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SULLA STORIA DELLA FILOSOFIA DI ALEXANDROV, ANDREI ZDANOV

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view post Posted on 19/6/2012, 10:26

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Da Andrei Zdanov, Politica e ideologia, Edizioni Rinascita, Roma, 1949, SUL FRONTE IDEOLOGICO E CULTURALE, Intervento nella discussione sulla storia della filosofia dell’Europa occidentale di G. F. Alexandrov, pp. 85-115:


INTERVENTO NELLA DISCUSSIONE SULLA STORIA DELLA FILOSOFIA DELL’EUROPA OCCIDENTALE DI G. F. ALEXANDROV1


Compagni! La discussione sull’opera del compagno Alexandrov non si è esaurita nei limiti del tema trattato. Essa si è sviluppata in larghezza ed in profondità, toccando anche i problemi generali della situazione sul fronte filosofico. La discussione si è trasformata, perciò, in una specie di conferenza di tutta l’U.R.S.S. sui problemi e sulla condizione dell’attività scientifica e filosofica. E ciò è del tutto naturale e legittimo. La preparazione di un manuale di storia della filosofia, del primo manuale marxista in questo campo, è un compito di enorme importanza scientifica e politica. Non è un caso, perciò, che il Comitato Centrale abbia rivolto la sua attenzione a questo problema, organizzando la presente discussione.
Preparare un buon manuale di storia della filosofia, significa armare i nostri intellettuali, i nostri quadri, la nostra gioventù, d’una nuova e potente arme ideologica, e nello stesso tempo, fare un gran passo in avanti sulla strada dello sviluppo della filosofia marxista-leninista. E’ comprensibile, perciò, che in questa sede ci si sia dimostrati tanto esigenti nei confronti del manuale. L’allargamento dei limiti della discussione si è rivelato, quindi, particolarmente utile. I suoi risultati saranno indubbiamente grandi, tanto più che qui si sono toccati non solo i problemi legati al giudizio del manuale stesso, ma anche i problemi più ampi dell’attività filosofica.
Mi permetto di trattare entrambi questi temi. Sono tuttavia lontano dal voler riassumere la discussione: questo, infatti, è compito dell’autore del libro, mentre io intervengo nel dibattito.
Chiedo scusa, anzitutto, se ricorrerò a delle citazioni, benché il compagno Baskin ci abbia raccomandato, in tutti i modi, di non farlo. Per lui, vecchio lupo di mare della filosofia, è certamente facile navigare in questi mari e in questi oceani senza strumenti di navigazione, a occhio, per intuizione, come dicono i marinai. (Ilarità). Ma sia invece permesso a me, mozzo della filosofia, che per la prima volta si azzarda sull’oscillante tolda della nave della filosofia, in un momento di fiera tempesta, mi sia permesso di usare le citazioni, come una bussola, che mi permetta di non deviare dalla giusta rotta. (Ilarità, applausi).
Passo alle osservazioni sul manuale.


I difetti dell’opera del compagno Alexandrov.

Penso che da un manuale di storia della filosofia abbiamo il diritto di esigere l’osservanza delle seguenti condizioni, che, a mio parere, sono essenziali.
Primo. Occorre che nel manuale sia esattamente definito l’oggetto della storia della filosofia in quanto scienza.
Secondo. Il manuale dev’essere scientifico, cioè basato sul fondamento degli attuali risultati del materialismo dialettico e storico.
Terzo. E’ necessario che l’esposizione della storia della filosofia non sia scolastica, ma operante in senso creativo, sia legata direttamente ai problemi dell’epoca attuale, conduca ad una chiarificazione e tracci le prospettive dell’ulteriore sviluppo della filosofia.
Quarto. Il materiale documentario impiegato dall’autore, dev’essere completamente controllato e autentico.
Quinto. Lo stile dell’esposizione dev’essere chiaro, preciso e convincente.
Ritengo che il manuale in questione non soddisfi a queste esigenze.
Consideriamo, prima di tutto, l’oggetto della scienza.
Il compagno Kivenko ha dimostrato che il manuale del compagno Alexandrov non dà un concetto chiaro dell’oggetto della scienza e che, sebbene vi sia un gran numero di definizioni che hanno un significato particolare, non c’è una definizione esauriente e generale, poiché ogni definizione particolare illumina solo singoli lati della questione. Questa osservazione è perfettamente giusta. L’oggetto della storia della filosofia, in quanto scienza, non è definito. La definizione data a p. 14 è incompleta. La definizione data a p. 22, sottolineata dal corsivo, evidentemente perché ritenuta la definizione fondamentale, è sostanzialmente errata. Se, infatti, si consente con l’autore che «la storia della filosofia è la storia dello sviluppo graduale e ascendente delle conoscenze dell’uomo sul mondo circostante», ciò significa che l’oggetto della storia della filosofia coincide con l’oggetto della storia della scienza in generale e che la filosofia stessa, in tal caso, appare come la scienza delle scienze, il che è stato, da tempo, smentito dal marxismo.
Anche l’affermazione dell’autore, che la storia della filosofia sia anche la storia dell’origine e dello sviluppo di molte idee contemporanee, è erronea e inesatta, giacché la nozione di «contemporaneo» si identifica, in questo caso, con la nozione di «scientifico», il che è assolutamente sbagliato. Nel definire l’oggetto della storia della filosofia, bisogna partire dalle definizioni della scienza filosofica dateci da Marx e da Engels, da Lenin e da Stalin.
«Marx accolse e sviluppò questa parte rivoluzionaria della filosofia di Hegel. Il materialismo dialettico ”non ha più bisogno di nessuna filosofia che stia al di sopra delle altre scienze”. Della precedente filosofia rimane ”la dottrina del pensiero e delle sue leggi, cioè la logica formale e la dialettica”. E la dialettica, nella concezione di Marx, e anche in quella di Hegel, contiene in sé quella che oggi chiamiamo teoria della conoscenza o gnoseologia, la quale pure deve considerare il proprio oggetto storicamente, studiando e generalizzando l’origine e lo sviluppo della conoscenza, il passaggio dalla non-conoscenza alla conoscenza»2.
Per conseguenza, la storia scientifica della filosofia è la storia della concezione, dell’origine e dello sviluppo della filosofia scientifica materialistica e delle sue leggi. In quanto il materialismo è sorto e si è sviluppato nella lotta contro le correnti idealistiche, la storia della filosofia è anche la storia della lotta del materialismo contro l’idealismo.
Anche per quanto riguarda il carattere scientifico del manuale, dal punto di vista dell’utilizzazione degli attuali risultati del materialismo dialettico e storico, anche a questo proposito si notano nel manuale molti gravi errori.
L’autore presenta la storia della filosofia e il processo di sviluppo delle idee filosofiche e dei sistemi filosofici come un regolare processo evolutivo, che si sviluppa attraverso l’accumulazione di mutamenti quantitativi. Ne deriva l’impressione che il marxismo sia sorto come un semplice erede dello sviluppo delle precedenti teorie progressive e, in primo luogo, delle dottrine dei materialisti francesi, dell’economia politica inglese e della scuola idealistica di Hegel.
A p. 475, l’autore dice che le teorie filosofiche create prima di Marx e di Engels, sebbene talvolta contenessero delle grandi scoperte, non erano però completamente conseguenti e non erano scientifiche in tutte le loro deduzioni. Tale definizione differenzia il marxismo dai sistemi filosofici premarxisti solo in quanto teoria conseguente e scientifica in tutte le sue deduzioni. Di conseguenza, la differenza fra il marxismo e le dottrine filosofiche premarxiste consisterebbe solo nel fatto che quelle filosofie non erano completamente conseguenti e non erano scientifiche e che le vecchie filosofie non facevano che «sbagliare».
