoi interessi. Da quando il popolo traccia il proprio destino vivendo unito in uno stato-nazione, l’autentico nazionalismo costituisce il patriottismo. La natura progressista del nazionalismo risiede nel fatto che esso è una ideologia patriottica che sostiene la difesa degli interessi nazionali.» [Kim Jong Il, 'Per una corretta comprensione del nazionalismo', 26 e 28 Febbraio 2002]

Ma come si nota, il concetto espresso da Kim Jong Il non ha alcun raffronto col concetto di nazionalismo che si è sviluppato in Europa. Mentre in Europa, governi dichiaratamente nazionalisti (come quelli di Franco, di Mussolini, di Hitler o di Piłsudski) dichiaravano la superiorità della propria nazione su altre, e miravano ad imporre la loro egemonia su altri popoli, in Corea, lo spirito nazionalista si può riassumere nella frase "il nazionalismo è l’ideologia che sostiene l’amore per la nazione e la difesa dei suoi interessi". Se consideriamo la differenza tra nazionalismo e patriottismo come espressa nella frase "Il patriottismo significa amare il proprio popolo, mentre il nazionalismo significa odiare gli altri", che fu detta da De Gaulle (ma anche ripresa da Lenin e Stalin), si nota che i comunisti coreani non hanno nulla a che spartire col concetto di nazionalismo inteso in Occidente. Qui si tratta ovviamente di un concetto non dissimile dal patriottismo, e non va inteso nel senso nazionalistico europeo.
Detto ciò, pare, nuovamente, evidente che la questione risieda nella differente situazione nella quale si trovano i paesi coloniali e semi-coloniali, che, al fine di completare la rivoluzione democratico-borghese (guidata però dai comunisti), si trovano a dover allearsi con tutte le forze patriottiche. In Corea, più che in altri paesi. Durante la ventennale guerra anti-giapponese, le maggiori fazioni a combattere contro gli occupanti non erano solo comuniste, ma nazionaliste. Il governo coreano in esilio a Shanghai, era infatti dominato dai nazionalisti, e, fino alla metà degli anni '30, i nazionalisti erano, tra i coreani all'estero, i gruppi più organizzati militarmente e politicamente (Kim Il Sung fa un'ottima analisi storica di tutto questo nelle sue memorie "Con il secolo"). Era quindi necessario, che, durante il periodo di ricostruzione nazionale, si dovesse anche ricorrere all'ausilio di quei gruppi che, benché non-comunisti, avevano a cuore l'indipendenza del paese (e di ciò se è ampiamente parlato nel I capitolo della mia contro-critica, quando ho citato Kim Il Sung). Se non bastasse la citazione di Kim Il Sung nel paragrafo I della III parte della mia analisi, la ripeterò, in modo da chiarire le idee all'autore:

«Tenendo conto di ciò [delle condizioni economiche e politiche della Corea nel 1945], non possiamo, al momento attuale, trascurare le forze dei nazionalisti e non dobbiamo porre ostacoli alla formazione del fronte unito nazionale rigettandoli senza principio.» [Kim Il Sung, 'Sull'unificazione di una Corea nuova e del Fronte Unito Nazionale', 13 Ottobre 1945]

Se gli hoxhaisti ritengono la Corea revisionista in virtù di un'analogia che fanno con la Cina "revisionista", allora posso benissimo anche io fare ciò (ed in questa situazione ha un maggiore senso pratico e teorico), ed in questo caso mi appellerò a quanto scrisse Stalin sulla questione dell'alleanza tra Guomintang (nazionalisti) ed il Partito comunista cinese:

«Ma una cosa, in ogni caso, è chiara, e cioè che la lotta per la rivoluzione cinese è il compito base dei comunisti cinesi. Da qui il compito dei comunisti cinesi per quanto riguarda il loro atteggiamento nei confronti del Guomintang ed il futuro governo rivoluzionario in Cina. Si è detto che i comunisti cinesi dovrebbero ritirarsi dal Guomintang. Ciò sarebbe sbagliato, compagni. Il ritiro dei comunisti cinesi dal Guomintang in questo momento sarebbe un profondo errore. L'intero corso, carattere e prospettive della rivoluzione cinese testimonia senza dubbio in favore dei comunisti cinesi rimasti nel Guomintang.» [Giuseppe Stalin, 'Le prospettive della rivoluzione cinese', 30 Novembre 1926]

Anche l'Internazionale parlò in varie occasioni dell'alleanza tra comunisti e nazionalisti:

«L'Internazionale Comunista appoggia ogni movimento rivoluzionario nazionale contro l'imperialismo. Al tempo stesso non dimentica che soltanto una coerente politica rivoluzionaria, volta a trascinare nella lotta attiva larghissime masse, e una rottura completa con tutti i sostenitori della riconciliazione, a vantaggio del proprio dominio di classe, possono guidare alla vittoria delle masse oppresse.» ['Tesi sulla questione orientale', II congresso Internazionale Comunista, Luglio 1920]

«[...] nell'oriente coloniale la parola d'ordine che deve essere messa in rilievo nel momento attuale è quella del fronte unico antimperialista.» ['Fronte Unico Antimperialista', IV congresso dell'Internazionale Comunista, Dicembre 1922]

La posizione di Stalin e del Comintern sulle alleanze con movimenti nazionalisti (finché mantengono un carattere progressista e antimperialista), nei paesi arretrati da un punto di vista dell'evoluzione economica, è inequivocabile (a questo proposito, sono utili anche 'Questioni della rivoluzione cinese', dell'aprile 1927 e 'La rivoluzione cinese ed i compiti del Comintern', del 24 maggio 1927, entrambi di Stalin). Ora, è in evidente contraddizione con i dettami del marxismo e dell'internazionalismo considerare nocive alleanze coi nazionalisti a prescindere, indipendentemente dalle condizioni nazionali e dal grado di sviluppo storico. Questa non fu la linea seguita dal Comintern e dall'Unione Sovietica.

IV

Vediamo, subito dopo, che gli hoxhaisti dichiarano che il comunismo coreano ("lontano da essere percepito in un senso leninista, bolscevico"!) è associato al patriottismo e all'indipendenza [il rapporto tra socialismo coreano ed indipendenza sarà analizzato nel capitolo successivo] del paese. Niente di più anti-dialettico e non conforme alla realtà. Considerando inoltre la citazione di Kim Il Sung utilizzata ("Somebody asked me just now: General, are you also a communist? Yes, I am a communist. Communists are true patriots fighting unswervingly for the complete independence of the country and the happiness of the people. If a man called a communist does not love his country and nation, he is not a true communist. I am not the kind of communist who looks up to foreign countries but one who relies on our own people and fights for the benefit of the Korean nation and people." [Qualcuno mi ha chiesto appena: Generale, sei anche comunista? Sì, sono un comunista. I comunisti sono veri patrioti che lottano incrollabilmente per la completa indipendenza del paese e per la felicità del popolo. Se un uomo chiamato comunista non ama la sua nazione ed il suo paese, non è un vero comunismo. Non sono il genere di comunista che cerca i paesi stranieri, ma uno di quelli che si affida sul proprio popolo e combatte per il benessere della nazione coreana e del popolo]), verrebbe da chiedersi dove lo vedano un contrasto col marxismo. Gli hoxhaisti, come sempre, per motivare le loro decadenti analisi, si appigliano a retoriche e citazioni inesistenti, che solo loro vedono. Come dice Kim Il Sung, un comunista è anche un patriota, ma i due concetti non sono i medesimi, sono due diversi e distinti, ma sono vicini e devono essere considerati paralleli per l'ideologia marxista-leninista. Tralasciando la madornale incomprensione dell'autore per lo scritto di Kim Il Sung, potrebbe venire il sospetto che l'autore, come vari marxisti ortodossi e che si dichiarano durevolmente attaccati ai principî, rifiuti il patriottismo e l'indipendenza, e veda questi due concetti come "fenomeni borghesi non legati al marxismo". Anche qui, si lascia il campo dell'analisi dialettica, e ci si butta in frase fatte, tra l'altro storicamente false.
Ma guardiamo ora alle posizioni storiche di alcuni intellettuali comunisti su questa questione, e alcuni articoli su giornali marxisti in proposito:

«Non si può essere un internazionalista in musica, come in qualsiasi altra cosa, senza essere un autentico patriota. Se alla base dell'internazionalismo c'è il rispetto degli altri popoli, non si può essere un internazionalista senza rispettare ed amare il proprio popolo.» [Andrej Zdanov, 'Intervento alla conferenza dei musicisti sovietici', Gennaio 1948]

«Assai spesso, i nemici dei lavoratori tentano di conquistare il patriottismo dei comunisti e dei socialisti, invocando il loro internazionalismo e presentandolo come una manifestazione di cosmopolitismo, di indifferenza e di disprezzo per la patria. Anche questa è una calunnia. Il comunismo non ha nulla di comune col cosmopolitismo. Lottando sotto la bandiera della solidarietà internazionale dei lavoratori, stanno solidamente sul terreno nazionale. Il comunismo non contrappone, ma accorda e unisce il patriottismo e l'internazionalismo proletario poiché l'uno e l'altro si fondano sul rispetto dei diritti, delle libertà, dell'indipendenza dei singoli popoli. È ridicolo pensare che la classe operaia possa staccarsi, scindersi dalla nazione. La classe operaia moderna è il nerbo delle nazioni, non solo per il suo numero, ma per la sua funzione economica e politica. L'avvenire della nazione riposa innanzitutto sulle spalle delle classi operaie. I comunisti, che sono il partito della classe operaia non possono dunque staccarsi dalla loro nazione se non vogliono troncare le loro radici vitali. Il cosmopolitismo è un'ideologia del tutto estranea alla classe operaia. Esso è invece l'ideologia caratteristica degli uomini della banca internazionale, dei cartelli e dei trusts internazionali, dei grandi speculatori di borsa e dei fabbricanti di armi. Costoro sono i patrioti del portafoglio. Essi non soltanto vendono, ma si vendono volentieri al migliore offerente tra gli imperialisti stranieri. ['Il patriottismo dei comunisti', "Rinascita", n°7-8, luglio-agosto 1945]

«Bisogna sviluppare l'idea che coniuga un sano nazionalismo, correttamente inteso, con l'internazionalismo proletario. L'internazionalismo proletario deve poggiare su questo nazionalismo nei singoli paesi [...]. Tra il nazionalismo correttamente inteso e l'internazionalismo proletario non c'è e non ci può esserci contraddizione. Il cosmopolitismo senza patria, che nega il sentimento nazionale e l'idea di patria, non ha nulla da spartire con l'internazionalismo proletario.» [Georgi Dimitrov, 'Diario. Gli anni di Mosca (1934-1945)']

«Il patriottismo sovietico, che si sta ampiamente diffondendo nel nostro paese in conseguenza della vittoria del socialismo, alimentato nel popolo sovietico dal Partito di Lenin e Stalin, è diventato una potente forza motrice dello sviluppo della società sovietica. Il patriottismo sovietico, che esprime la devozione del popolo sovietico alla sua Madrepatria socialista, sta cementando le fondamenta dello stato multinazionale sovietico, chiamando a raccolta tutti i popoli e tutte le nazionalità del nostro paese in una famiglia unita e fraterna. Il patriottismo sovietico serve per la gente del nostro paese come un potente richiamo ideologico per il lavoro disinteressato e gli atti eroici per la fama della Madrepatria socialista, per il bene della vittoria del comunismo. Con l'ardente espressione del patriottismo sovietico, il sublime sentimento dell'orgoglio nazionale sovietico, raggiunge la consapevolezza dell'incommensurabile superiorità della società sovietica e della cultura socialista sulla società borghese e la sua cultura. Il patriottismo sovietico, il sentimento della dignità nazionale sovietica, è una barriera ideologica affidabile che distrugge tutti i tentativi di reazione internazionale servile ed imbevuta di servilismo nei confronti dell'occidente capitalista contro il popolo sovietico. Il patriottismo sovietico, in quanto sentimento di profonda devozione delle masse popolari alla loro madrepatria, al sistema sociale e di governo sovietico, è un fenomeno qualitativamente nuovo. Il patriottismo sovietico è il frutto più prezioso di questa rivoluzione fondamentale nella coscienza del popolo, che prese piede sulla base della vittoria della Grande Rivoluzione Socialista di Ottobre nel nostro paese. Il patriottismo sovietico non ha eguali in tutta la storia precedente per forza ed influenza sugli animi e sui cuori del popolo [...] Il patriottismo sovietico è inseparabile dall'internazionalismo proletario, legato organicamente ad esso. Unisce organicamente le tradizioni nazionali dei popoli con gli interessi vitali di tutti i lavoratori dell'URSS. In virtù del suo carattere socialista, il patriottismo sovietico ripudia ogni predicazione di esclusivismo razziale o nazionale; ogni pregiudizio razziale o nazionale gli è alieno [...] Come Lenin ha sottolineato, "l'internazionalismo non significa anti-nazionalismo" (Opere, 4° edizione, vol. XXI, p.245). Quest'osservazione di Lenin è di fondamentale importanza, perché sta parlando del fatto che l'internazionalismo proletario non abbia nulla in comune con il cosmopolitismo borghese, attuale la bandiera dell'ideologia della reazione. "Se, in fondo, l'internazionalismo è il rispetto per gli altri popoli, è impossibile essere internazionalisti senza rispettare o amare il proprio popolo" (Andrej A. Zdanov).» ['Bolshevik: Rivista politica e teorica del Comitato Centrale del PC(b)US', n°5, 15 marzo 1949, pp. 30-41]