Come vedete, qui si tratta solo di mutamenti quantitativi. Ma questa è metafisica. Il sorgere del marxismo fu una vera e propria scoperta, una rivoluzione in filosofia. Naturalmente, anche quella scoperta, come ogni scoperta, come ogni salto, come ogni soluzione di continuità, come ogni trapasso ad un nuovo stato, non poteva aver luogo senza una preliminare accumulazione di mutamenti quantitativi e cioè, in questo caso, dei risultati dello sviluppo filosofico anteriore alla scoperta di Marx ed Engels. L’autore, evidentemente, non comprende che Marx ed Engels hanno creato una nuova filosofia, qualitativamente diversa da tutti i sistemi filosofici precedenti, anche progressivi. A tutti è noto l’atteggiamento della filosofia marxista verso tutte le filosofie precedenti e il rivolgimento che il marxismo ha portato nella filosofia, trasformandola in scienza. E’ perciò tanto più strano che l’autore concentri la sua attenzione non su ciò che appare nuovo e rivoluzionario nel marxismo, in confronto ai sistemi filosofici precedenti, ma su ciò che lo collega allo sviluppo della filosofia premarxista; mentre gli stessi Marx ed Engels dicevano che la loro scoperta significava la fine della vecchia filosofia.
«Il sistema hegeliano è stato l’ultima, la più perfetta forma della filosofia concepita come scienza particolare, che sia al di sopra di tutte le altre scienze. Insieme ad essa, tutta la filosofia ha subito un crollo. Sono rimasti solo il metodo dialettico del pensiero e la concezione di tutto il mondo naturale, storico ed intellettuale, in quanto mondo in perpetuo movimento, che si trasforma, che si trova in un processo costante di reazione e di dissoluzione. Ormai, non solo alla filosofia, ma a tutte le scienze si pone l’esigenza di scoprire le leggi del movimento di questo eterno processo di trasformazione in ogni singola parte. E in ciò si racchiude l’eredità lasciata dalla filosofia hegeliana ai suoi successori»3.
L’autore, evidentemente, non comprende il processo storico concreto dello sviluppo della filosofia.
Una delle deficienze sostanziali dell’opera, se non la più grave, è l’ignoranza del fatto che nel corso della storia non sono cambiate soltanto le opinioni su questi o quei problemi filosofici, ma è mutato costantemente il complesso stesso dei problemi, l’oggetto stesso della filosofia; il che risponde perfettamente alla natura dialettica della conoscenza umana e deve essere chiaro ad ogni vero dialettico.
A p. 24 della sua opera, esponendo la filosofia degli antichi greci, il compagno Alexandrov scrive: «La filosofia, come campo indipendente della conoscenza, sorse nella società schiavista dell’antica Grecia». E più avanti: «La filosofia, sorta nel VI sec. prima dell’era volgare, come campo particolare della conoscenza, ebbe una larga diffusione».
Ma possiamo noi parlare della filosofia degli antichi greci come di un settore particolare, differenziato della conoscenza? Assolutamente no. Le opinioni filosofiche dei greci erano connesse così strettamente alle loro opinioni di scienza naturale e politica, che noi non dobbiamo e non possiamo trasferire alla scienza greca la nostra suddivisione delle scienze, sorta in seguito, la classificazione che noi ne facciamo. In effetti, i greci conoscevano solo una scienza indifferenziata, nella quale entravano anche le rappresentazioni filosofiche. Prendiamo Democrito, Epicuro, Aristotele: essi confermano, tutti in egual misura, il pensiero di Engels, secondo cui «gli antichi filosofi greci erano nel tempo stesso investigatori della natura»4.
L’originalità dello sviluppo della filosofia consiste nel fatto che da essa, a misura che si sviluppano le conoscenze scientifiche della natura e della società, si andarono staccando, l’una dopo l’altra, le varie scienze positive. Di conseguenza, il campo della filosofia si è andato continuamente restringendo a spese dello sviluppo delle scienze positive (osserverò, a questo proposito, che tale processo non si è concluso tuttora), e questa liberazione delle scienze naturali e sociali dall’egida della filosofia ha rappresentato un processo progressivo, sia per le scienze naturali e sociali, sia per la stessa filosofia.
I creatori dei sistemi filosofici del passato, i quali pretendevano che si potesse conoscere la verità assoluta in una istanza definitiva, non potevano tuttavia favorire lo sviluppo delle scienze naturali, poiché le imprigionavano nei loro schemi, tentavano di mettersi al di sopra della scienza, imponevano alla viva conoscenza umana conclusioni dettate non dalla vita reale ma dalle esigenze di un sistema. In queste condizioni, la filosofia si trasformava in un museo, in cui si trovavano ammassati i fatti, le deduzioni, le ipotesi più eterogenee e anche semplicemente le fantasticherie. Se la filosofia poteva pur servire all’indagine, alla meditazione, essa era inadatta come strumento di intervento pratico sul mondo, come strumento di conoscenza del mondo.
L’ultimo sistema di questo genere fu il sistema di Hegel, il quale si sforzò di erigere un edificio filosofico che raccogliesse sotto di sé tutte le scienze, costringendole nel letto di Procuste delle sue categorie, e, credendo di aver superato tutte le contraddizioni, cadde in una contraddizione senza via di uscita, col metodo dialettico, da lui stesso intuito, ma non compreso e, perciò, male applicato.
Ma «non appena abbiamo scorto… che il compito posto in questo modo alla filosofia non vuol dire altro se non che un singolo filosofo deve realizzare ciò che può essere realizzato soltanto dall’intero genere umano nel suo sviluppo progressivo — ha detto Engels — non appena scorgiamo questo, la filosofia intera, nel senso che finora si è dato a questa parola, è finita. Si lascia correre la ”verità assoluta”, che per questa via e da ogni singolo isolatamente non può essere raggiunta, e si dà la caccia, invece, alle verità relative accessibili per la via delle scienze positive e della sintesi dei loro risultati a mezzo del pensiero dialettico»5.
La scoperta di Marx ed Engels costituisce la fine della vecchia filosofia, cioè la fine di quella filosofia che pretendeva di poter dare una spiegazione universale del mondo.
Le confuse formulazioni dell’autore, ponendo l’accento su ciò che legava Marx ai filosofi precedenti e non mostrando, invece, che con Marx comincia un periodo completamente nuovo della storia della filosofia, che per la prima volta è diventata una scienza, attenuano la grandissima importanza rivoluzionaria della geniale scoperta filosofica di Marx e di Engels.
In stretta connessione con questo errore, nel manuale ci si diffonde in una trattazione non marxista della storia della filosofia, intesa come sostituzione graduale di una scuola filosofica ad un’altra. Con l’apparizione del marxismo, quale concezione scientifica del mondo propria del proletariato, finisce il vecchio periodo della storia della filosofia, il periodo in cui la filosofia era occupazione di singoli, patrimonio di scuole filosofiche composte da un piccolo numero di filosofi e dai loro discepoli, chiusi in se stessi, staccati dalla vita, dal popolo, estranei al popolo.
Il marxismo non è una scuola filosofica di questo genere. Al contrario, è il superamento della vecchia filosofia che era patrimonio di pochi eletti, dell’aristocrazia dello spirito, e segna l’inizio di un periodo completamente nuovo nella storia della filosofia, in cui questa diviene un’arme scientifica nelle mani delle masse proletarie, che lottano per la loro liberazione dal capitalismo.
La filosofia marxista, a differenza dei precedenti sistemi filosofici, non è una scienza sopra le altre scienze, ma costituisce uno strumento d’indagine scientifica, un metodo che penetra tutte le scienze della natura e della società e si arricchisce dei risultati di queste scienze nel corso del loro sviluppo. In questo senso, la filosofia marxista è la più completa e decisa negazione di tutta la filosofia antecedente. Ma negare, come sottolineava Engels, non significa semplicemente dire «no». La negazione racchiude in sé una successione, significa assorbimento, rielaborazione critica, e unione, in una nuova, più elevata sintesi, di tutto ciò che di progressivo e di avanzato è stato già raggiunto nella storia del pensiero umano.
Ne consegue che la storia della filosofia, in quanto esiste il metodo dialettico marxista, deve comprendere in sé la storia della preparazione di questo metodo, dimostrare che cosa ha creato le condizioni del suo sorgere. Nell’opera di Alexandrov manca la storia della logica e della dialettica, non è indicato il processo di sviluppo delle categorie logiche come riflesso della prassi umana; per ciò stesso, l’affermazione di Lenin, citata nell’introduzione del libro che ogni categoria della logica dialettica deve essere considerata come un punto chiave della storia del pensiero umano, resta sospesa in aria.
Del tutto ingiustificato è che, nel manuale, la storia della filosofia venga trattata solo fino al momento dell’apparizione della filosofia marxista, ossia fino al 1848. Un manuale che non tratta della storia della filosofia dell’ultimo secolo, evidentemente non può essere considerato un manuale. La ragione per cui l’autore ha liquidato così spietatamente questo periodo resta oscura e non è spiegata né nella prefazione né nell’introduzione.
Anche l’esclusione, dal manuale, della storia dello sviluppo della filosofia russa non è stata per nulla giustificata. Non c’è bisogno di dimostrare che questa lacuna riveste un carattere di principio. Quali che siano i motivi che hanno determinato l’autore ad escludere la storia della filosofia russa da una storia universale della filosofia, l’averne taciuto rappresenta, oggettivamente, una diminuzione della funzione della filosofia russa e una divisione artificiosa della storia della filosofia in storia della filosofia dell’Europa occidentale e storia della filosofia russa; e inoltre l’autore non fa alcun tentativo per spiegare la necessità di tale divisione. Essa perpetua la divisione borghese della cultura in «occidentale» e «orientale» e considera il marxismo come una corrente della parte occidentale. Inoltre, a p. 6 dell’introduzione, l’autore difende con calore la tesi opposta, insistendo nel dire che «senza aver studiato attentamente e senza aver assimilato la profonda critica dei sistemi filosofici del passato, fatta dai classici della filosofia russa, non ci si può formare una concezione scientifica del processo di sviluppo del pensiero filosofico nei paesi dell’Europa occidentale». Perché l’autore non ha concretato questa giusta tesi nel suo manuale? Tale tesi rimane del tutto incomprensibile, e, insieme all’arbitraria limitazione al 1848 dell’esposizione della storia della filosofia, lascia un’impressione penosa.
I compagni che sono intervenuti hanno giustamente indicato anche delle lacune nell’esposizione della storia della filosofia occidentale.
E’ chiaro che anche per questa ragione il manuale ha bisogno di un radicale rifacimento.
Alcuni compagni hanno sottolineato che l’introduzione del manuale, che evidentemente deve rappresentare il «credo» dell’autore, definisce giustamente i compiti ed i metodi di indagine dell’oggetto, ma che l’autore non ha adempiuto alle sue promesse. Io penso che questa critica sia insufficiente, in quanto l’introduzione stessa è erronea e non regge alla critica. Ho già parlato dell’erronea ed imprecisa definizione dell’oggetto della storia della filosofia. Ma non basta. Nell’introduzione sono anche altri errori teorici. I compagni hanno già detto, qui, che, nell’esposizione dei fondamenti della storia della filosofia marxista-leninista, il richiamo a Cerniscevski, Dobroliubov e Lomonossov, i quali, naturalmente, non hanno una diretta relazione con l’argomento, è molto sforzato. Ma la questione, tuttavia, non sta solo in questo. Le citazioni che l’autore trae dalle opere di questi grandi scienziati e filosofi russi sono evidentemente scelte male: le tesi teoriche in esse contenute sono, da un punto di vista marxista, erronee, e direi anche dannose. Dicendo ciò, non ho la minima intenzione di gettare un’ombra qualsiasi sugli autori di quelle citazioni, giacché queste citazioni sono state scelte arbitrariamente e si riferiscono a motivi che non hanno nulla in comune con quelli supposti dall’autore. In realtà, l’autore cita Cerniscevski per dimostrare che i fondatori dei vari, se pur contrapposti, sistemi filosofici devono avere un atteggiamento conciliante tra di loro.
Permettetemi di riportare la citazione tratta da Cerniscevski: «I continuatori dell’attività scientifica insorgono contro i loro predecessori, le opere dei quali hanno servito da punto di partenza per le loro stesse opere. Così Aristotele è stato ostile verso Platone, così Socrate ha immensamente svalutato i sofisti, di cui è stato il continuatore. Anche nell’epoca moderna vi sono molti esempi del genere. Ma avvengono talvolta dei casi consolanti, in cui i fondatori di un nuovo sistema comprendono chiaramente il legame fra le loro opinioni e le idee espresse dai loro predecessori, e modestamente si dicono loro allievi: dei casi in cui, accorgendosi dell’insufficienza delle concezioni dei loro predecessori, nel contempo, essi dicono chiaramente quanto tali concezioni abbiano contribuito allo svolgimento del proprio pensiero. Tale fu, ad esempio, l’atteggiamento di Spinoza verso Cartesio. Ad onore dei fondatori della scienza contemporanea, si deve riconoscere che essi guardano con venerazione, e quasi con amor filiale, ai loro predecessori, riconoscono completamente la grandezza del loro genio ed il nobile carattere della loro dottrina, in cui additano il germe delle loro proprie concezioni» (pp. 6-7 dell’opera del compagno Alexandrov).
Dato che l’autore fa questa citazione senza riserve, essa evidentemente rappresenta il suo proprio punto di vista. Se è così, l’autore si mette effettivamente sulla strada della rinuncia al principio della partiticità in filosofia, che è proprio del marxismo-leninismo. E’ nota la passione e l’intransigenza con cui il marxismo-leninismo ha sempre condotto e conduce una lotta accanitissima contro tutti i nemici del materialismo. In questa guerra i marxisti-leninisti sottopongono i propri avversari ad una critica demolitrice. Un esempio di lotta bolscevica contro gli avversari del materialismo è l’opera di Lenin Materialismo ed empiriocriticismo, in cui ogni parola di Lenin è una spada che colpisce, che distrugge l’avversario. «La genialità di Marx ed Engels consiste proprio nel fatto — dice Lenin — che nel corso di un periodo assai lungo, di quasi mezzo secolo, essi hanno sviluppato il materialismo, hanno fatto progredire una tendenza fondamentale della filosofia, non si sono fermati a ripetere le questioni gnoseologiche già risolte, ma hanno sviluppato conseguentemente e dimostrato come bisognasse sviluppare quello stesso materialismo nel campo delle scienze sociali, spazzando via inesorabilmente, come rifiuti e assurdità, le filastrocche ampollose e presuntuose, gli innumerevoli tentativi di ”scoprire” una ”nuova” linea in filosofia, di escogitare una ”nuova” corrente, ecc.».
«Prendete infine — scrive poi Lenin — le singole osservazioni filosofiche di Marx nel Capitale e in altre opere. Vedrete un motivo fondamentale immutabile: l’insistenza nel materialismo e una sprezzante ironia per ogni annebbiamento, per ogni confusione, per ogni regresso verso l’idealismo. Secondo il punto di vista della filosofia accademica, tutte le osservazioni filosofiche di Marx si aggirano tra queste due antitesi radicali, e il loro difetto consisterebbe appunto in questa loro ”angustia” e ”unilateralità”»6.
Lenin stesso, come è noto, non risparmia i suoi avversari. Nel tentativo di attenuare e conciliare le contraddizioni tra le varie tendenze filosofiche, Lenin ha visto sempre soltanto una manovra della filosofia accademica reazionaria. Come ha potuto il compagno Alexandrov, dopo tutto questo, presentarsi nel suo manuale come il banditore di un vegetarianismo sdentato nei riguardi degli avversari filosofici, rendendo incondizionato omaggio al pseudoggettivismo accademico, mentre il marxismo è sorto, si è sviluppato e ha vinto in una lotta spietata contro tutti i rappresentanti della corrente idealistica? (Applausi).
Il compagno Alexandrov non si limita a ciò. Egli segue coerentemente la sua concezione oggettivistica in tutto il contenuto del manuale. Non è un caso, perciò, che il compagno Alexandrov, prima di criticare qualsiasi filosofo borghese, renda «omaggio» ai suoi servizi, bruciandogli un po’ di incenso. Prendete, ad esempio, la teoria di Fourier sulle quattro fasi di sviluppo dell’umanità.
Un grande risultato della filosofia sociale di Fourier — dice il compagno Alexandrov — è «la teoria dello sviluppo dell’umanità. Nel corso del suo sviluppo l’umanità, secondo Fourier, attraversa quattro fasi: 1) distruzione ascendente; 2) armonia ascendente; 3) armonia decrescente; 4) distruzione decrescente. Nell’ultimo stadio, l’umanità attraversa un periodo di decrepitezza, dopo il quale cessa ogni vita sulla terra. Dato che lo sviluppo della società si realizza indipendentemente dal desiderio degli uomini, lo stadio superiore di sviluppo subentra altrettanto inevitabilmente che l’avvicendarsi delle stagioni. Da questa tesi Fourier deduceva l’inevitabile sostituzione dell’ordine borghese con una società in cui avrebbe regnato il lavoro libero e collettivo. In verità, la teoria di Fourier sullo sviluppo della società era limitata a quattro fasi, ma per quell’epoca essa rappresentò un gran passo avanti»7.