Ora, penso di aver ampiamente chiarito il legame intrinseco tra patriottismo, internazionalismo proletario ed anche marxismo, tant'è che ogni leader comunista del XX secolo si è sempre dichiarato un fervente patriota, oltreché un comunista. Non ritengo, serva citare anche Kim Il Sung o Kim Jong Il per evidenziare il carattere anti-dialettico di questa critica, del tutto astratta dai fatti storici, e, per molti versi, identica a quelle trockijste nei confronti dello "stalinismo", accusato di nazionalismo e dell'abbandono dell'internazionalismo (anche se sarebbe meglio dire cosmopolitismo) che essi predicavano.

V

Come detto precedentemente, gli hoxhaisti sostengono che, oltre alla confusione col patriottismo, i comunisti coreani associno la loro ideologia anche all'indipendenza. Gli hoxhaisti, più vicini all'anti-patriottismo che all'internazionalismo, sminuiscono e denigrano anche il valore dell'indipendenza nazionale. Ora, questa critica sembra ancora più idealizzata, per non dire che essa vada contro palesemente ai dettami di tutti i leader comunisti della storia. Non ci pare che Lenin, Stalin e la Terza Internazionale predicassero l'"inutilità" del valore dell'indipendenza nazionale, oppure di relegarla in secondo piano. Anzi, quasi la totalità del lavoro dell'Internazionale comunista in Asia ed Africa era in favore ed in sostegno dell'indipendenza nazionale (tra i quali vi era pure la Corea, colonia giapponese), e, per tale fine (certamente quello di maggiore importanza), si optò in molte situazione perfino alla collaborazione con la borghesia patriottica o nazionalista che combatteva anch'essa per l'indipendenza nazionale. La questione coreana, è stata anch'essa trattata al Comintern (basti vedere le tesi sulla questione nazionale e coloniale del II Congresso, dove tra i paesi elencati figurava anche la Corea).
Per essere chiari e concisi con i dettami del marxismo-leninismo (e non scendere nella ridicola banalità dell'affermazione che i coreani confondo indipendenza con socialismo), è opportuno in primo luogo analizzare le posizioni dell'Internazionale comunista in merito. Non mi dilungherò a citazioni circa l'impellenza di liberare le colonie dal giogo imperialista, circa la necessità di un mondo libero dal soggiogamento dell'Asia e dell'Africa, ma basta constatare che persino l'Internazionale non ha mai nemmeno cercato di negare il carattere indipendente di ogni movimento proletario (possiamo dire quindi che il movimento comunista coreano era, giustamente, un movimento attaccato al suo paese ed alle sue condizioni nazionali). Leggiamo così in una risoluzione:

«L'Internazionale comunista deve collaborare provvisoriamente con il movimento rivoluzionario delle colonie e dei paesi arretrati, e formare con loro anche alleanze, ma non si deve amalgare con esso; deve mantenere incondizionatamente l'indipendenza del movimento proletario, anche se esso fosse in uno stato embrionale.» ['Tesi sulla questione nazionale e coloniale', II Congresso del Comintern, 28 Luglio 1920]

Al di là del Comintern in sé, l'indipendenza nazionale non è mai nemmeno stata riposta in secondo da piano nemmeno dai classici leader marxisti-leninisti. Chiaramente, con l'avvento del comunismo, il crollo dell'imperialismo e la fine dello stato quale istituzione, il carattere di 'indipendenza' delle nazioni non esisterà più, e tale concetto non sarà più messo in discussione; ma la nostra analisi si rifa al periodo moderno e a quello della Guerra fredda. Negare il valore dell'indipendenza nazionale è sempre stata una tattica degli anti-comunisti, e Lenin fu varie volte impegnate in varie critiche nei confronti di questi rinnegati, come ad esempio i socialdemocratici tedeschi come Kautsky e Scheidemann:

«Kautsky dà la formulazione più suggestiva, e perciò più pericolosa per il proletariato, della menzogna socialsciovinista. A parole è favorevole all'autodeterminazione delle nazioni, a parole è favorevole a ciò, che il partito socialdemocratico "rispetti e rivendichi dappertutto (!) e incondizionatamente (?) l'indipendenza delle nazioni" ('Neue Zeit', n°33, II, p. 241, 21 maggio 1915). Ma, in pratica, adatta il programma nazionale al socialsciovinismo imperante, lo snatura e lo mutila, non definisce con precisione i doveri dei socialisti delle nazioni dominanti e falsifica addirittura il principio democratico dicendo che esigere 1'"indipendenza statale" per ogni nazione significherebbe "esigere troppo" ("zu viel") ('Neue Zeit', n. 33, II, 77, 16 aprile 1915).» [Vladimir Lenin, 'Il proletariato rivoluzionario e il diritto di autodecisione delle nazioni', Ottobre 1915]

Un altro eminente teorico del socialismo, Stalin, in uno dei passi più famosi dei "Principî del leninismo", mette in evidenza la fondamentale importanza del carattere nazionale. Stalin, nel capitolo VI che tratta proprio della questione nazionale, sottolinea quanto ogni movimento nazionale atto a raggiungere l'indipendenza sia in sé stesso medesimo un movimento rivoluzionario; l'indipendenza e la lotta che porta ad essa è al contempo una lotta contro l'imperialismo, e ogni movimento comunista ha il dovere di sostenerla e considerarla come una delle principali conquiste politiche che si possono fare, tant'è che Stalin ritiene 'rivoluzionarie' persino lotte per l'indipendenza che hanno marcate concezioni reazionarie, come quelle dell'Emiro afghano e quella dei mercanti egiziani. Ma ora è giusto che lasci parlare l'autore stesso:

«Così si presenta la questione dei movimenti nazionali singoli e dell’eventuale carattere reazionario di questi movimenti se, naturalmente, non si considerano questi movimenti da un punto di vista formale, dal punto di vista dei diritti astratti, ma concretamente, dal punto di vista degl’interessi del movimento rivoluzionario. Lo stesso si deve dire circa il carattere rivoluzionario dei movimenti nazionali in generale. Il carattere incontestabilmente rivoluzionario dell’immensa maggioranza dei movimenti nazionali è altrettanto relativo e originale, quanto è relativo e originale l’eventuale carattere reazionario di alcuni movimenti nazionali singoli. Nelle condizioni dell’oppressione imperialistica, il carattere rivoluzionario del movimento nazionale non implica affatto obbligatoriamente l’esistenza di elementi proletari nel movimento, l’esistenza di un programma rivoluzionario o repubblicano del movimento, l’esistenza di una base democratica del movimento. La lotta dell’emiro afghano per l’indipendenza dell’Afghanistan è oggettivamente una lotta rivoluzionaria, malgrado il carattere monarchico delle concezioni dell’emiro e dei suoi seguaci, poiché essa indebolisce, disgrega, scalza l’imperialismo, mentre la lotta di certi “ultra” democratici e “socialisti”, “rivoluzionari” e repubblicani dello stampo, ad esempio, di Kerenski e Tsereteli, Renaudel e Scheidemann, Cernov e Dan, Henderson e Clynes durante la guerra imperialista, era una lotta reazionaria, perché aveva come risultato di abbellire artificialmente, di consolidare, di far trionfare l’imperialismo. La lotta dei mercanti e degli intellettuali borghesi egiziani per l’indipendenza dell’Egitto è, per le stesse ragioni, una lotta oggettivamente rivoluzionaria, quantunque i capi del movimento nazionale egiziano siano borghesi per origine e appartenenza sociale e quantunque essi siano contro il socialismo, mentre la lotta del governo operaio inglese per mantenere la situazione di dipendenza dell’Egitto è, per le stesse ragioni, una lotta reazionaria, quantunque i membri di questo governo siano proletari per origine e appartenenza sociale e quantunque essi siano “per” il socialismo. E non parlo del movimento nazionale degli altri paesi coloniali e dipendenti, più grandi, come l’India e la Cina, ogni passo dei quali sulla via della loro liberazione, anche se contravviene alle esigenze della democrazia formale, è un colpo di maglio assestato all’imperialismo, ed è perciò incontestabilmente un passo rivoluzionario.» [Giuseppe Stalin, 'Principî del leninismo', Aprile 1924]