Qui non c’è neppure una traccia di analisi marxista. In confronto a che cosa la teoria di Fourier rappresentava un gran passo avanti? Se la sua limitatezza consisteva nel fatto che essa parlava di quattro fasi nello sviluppo dell’umanità e la quarta fase rappresentava una distruzione decrescente, dopo cui cessava ogni vita sulla terra, come si spiega ciò che l’autore dice di Fourier, che, cioè, la sua teoria dello sviluppo della società sarebbe limitata a sole quattro fasi, mentre come quinta fase per l’umanità poteva esserci solo la vita d’oltretomba?
Il compagno Alexandrov trova l’occasione per dire una buona parola su quasi tutti i vecchi filosofi. Quanto più un filosofo borghese è rinomato, tanto più lo si incensa. Tutto ciò porta il compagno Alexandrov a trovarsi prigioniero, forse senza neppure sospettarlo, degli storici borghesi della filosofia, i quali partono dal punto di vista che in ogni filosofo c’è innanzi tutto un alleato nella comune professione e solo dopo c’è un avversario. Tali concezioni, qualora si sviluppassero da noi, ci condurrebbero inevitabilmente all’oggettivismo, al servilismo verso i filosofi borghesi e all’esagerazione dei loro meriti; a privare, insomma, la nostra filosofia del suo spirito combattivo e offensivo. E ciò significherebbe una rinunzia al principio fondamentale del materialismo: di essere una tendenza di partito. Eppure Lenin ci ha insegnato che «il materialismo include in sè, per così dire, il carattere di partito, costringendo, in ogni valutazione degli avvenimenti, a mettersi apertamente, dichiaratamente, dal punto di vista di un determinato gruppo sociale»8. L’esposizione delle concezioni filosofiche viene fatta, nel manuale, in modo astratto, oggettivistico, neutrale. Nell’opera, le scuole filosofiche vengono presentate l’una dopo l’altra o l’una a fianco dell’altra, non già in lotta l’una contro l’altra. Anche questo è un «omaggio» reso alla «tendenza» accademica, professionale. Non è un caso, evidentemente, sotto questo rapporto, che all’autore non sia riuscita affatto l’esposizione del principio della partiticità in filosofia. Come esempio di partiticità nella filosofia, l’autore cita la filosofia di Hegel, ed illustra la lotta delle filosofie contrastanti come una lotta del principio reazionario e di quello progressivo, in seno… allo stesso Hegel. Questo procedimento di dimostrazione non è solo un eclettismo oggettivistico, ma tende evidentemente a mettere in migliore luce Hegel, in quanto si vuole dimostrare, con questo mezzo, che nella sua filosofia gli elementi progressivi controbilanciano quelli reazionari. Per finire con questa questione, aggiungerò anche che il sistema raccomandato dal compagno Alexandrov per valutare i vari sistemi filosofici: «oltre ai meriti ci sono anche i difetti» (cfr. p. 7 del suo manuale) oppure «grande importanza ha anche la teoria…», ha il difetto di un’estrema indeterminatezza, è metafisico e capace soltanto di confondere le cose. Resta incomprensibile perché il compagno Alexandrov abbia avuto bisogno di rendere omaggio alle tradizioni della scienza accademica delle vecchie scuole borghesi e di dimenticare il postulato fondamentale del materialismo, che esige l’intransigenza nella lotta contro i propri avversari.
Ancora un’osservazione. Una rassegna critica dei sistemi filosofici deve tendere a un fine. Le opinioni e le idee filosofiche, che sono state già da tempo sconfitte e sepolte, non devono attrarre troppo l’attenzione. Al contrario, i sistemi filosofici e le idee che, nonostante il loro carattere reazionario, hanno corso attuale e vengono sfruttati dai nemici del marxismo, devono essere criticati con particolare acutezza. A questi sistemi appartiene specialmente il neokantismo, la teologia, le vecchie e nuove manifestazioni dell’agnosticismo, i tentativi di introdurre di contrabbando, nelle scienze naturali contemporanee, dio e ogni altro vecchiume, allo scopo di adattare e riverniciare, secondo le esigenze del mercato, la merce idealistica avariata. Questo è l’arsenale che attualmente viene messo in circolazione, dai filosofi lacchè dell’imperialismo, per sostenere il loro padrone spaventato.
L’introduzione contiene anche una trattazione errata della concezione delle idee e dei sistemi filosofici reazionari e progressivi. Sebbene l’autore faccia delle riserve anche sulla teoria, secondo cui il problema del carattere reazionario o progressivo di un’idea o di un sistema filosofico deve essere risolto storicamente e concretamente, egli sembra assolutamente ignorare il noto postulato del marxismo secondo cui la medesima idea, in diverse condizioni storiche concrete, può essere ora reazionaria, ora progressiva. Ignorando questo problema, lo autore apre uno spiraglio alla penetrazione di contrabbando della concezione idealistica della astoricità delle idee.
Più oltre l’autore, osservando giustamente che lo sviluppo del pensiero filosofico viene determinato in ultima analisi dalle condizioni materiali di vita della società e che esso dispone di una indipendenza solo relativa, distrugge tuttavia egli stesso questo postulato fondamentale del materialismo scientifico, separando sempre tale postulato, nell’esposizione dei vari sistemi filosofici, dalla concreta situazione storica e dalle radici sociali e di classe delle varie filosofie. Così stanno le cose, per esempio, circa l’esposizione delle teorie filosofiche di Socrate, Demostene, Spinoza, Leibniz, Feuerbach ed altri. Il che, naturalmente, non è scientifico e dà motivo di supporre che l’autore accetti il punto di vista dell’indipendenza e della astoricità dello sviluppo delle idee filosofiche, fatto che rappresenta il contrassegno distintivo della filosofia idealistica. L’assenza del legame organico tra i vari sistemi filosofici e l’ambiente concreto appare anche laddove l’autore si sforza di dare una analisi di tale ambiente. Ne risulta un legame puramente meccanico, artificiale e non vivo ed organico. Le parti ed i capitoli dell’opera, che espongono le concezioni filosofiche d’una data epoca, nonché le parti ed i capitoli dedicati all’esposizione dell’ambiente storico, si muovono su delle superfici parallele, mentre l’esposizione dei dati storici, dei legami causali fra la base e la soprastruttura, è, di solito, data in modo infelice, disattento, non fornisce una documentazione per l’analisi e spesso offre anche una cattiva informazione. Tale è, per esempio, l’introduzione al capitolo VI, intitolato La Francia del secolo XVIII, che rappresenta il record dell’incomprensibilità e non spiega affatto le fonti delle idee della filosofia francese del secolo XVIII e dell’inizio del XIX. A causa di ciò, le idee dei filosofi francesi perdono il loro legame con la loro epoca e cominciano ad apparire come un fenomeno indipendente. Permettete che citi questo passo del manuale:
«A cominciare dai secoli XVI-XVII, la Francia, seguendo l’Inghilterra, si mette gradualmente sulla via dello sviluppo borghese subendo, in un secolo, cambiamenti radicali nella economia, nella politica e nell’ideologia. Sebbene il paese fosse sempre ancora arretrato, esso tuttavia cominciava a liberarsi dalla sua limitatezza feudale. Come molti altri stati europei di quel tempo, anche la Francia entrò in un periodo di accumulazione capitalistica iniziale.
«In tutti i campi della vita sociale, si andava rapidamente formando il nuovo ordinamento sociale borghese, nasceva una nuova ideologia, una nuova cultura. In quel periodo, incomincia in Francia il rapido sviluppo di città come Parigi e Lione, Marsiglia e Le Havre, si costituisce una forte marina. Si vanno formando, una dopo l’altra, compagnie internazionali di commercio, si organizzano spedizioni militari che conquistano una serie di colonie. Il commercio si sviluppa rapidamente. Nel 1784-88 il giro del commercio estero raggiunge 1.011,6 milioni di sterline, superando di più di quattro volte il commercio del 1716-20. Favorivano lo sviluppo del commercio il trattato di Aquisgrana (1748) e il trattato di Parigi (1763). Particolarmente significativo fu il commercio librario. Così, per esempio, nel 1774 il giro del commercio librario in Francia ammontava a 45 milioni di franchi, mentre in Inghilterra era soltanto di 12-13 milioni di franchi. Nelle mani della Francia si trovava allora circa la metà della riserva aurea di tutta l’Europa. Eppure la Francia restava ancora un paese agricolo. L’immensa maggioranza della sua popolazione si occupava di agricoltura» (pp. 315-316).
Evidentemente, questa non è un’analisi, ma un semplice elenco di fatti, esposti, d’altra parte, non nel loro reciproco legame, ma uno dopo l’altro. S’intende che questi dati sulla «base» non danno, e d’altronde non possono dare, nessuna caratteristica della filosofia francese, il cui sviluppo si trova così ad essere separato dall’ambiente storico della Francia di allora.
Prendiamo ancora, come esempio, la descrizione del sorgere della filosofia idealistica tedesca, così come esso è presentato nel libro di Alexandrov. Egli scrive: «Nel secolo XVIII e durante la prima metà del secolo XIX, la Germania era un paese arretrato, con un ordinamento politico reazionario. Vi dominavano i rapporti di servitù feudale e di corporativismo artigiano. Alla fine del secolo XVIII, la popolazione della città non raggiungeva il 25%, e nell’artigianato era occupato solo il 4% della popolazione totale. La servitù della gleba, i debiti, il diritto feudale, i privilegi di casta impedivano lo sviluppo dei rapporti capitalistici che stavano allora nascendo. Inoltre, nel paese regnava un estremo frazionamento politico».
La percentuale della popolazione delle città in Germania, che il compagno Alexandrov cita nel suo libro, avrebbe dovuto, a suo parere, illustrare l’arretratezza di quel paese e il carattere reazionario del suo ordinamento statale e politico-sociale. Ma in Francia, nella stessa epoca, la popolazione delle città non arriva al 10% e tuttavia la Francia non era un paese feudale arretrato, quale la Germania, bensì il centro del movimento rivoluzionario borghese d’Europa. Per conseguenza, la percentuale della popolazione cittadina per se stessa non spiega ancora nulla, ma dev’essere spiegata dall’ambiente storico concreto. Anche questo è un esempio di un uso inappropriato del materiale storico, per spiegare il sorgere e lo svilupparsi delle varie forme ideologiche.
Più oltre, Alexandrov scrive: «I maggiori ideologi della borghesia tedesca di quel tempo, Kant e poi Fichte e Hegel, nei sistemi idealistici da loro creati, espressero in forma astratta, condizionata dalla stessa limitatezza della realtà tedesca, l’ideologia della borghesia tedesca dell’epoca».
Paragoniamo questa fredda, indifferente e oggettiva esposizione dei fatti, dai quali del resto non è possibile capire le cause del sorgere dell’idealismo tedesco, con l’analisi marxista dell’ambiente di allora in Germania, esposta con uno stile vivo e battagliero che emoziona e persuade il lettore. Ecco come Engels caratterizza la situazione in Germania: «Era una massa putrescente e in decomposizione. Nessuno si sentiva a suo agio. L’artigianato, il commercio, l’industria, l’agricoltura erano ridotti a un livello insignificante. I contadini, i mercanti e gli artigiani subivano un duplice giogo: quello di un governo avido di sangue e quello della pessima situazione commerciale. La nobiltà e i principi ritenevano che i loro redditi, nonostante che essi spremessero tutto dai loro sudditi, non dovessero esser minori delle loro crescenti spese. Tutto era miserabile e nel paese regnava il malcontento generale. Non c’era istruzione, non c’erano mezzi di influire sulla coscienza delle masse, non c’era libertà di stampa, di opinione pubblica, non c’era alcun commercio degno di nota con gli altri paesi: dappertutto solo meschinità ed egoismo; tutto il popolo era pervaso da uno spirito basso, servile, detestabile, mercantile. Tutto imputridiva, vacillava, era pronto a crollare e non si poteva neppure sperare in un cambiamento benefico, perché nel popolo non c’era una forza capace di spazzar via i cadaveri in decomposizione delle istituzioni che avevano fatto il loro tempo»9.
Paragonate questa caratterizzazione di Engels, chiara, acuta, precisa, profondamente scientifica, con la caratterizzazione data da Alexandrov e vedrete come il compagno Alexandrov sfrutti male anche il materiale già elaborato che si trova nell’inesauribile ricchezza lasciataci dai fondatori del marxismo.
L’autore, dunque, non ha assolto il compito di utilizzare il metodo materialistico nell’esporre la storia della filosofia e ciò priva l’opera del carattere scientifico che dovrebbe avere e la trasforma quasi completamente in una illustrazione di biografie dei filosofi e dei loro sistemi, presi astrattamente dallo ambiente storico. E’ stato violato il principio del materialismo storico, il quale insegna che «bisogna indagare nei particolari le condizioni di esistenza delle varie formazioni sociali, prima di cercare di estrarne le corrispondenti concezioni politiche, giuridiche, estetiche, filosofiche, religiose, ecc.»10.
L’autore, inoltre, formula in modo non chiaro e insufficiente gli scopi dello studio della storia della filosofia. In nessun punto egli mette in rilievo che uno dei compiti fondamentali della filosofia e della sua storia è l’ulteriore sviluppo della filosofia in quanto scienza, l’introduzione di nuove leggi, la verifica dei suoi postulati nella pratica, l’abbandono dei postulati superati per dei postulati nuovi. L’autore parte, per lo più, dal significato pedagogico-educativo della storia della filosofia, dal compito di divulgazione culturale, attribuendo così a tutto lo studio della storia della filosofia un carattere passivo, contemplativo e accademico. Questo, certo, non corrisponde affatto alla definizione marxista-leninista della scienza filosofica, la quale, come ogni altra scienza, deve incessantemente svilupparsi, perfezionarsi, arricchirsi di nuovi postulati, rigettando quelli superati.
L’autore, concentrando l’attenzione sul lato divulgativo ed educativo della questione, mette, per ciò stesso, dei limiti allo sviluppo della scienza, come se il marxismo-leninismo avesse già raggiunto il suo vertice e come se il compito di sviluppare la nostra teoria non fosse più il compito principale. Questo ragionamento contraddice lo spirito del marxismo-leninismo, perché comincia a rappresentare il marxismo metafisicamente, come una dottrina compiuta e perfetta, e può portare quindi solo all’inaridimento del pensiero filosofico vivo ed indagatore.
Assai male vanno le cose, in questo manuale, anche per il modo in cui sono illustrati i problemi dello sviluppo delle scienze naturali, mentre è chiaro che non è possibile esporre una storia della filosofia astraendo da ogni legame coi progressi delle scienze naturali, senza pregiudicarne la serietà scientifica. Il manuale del compagno Alexandrov non permette di capire le condizioni del sorgere e dello svilupparsi del materialismo scientifico, il quale nacque sulla base granitica dei risultati delle scienze naturali contemporanee.
Esponendo la storia della filosofia, Alexandrov si è sforzato di separarla dalla storia delle scienze naturali. E’ caratteristico che nell’introduzione, in cui sono esposte le premesse fondamentali dell’opera, l’autore non faccia parola del rapporto reciproco tra filosofia e scienze naturali. Egli tace sulle scienze naturali anche quando sembrerebbe assolutamente impossibile tacerne. Così, a p. 9, l’autore scrive: «Nelle sue opere, e specialmente in Materialismo ed empiriocriticismo, Lenin ha elaborato esaurientemente ad ha portato assai avanti questa dottrina marxista della società». Parlando dell’opera Materialismo ed empiriocriticismo, il compagno Alexandrov ha cercato di tacere dei problemi delle scienze naturali e del loro rapporto con la filosofia.
Balza agli occhi la povertà estrema, la miseria e l’astrattezza con cui viene caratterizzato il livello a cui erano giunte le scienze della natura nei vari periodi. Sulle conoscenze naturali degli antichi greci è detto che al loro tempo avviene «la nascita delle scienze della natura» (p. 26), sul periodo della tarda scolastica (XII-XIII secolo) è stato detto che allora «si ebbero molte scoperte e perfezionamenti tecnici» (p. 120).