E se Stalin difende a spada tratta e, addirittura, considera rivoluzionario "ogni movimento che scalza l'imperialismo", ogni movimento indipendentista, in Asia (qua elenca Cina ed India, ma la situazione coreana è analoga), non posso che evidenziare quanto l'indipendenza sia uno dei fattori essenziali, cardine dell'ideologia comunista, e che mai deve essere snobbata, riposta in secondo piano o ignorata, come invece pretendono di fare gli hoxhaisti. L'indipendenza è un valore che non deve essere ritenuto in contraddizione col marxismo-leninismo.
Kim Il Sung, per concludere, non ha mai parlato del Juché e del comunismo coreano come di due ideologie complementari o come di un'unica miscela ideologica. L'intricatezza della questione, mi porta però a dovere analizzare la questione su due livelli: in primo luogo, le posizioni di Kim Il Sung circa il cosmopolitismo ed il servilismo, antagonisti ai concetti di 'indipendenza e sovranità', che si presume siano ritenuti positivi da Steinmayr in quanto dichiara l'inutilità dei secondi:

«La rivoluzione non può essere né importata né esportata. Gli stranieri non possono fare la rivoluzione al nostro posto. L'artefice della rivoluzione di ciascun paese è il suo stesso popolo, ed il fattore decisivo della vittoria della rivoluzione è la forza stessa di questo paese. Inoltre man mano che il movimento rivoluzionario della classe operaia e delle masse popolari cresce, numerosi problemi, difficili e complicati, che non si erano posti fino a quel momento, si pongono ora in modo nuovo. [...] Già molto tempo fa nel nostro paese il servilismo per le grandi potenze, questa ideologia umiliante che consiste nel non riporre fiducia nelle proprie forze, nel venerare ciecamente gli altri e nell'adulare le grandi nazioni, è apparsa nella mentalità di alcuni. Coloro i quali erano imbevuti di questa ideologia non pensavano, neanche nel momento in cui il loro paese si trovava in pericolo, a salvarlo con i propri sforzi, confidando fermamente nel loro popolo, ma si limitavano a discussioni settarie ciascuno appoggiandosi al proprio sovrano e non guardando che gli altri; questo ha portato all'asservimento del nostro paese agli altri. [...] quando un uomo si abbandona al servilismo per le grandi potenze, diventa idiota; quando una nazione vi si abbandona, porta il paese alla rovina ed allorché un partito vi ricorre, conduce la rivoluzione al fallimento. Quando si è caduti nel servilismo verso le grandi potenze e si seguono gli altri alla cieca, non si può sapere in cosa consistono gli errori né trovare il modo di correggerli. Ma quando si considerano tutti i problemi in piena autonomia e si risolvono conformemente alla situazione del proprio paese, si può non solo portare a termine la rivoluzione e la costruzione, ma anche, in caso di errori commessi, trovare sul posto la loro causa e correggerli. I rivoluzionari coreani, traendo profitto da questa esperienza storica, avevano preso la decisione di non cadere mai nel servilismo nei confronti delle grandi potenze durante la lotta rivoluzionaria e di costruire, al momento della creazione di una nuova patria, uno Stato letteralmente sovrano ed indipendente [...].» [Kim Il Sung, 'A proposito della linea di condotta politica ed immediata della Repubblica Popolare Democratica di Corea', 1972]