Nello stesso punto in cui l’autore si sforza di chiarire quelle formulazioni vaghe, c’è un elenco slegato delle scoperte; inoltre nell’opera ci sono degli errori stridenti, che colpiscono per l’assoluta ignoranza che denotano nelle questioni di scienza naturale. Che cosa vale, per esempio, la descrizione dello sviluppo della scienza nel periodo del Rinascimento: «Lo scienziato Guericke costruì la sua famosa macchina pneumatica; e l’esistenza della pressione atmosferica, che mutò il concetto del vuoto, fu dimostrata empiricamente, dapprima con l’esperienza degli emisferi di Magdeburgo. Per secoli la gente discusse dove si trovasse il ”centro del mondo” e se tale si potesse ritenere il nostro pianeta. Ma ecco nella scienza Copernico e poi Galileo Galilei. Quest’ultimo dimostra l’esistenza delle macchie solari e il loro movimento. Egli vede in questo e nelle altre scoperte la conferma della teoria di Copernico sulla struttura eliocentrica del nostro sistema solare. Il barometro apprese alla gente a predire il tempo. Il microscopio mutò il sistema di congetture sulla vita dei microrganismi ed ebbe una grande importanza nello sviluppo della biologia. La bussola aiutò Colombo a dimostrare praticamente la struttura sferica del nostro pianeta» (p. 135).
Quasi tutte le affermazioni, qui, sono assurde. Come poteva la pressione atmosferica trasformare il concetto di vuoto: forse che l’esistenza dell’atmosfera nega l’esistenza del vuoto? In che modo lo spostamento della macchie solari ha confermato la teoria di Copernico?
Il concetto che il barometro predica il tempo è uno dei concetti meno scientifici. Purtroppo gli uomini non hanno imparato neppur ora a predire esattamente il tempo, cosa che voi tutti sapete bene, per l’esperienza che avete del nostro Ufficio Metereologico. (Ilarità).
Ancora. Forse che il microscopio può trasformare il sistema di congetture, e, infine, che cosa è questa «struttura sferica del nostro pianeta»? Finora sembrava che sferica potesse essere solo la forma.
Di perle analoghe a quelle che ho enumerato, nel libro di Alexandrov ce ne sono molte.
Ma l’autore si lascia sfuggire anche degli errori più sostanziali, di principio. Così, egli ritiene (p. 357) che il metodo dialettico sia stato preparato dai successi delle scienze naturali «fin dalla seconda metà del secolo XVIII». Ciò contraddice radicalmente la nota tesi di Engels, secondo cui il metodo dialettico era stato preparato dalla scoperta della struttura cellulare dell’organismo, dalla teoria della conservazione e della trasformazione della energia, dalla dottrina di Darwin. Tutte queste scoperte sono del secolo XIX. Partendo dalla sua errata concezione, l’autore dedica grande spazio all’enumerazione delle scoperte del secolo XVIII, parla a lungo di Galvani, Laplace, Lyell, ma per quanto riguarda le tre grandi scoperte indicate da Engels, si limita a dire quanto segue: «Così, ad esempio, mentre viveva ancora Feuerbach nacque la teoria della cellula, la teoria della trasformazione dell’energia, sorse la teoria di Darwin sull’origine della specie attraverso la selezione naturale» (p. 427).
Queste sono le deficienze fondamentali dell’opera. Tralascio i difetti sporadici e di secondaria importanza, come non voglio ripetere le osservazioni critiche, assai preziose dal punto di vista teorico e pratico, che già qui sono state fatte da altri.
La conclusione è questa: che il manuale è cattivo, che occorre rifarlo da capo. Ma rifare il manuale, significa, innanzi tutto, superare le concezioni confuse e sbagliate che, evidentemente, hanno corso nell’ambiente dei nostri filosofi ed anche tra i maggiori esponenti. Ed ora passo alla seconda questione, alla questione della situazione sul nostro fronte filosofico.


La situazione sul nostro fronte filosofico.

Se è accaduto che l’opera del compagno Alexandrov ha avuto il riconoscimento della maggior parte dei nostri filosofi più influenti, è stata proposta per il premio Stalin, raccomandata come manuale e fatta oggetto di tante recensioni favorevoli, ciò vuol dire che anche gli altri studiosi di filosofia, evidentemente, condividono gli errori del compagno Alexandrov. E ciò parla chiaro sulla situazione critica che esiste sul nostro fronte teorico.
Il fatto che l’opera non abbia suscitato nessuna protesta degna di nota, che sia occorso l’intervento del Comitato Centrale e personalmente del compagno Stalin, per rivelarne le deficienze, significa che sul fronte della filosofia mancano una critica e un’autocritica bolsceviche ben sviluppate. La mancanza di discussioni costruttive, la mancanza di critica e di autocritica non poteva non riflettersi in modo deleterio sulla situazione dell’attività filosofico-scientifica. E’ noto che la produzione filosofica è assolutamente insufficiente per quantità e debole per qualità. Le monografie e gli articoli di filosofia sono un fenomeno raro.
Qui molti hanno parlato della necessità di una rivista di filosofia. Permane però un certo dubbio sulla necessità di fondare una simile rivista. Non si è ancora cancellata dalla memoria la triste esperienza della rivista Sotto la bandiera del marxismo. Mi sembra che le possibilità attuali di pubblicazione di monografie e di articoli originali siano utilizzate in modo del tutto insufficiente.
Il compagno Svetlov ha detto, qui, che per i lettori del Bolscevik non sono del tutto adatti i lavori teorici su argomenti particolari. Io ritengo che ciò sia completamente sbagliato e derivi da una evidente sottovalutazione dell’alto livello dei nostri lettori e delle loro esigenze. Mi sembra che tali opinioni derivino da incomprensione del fatto che la nostra filosofia non è affatto patrimonio di un piccolo gruppo di filosofi professionisti, ma è patrimonio di tutti i nostri intellettuali sovietici. Decisamente non v’era nulla di male nella tradizione delle grandi riviste russe d’avanguardia, del periodo precedente la rivoluzione, le quali, a fianco di opere letterarie e artistiche, pubblicavano anche lavori scientifici e, fra essi, lavori filosofici. La nostra rivista Bolscevik rappresenta, sotto tutti i riguardi, un pubblico assai più vasto di qualsiasi rivista filosofica e mi pare che restringere il lavoro creativo dei nostri filosofi in una rivista specializzata minaccerebbe di far restringere la base della nostra attività filosofica. Vi prego di non considerarmi contrario ad una rivista, ma mi sembra che la penuria di lavori filosofici nelle nostre maggiori riviste e nel Bolscevik dimostri che bisognerebbe cominciare a superare questa deficienza innanzi tutto attraverso il Bolscevik e le nostre grandi riviste nelle quali, tuttavia, specialmente nelle maggiori, vengono pubblicati, di tanto in tanto, anche adesso, articoli di carattere filosofico, che hanno un grande interesse scientifico e sociale.
Anche gli argomenti proposti dal nostro più importante istituto filosofico, l’Istituto di filosofia dell’Accademia delle Scienze, e dalle nostre Facoltà, ecc. sono troppo aridi.
L’Istituto di filosofia ci offre, secondo me, un quadro abbastanza sconsolante: non riunisce gli studiosi della periferia, non è collegato con loro, e perciò, in realtà, non è neppure un istituto di tipo unitario. I filosofi di provincia sono abbandonati a se stessi, eppure, come vedete, essi rappresentano una grande forza, purtroppo inutilizzata. Gli argomenti dei lavori filosofici, compresi quelli dei lavori per i concorsi scientifici, sono rivolti al passato, a temi storici già risolti e di minor responsabilità, come, ad esempio, L’eresia di Copernico nel passato e nel presente. (Animazione nella sala). Ciò porta alla nota rinascita della scolastica. Da questo punto di vista, la discussione su Hegel che si è avuta qui, è strana. I partecipanti a questa discussione sfondano delle porte aperte. La questione di Hegel è già da tempo risolta. Non c’è nessuna ragione di porla nuovamente, né sono stati portati qui dei nuovi materiali, oltre a quelli già sceverati e valutati. La discussione stessa è spiacevolmente scolastica e tanto poco produttiva, quanto lo è stata a suo tempo, in certi ambienti, la questione se avesse ragione la setta dei vecchi credenti o la chiesa ortodossa11, o la questione se dio potesse creare una pietra che non fosse poi capace di sollevare o se la madonna fosse vergine. (Ilarità). I problemi attuali del nostro tempo non vengono quasi neppur elaborati. Tutto ciò, preso insieme, è gravido di grandi pericoli, assai maggiori di quello che vi immaginate. La maggior minaccia sta nel fatto che una certa parte di voi s’è già assuefatta a queste deficienze.
Nell’attività filosofica non si sente né uno spirito combattivo, né un ritmo bolscevico. In questa luce, certe tesi errate del manuale riecheggiano dei fatti di arretratezza su tutto il resto del fronte della filosofia, che rappresentano, così, non un fatto singolo, casuale, ma un vero e proprio fenomeno. Qui si adopera spesso l’espressione «fronte della filosofia». Ma, a dire il vero, dov’è questo fronte? Il fronte della filosofia non assomiglia affatto alla nostra concezione di un fronte. Quando si parla di fronte della filosofia, sorge subito l’immagine di una schiera organica di filosofi militanti, armati a perfezione della teoria marxista, i quali conducano una vasta offensiva contro le ideologie straniere avversarie e contro i residui dell’ideologia borghese nella coscienza del popolo sovietico all’interno del nostro paese, che facciano progredire instancabilmente la nostra scienza, armino i lavoratori della società socialista con la coscienza della legittimità del nostro cammino e con la convinzione, scientificamente fondata, della vittoria finale della nostra causa.
Ma il nostro fronte filosofico somiglia forse a un vero fronte? Esso ricorda piuttosto un placido golfo o un bivacco lontano dal campo di battaglia. Il campo di battaglia non è stato ancora occupato, non c’è ancora stata quasi affatto una presa di contatto col nemico, non si effettua la ricognizione, le armi arrugginiscono, i combattenti lottano a proprio rischio e pericolo e i comandanti o si inebriano delle passate vittorie o discutono se bastino o meno le forze per l’offensiva, se non si debba chiedere aiuto all’esterno o quanto la coscienza possa essere in ritardo sull’esistenza per non sembrare troppo indietro. (Ilarità).
Nel tempo stesso, però, il nostro partito ha estremo bisogno d’una ascesa dell’attività filosofica. I rapidi mutamenti che ogni giorno arreca alla nostra esistenza socialista non vengono generalizzati dai nostri filosofi, non vengono illuminati dal punto di vista della dialettica marxista. In tal modo, si rendono più difficili le condizioni per un ulteriore sviluppo della nostra scienza filosofica e la situazione si mette in maniera tale, che lo sviluppo del pensiero filosofico prosegue, in notevole misura, prescindendo dai nostri filosofi professionisti. Ciò è assolutamente inammissibile.
Certo, la causa dell’arretratezza sul fronte della filosofia non è legata a nessuna condizione oggettiva. Le condizioni oggettive sono favorevoli come non mai, il materiale che aspetta un’analisi scientifica e una generalizzazione è infinito. Le cause dell’arretratezza sul fronte filosofico si devono ricercare nel campo soggettivo. Queste cause sono fondamentalmente le stesse che il Comitato Centrale ha scoperto, analizzando l’arretratezza in altri settori del fronte ideologico.
Come ricorderete, le note risoluzioni del Comitato Centrale sui problemi ideologici erano dirette contro l’assenza di contenuto ideologico e l’apoliticità nella letteratura e nell’arte, contro il distacco dagli argomenti attuali e il ritorno al passato, contro la tendenza verso argomenti stranieri, in favore dello spirito combattivo e di partito nella letteratura e nell’arte. E’ noto che molte schiere di lavoratori del nostro fronte ideologico hanno già tratto le necessarie deduzioni dalle risoluzioni del Comitato Centrale e su questa strada hanno raggiunto notevoli successi.
I nostri filosofi, invece, questa volta sono rimasti indietro. A quanto pare, essi non notano i fenomeni di mancanza di contenuto ideologico e di apoliticità che hanno luogo nell’attività filosofica, i fenomeni di trascuranza di argomenti attuali, i fenomeni di servilismo, di remissività nei confronti della filosofia borghese. A quanto pare, essi ritengono che la svolta sul fronte ideologico non li riguardi. Ma adesso è chiaro a tutti che questa svolta è necessaria.
Se il fronte filosofico non procede tra le prime file dell’attività ideologica, una notevole parte di colpa ricade anche sul compagno Alexandrov. Purtroppo, egli non possiede la capacità di scoprire con acutezza critica le insufficienze del lavoro. Egli sopravvaluta, evidentemente, le sue forze, poiché non si appoggia all’esperienza e alle conoscenze del largo complesso dei nostri filosofi. Inoltre, egli si appoggia troppo, nel suo lavoro, alla ristretta cerchia dei suoi collaboratori più immediati e degli ammiratori del suo talento. (Esclamazioni: «Giusto!». Applausi). L’attività filosofica si è trovata, così, come monopolizzata nelle mani di un piccolo gruppo di filosofi, mentre la maggior parte di essi, specialmente di quelli di provincia, non sono stati portati a un lavoro direttivo.
Così sono stati violati i giusti rapporti che dovrebbero intercorrere tra i filosofi.
Ora, è evidente a tutti che la preparazione di opere come il manuale di storia della filosofia non è lavoro che possa venir fatto da una sola persona e che il compagno Alexandrov avrebbe dovuto, fin dal principio, attrarre un’ampia cerchia di collaboratori: specialisti del materialismo dialettico e del materialismo storico, storici, studiosi di scienze naturali, economisti. Il compagno Alexandrov ha scelto invece una strada sbagliata per compilare il suo manuale, perché non s’è appoggiato a un’ampia cerchia di competenti. E’ necessario correggere questo errore. Da noi, le conoscenze filosofiche sono patrimonio del largo complesso dei filosofi sovietici. Il metodo di attrarre una ampia cerchia di autori nella compilazione di manuali viene ora applicato integralmente nella redazione del manuale di economia politica, che dovrà esser pronto al più presto e alla cui redazione sono stati chiamati a lavorare larghi ambienti non solo di economisti, ma anche di storici e di filosofi. Questo modo di comporre le opere è il più sicuro. Esso è dettato anche da un altro motivo, dall’idea di riunire gli sforzi delle varie schiere di lavoratori ideologici, che oggi sono insufficientemente legati tra loro, per la soluzione dei grandi compiti che hanno un’importanza scientifica generale, allo scopo di organizzare, così, una collaborazione reciproca fra i lavoratori dei vari campi dell’ideologia, di farli avanzare non separatamente, chi in un senso e chi in un altro, e quindi inefficacemente, ma in modo organizzato, compatto, coerente, con la massima garanzia di successo.
Tuttavia, in che cosa consistono le radici degli errori soggettivi d’una serie di dirigenti del fronte filosofico? Perché qui, in questa discussione, i rappresentanti dei filosofi della vecchia generazione hanno rivolto un giusto rimprovero a certi giovani, a causa del loro prematuro invecchiamento, a causa dell’insufficienza, in loro, di tono combattivo, di spirito combattivo? Evidentemente la risposta a questa domanda non può essere che una: l’insufficiente approfondimento dei fondamenti del marxismo-leninismo e la presenza di residui dell’influsso dell’ideologia borghese. Ciò si manifesta anche nel fatto che molti nostri studiosi non capiscono ancora che il marxismo-leninismo è una dottrina viva e creativa, che si sviluppa ininterrottamente, che ininterrottamente si arricchisce, sulla base dell’esperienza dell’edificazione socialista e dei successi della scienza naturale contemporanea. Una simile sottovalutazione di questo lato vivo e rivoluzionario della nostra dottrina non può non portare ad un abbassamento della filosofia e della sua funzione. Proprio nell’insufficienza di combattività e di spirito di lotta si deve ricercare la causa della paura, che hanno certi nostri filosofi, di provare le loro forze nei problemi nuovi, nei problemi della nostra epoca, nella soluzione dei compiti che la pratica pone quotidianamente e ai quali i filosofi hanno il dovere di rispondere. E’ giunto il momento di far progredire più audacemente la teoria della società sovietica, la teoria dello stato sovietico, la teoria delle scienze naturali contemporanee, l’etica e l’estetica. Bisogna finirla con la vigliaccheria, che non è una cosa bolscevica. Tollerare una stasi nello sviluppo della teoria significherebbe inaridire la nostra filosofia, privarla della sua caratteristica più preziosa, della sua capacità di sviluppo, trasformarla in un dogma arido e morto.