Se la posizione di Kim Il Sung, unita alle posizioni dei marxisti, non fossero sufficienti a spiegare il valore intrinseco dell'indipendenza nazionale all'interno del movimento comunista, ora, lascio la conclusione della mia analisi alle parole del Grande Leader, che ci deluciderà in ultima istanza sul valore della sovranità politica in un regime socialista:

«Così, per la rivoluzione di ciascun paese, il popolo stesso che ne è padrone, deve innanzi tutto fare degli sforzi e sostenere una lotta, esaminare e valutare di sua spontanea iniziativa tutti i problemi che si pongono durante la rivoluzione e la costruzione e risolverli con le proprie forze in conformità con la situazione del paese. Solo così la rivoluzione e la costruzione possono essere realizzate con successo. [...] La sovranità politica costituisce il primo indice di uno Stato sovrano ed indipendente. Una nazione, qualunque essa sia, non può assicurare l'indipendenza del suo paese se non esercita pienamente i suoi diritti nell'autodeterminazione politica. Noi abbiamo stabilito e stabiliamo in completa indipendenza tutte le linee politiche basandoci sulle idee del juché. Noi non agiamo dietro l'ordine o le direttive di chicchessia, né prendiamo in blocco, né imitiamo ciò che appartiene agli stranieri. [...] Ciò non vuol dire tuttavia che noi non abbiamo affatto tenuto conto dei movimenti rivoluzionari degli altri paesi e delle loro esperienze. Ci siamo riferiti alle esperienze straniere, ma lo abbiamo fatto correttamente; infatti abbiamo applicato in modo costruttivo i principî universali del marxismo-leninismo, conformandoli alla realtà del nostro paese [...]. È sempre partendo dalle posizioni del juché che abbiamo risolto tutti i problemi in modo conforme alla situazione reale del nostro paese. Per esempio, è stato proprio nella situazione in cui tutto era stato distrutto dalla guerra che noi abbiamo avanzato la linea fondamentale della costruzione economica socialista tendente ad assicurare lo sviluppo prioritario dell'industria pesante e, nello stesso tempo, a sviluppare l'industria leggera e l'agricoltura, allo scopo di affrontare l'insieme degli obiettivi tendenti a gettare le basi di un'economia nazionale indipendente ed a migliorare rapidamente il livello di vita estremamente arretrato del popolo. È una linea originale, che riflette correttamente le esigenze di sviluppo economico del nostro paese e che sviluppa creativamente la teoria marxista-leninista. Inoltre, tenendo giustamente conto delle condizioni concrete del nostro paese, abbiamo presentato la proposta di cooperativizzazione agricola tendente a riformare i sistemi economici prima di attuare la riforma tecninca ed abbiamo tracciato le linee di trasformazione socialista del commercio e dell'industria capitalista. Queste sono le linee di condotta creative che nessun paese aveva applicato.
Quando il nostro partito ha proposto questa linea e questi orientamenti, coloro i quali sono imbevuti di servilismo nei confronti delle grandi potenze e del dogmatismo, li hanno biasimati dicendo: “non c'è nessun libro che ne parli” e “nessuno ha fatto quest'esperienza”. Nonostante ciò l'esattezza di questa linea e di questi orientamenti è dimostrata dalla realtà del nostro paese trasformato in brevissimo tempo in Stato industriale con una solida economia agricola e socialista. » [Kim Il Sung, 'A proposito della linea di condotta politica ed immediata della Repubblica Popolare Democratica di Corea', 1972]

Ora, che è stata fatta chiarezza sull'inesattezza delle tesi anti-coreane dei seguaci di Hoxha, eviterò, nelle mie future analisi, ulteriori polemiche per quanto riguardano i problemi sopra analizzati.

Edited by Songun CCCP - 11/4/2013, 15:49
 
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