La questione della critica e dell’autocritica bolsceviche è, per i nostri filosofi, una questione non solo pratica ma anche profondamente teorica.
Se il contenuto profondo del processo di sviluppo, come ci insegna la dialettica, è dato dalla lotta dei contrari, dalla lotta tra il vecchio ed il nuovo, tra ciò che agonizza e ciò che nasce, tra ciò che ha fatto il suo tempo e ciò che sta ora sviluppandosi, la nostra filosofia sovietica deve mostrare come agisce questa legge della dialettica nelle condizioni della società socialista e in che cosa consista l’originalità della sua applicazione. Sappiamo che in una società divisa in classi, questa legge agisce in modo diverso che nella nostra società sovietica. Ecco in che cosa consiste il vastissimo campo aperto all’indagine scientifica, un campo che nessuno dei nostri filosofi ha toccato. E, d’altra parte, il nostro partito, ha già trovato da tempo e messo al servizio del socialismo quella particolare forma di scoperta e di superamento delle contraddizioni della società socialista (perché queste contraddizioni esistono ed i filosofi non vogliono scriverne solo per viltà), quella particolare forma di lotta fra il vecchio e il nuovo, fra ciò che agonizza e ciò che nasce nella nostra società sovietica, che si chiama appunto critica ed autocritica.
Nella nostra società sovietica, in cui sono state liquidate le classi antagonistiche, la lotta fra il vecchio e il nuovo e, per conseguenza, lo sviluppo dal basso in alto, non avviene in forma di lotta fra classi antagonistiche, di cataclismi, come succede in regime capitalista, bensì nella forma della critica e autocritica, che sono l’autentica forza motrice del nostro sviluppo, un potente strumento nelle mani del partito. Questo è, indiscutibilmente, un nuovo tipo di movimento, un nuovo tipo di sviluppo, una nuova legge dialettica.
Marx disse che i filosofi di un tempo non facevano che spiegare il mondo, mentre oggi il problema sta nel cambiarlo. Noi abbiamo cambiato il vecchio mondo e ne abbiamo edificato uno nuovo; ma i nostri filosofi, purtroppo, spiegano in modo insufficiente questo nuovo mondo e anche in modo insufficiente partecipano al suo mutamento. Abbiamo assistito qui ad alcuni tentativi di spiegare «teoricamente», per così dire, le cause di questa posizione arretrata. Si è detto, ad esempio, che i filosofi si sono fermati troppo su una fase di commento e che, per conseguenza, non sono passati tempestivamente al periodo delle ricerche monografiche. Questa spiegazione, naturalmente, è assai benevola, ma poco convincente. Oggi, certo, il lavoro creativo dei filosofi dev’essere messo al vertice, ma ciò non significa che non si debba svolgere un’attività di commento e più propriamente divulgativa. Anche di questa ha bisogno il nostro popolo.
Bisogna affrettarsi a ricuperare il tempo perduto. I nostri compiti non possono attendere. La luminosa vittoria che il socialismo ha riportato nella grande guerra patria, e che è anche una luminosa vittoria del marxismo, è come un osso nella gola degli imperialisti. Oggi, il centro della lotta contro il marxismo si è trasferito in America e in Inghilterra. Tutte le forze dell’oscurantismo e della reazione sono oggi al servizio della lotta contro il marxismo. Per armare la filosofia borghese, serva della democrazia del dollaro e della bomba atomica, vengono riesumati e riadoperati i più consunti ritrovati dell’oscurantismo e del clericalismo, il Vaticano e la teoria razzista, il nazionalismo sfrenato e la più sorpassata filosofia idealistica, la venale stampa gialla e la corrotta arte borghese. Ma le forze, a quanto pare, non bastano. Sotto la bandiera della lotta «ideologica» contro il marxismo, si reclutano oggi delle riserve sempre più larghe. Vengono arruolati i gangster, i lenoni, le spie, i delinquenti comuni. Voglio fare un esempio recente. Come il giornale Izvestia ha comunicato in questi giorni, la rivista Temps Modernes, diretta dall’esistenzialista Sartre, ha esaltato come una nuova rivelazione l’opera dello scrittore giallo Jean Genet, Il diario di un ladro, che comincia nel seguente modo: «Il tradimento, il furto e l’omosessualità: ecco i miei argomenti fondamentali. Esiste un legame organico tra l’attrazione che provo per il tradimento, le imprese ladresche e le mie avventure amorose». L’autore, evidentemente, sa il fatto suo. Le opere teatrali di questo Jean Genet vengono rappresentate con gran chiasso sulle scene parigine, mentre egli viene insistentemente invitato in America. Questa è l’«ultima parola» della filosofia borghese.
L’esperienza della nostra vittoria sul fascismo ci ha già dimostrato in quale vicolo cieco la filosofia idealistica ha condotto interi popoli. Oggi essa si presenta nella sua nuova natura, sudicia e ripugnante, che dimostra l’abisso, la bassezza e la meschinità in cui è caduta la borghesia. I lenoni e i delinquenti comuni nella filosofia: è questo davvero il limite del crollo e della decomposizione. Tuttavia queste forze sopravvivono ancora, sono ancora capaci di avvelenare la coscienza delle masse.
La scienza borghese contemporanea rifornisce il clero, il fideismo, di nuove argomentazioni che si debbono smascherare, senza pietà. Prendiamo ad esempio la teoria dell’astronomo inglese Eddington sulle costanti fisiche del mondo, la quale conduce direttamente alla mistica pitagorica dei numeri e dalle formule matematiche estrae delle «costanti essenziali» del mondo quale l’apocalittico numero 666, ecc. Senza capire il corso dialettico della conoscenza, il reciproco rapporto tra verità assoluta e verità relativa, molti seguaci di Einstein, trasferendo i risultati dell’indagine delle leggi del movimento dal campo finito, limitato dell’universo a tutto l’universo infinito, discutono della finitezza del mondo, della sua limitatezza nel tempo e nello spazio. L’astronomo Milne ha perfino «calcolato» che il mondo è stato creato due miliardi di anni fa. A questo scienziato inglese si possono forse applicare le parole del suo grande conterraneo, il filosofo Bacone, il quale diceva che gli scienziati trasformano l’impotenza della loro scienza in una calunnia contro la natura.
In ugual misura, taluni attuali fisici atomici della borghesia giungono, nei loro rigurgiti kantiani, a conclusioni sulla «libertà di volere» dell’elettrone, a tentativi di raffigurare la materia solo come una specie di complesso di onde, e ad altre simili diavolerie.
Qui è aperto un campo colossale di attività per i nostri filosofi, i quali debbono analizzare e generalizzare i risultati delle scienze naturali contemporanee, rammentando l’indicazione di Engels, secondo cui il materialismo «ad ogni scoperta che fa epoca nelle scienze naturali deve cambiare la sua forma»12.
A chi, se non a noi, al paese del marxismo vittorioso e ai suoi filosofi, spetta di dirigere la lotta contro la degenerata e ripugnante ideologia borghese? Chi, se non noi, deve inferirle colpi mortali?
Dalle ceneri della guerra sono nati gli stati della nuova democrazia ed il movimento di liberazione nazionale dei popoli coloniali. Il socialismo è all’ordine del giorno nella vita dei popoli. A chi, se non a noi, al paese del socialismo vittorioso e ai suoi filosofi, è dato il compito di aiutare i nostri amici e fratelli stranieri a illuminare la loro lotta per una nuova società con la luce della conoscenza del socialismo scientifico? A chi, se non a noi, è dato il compito di istruirli ed armarli dell’arme ideologica del marxismo?
Nel nostro paese si verifica il potente sviluppo dell’economia e della cultura socialista. L’incessante ascesa della coscienza socialista delle masse pone sempre nuove esigenze alla nostra attività ideologica. Si svolge un’ampia offensiva contro i residui del capitalismo nella coscienza umana. A chi, se non ai nostri filosofi, è dato il compito di dirigere le file di coloro che lavorano sul fronte ideologico, di applicare in misura completa la teoria marxista della conoscenza, generalizzando l’enorme esperienza dell’edificazione socialista e risolvendo i nuovi problemi del socialismo?
Davanti a questi grandi compiti ci si potrebbe chiedere: sono capaci i nostri filosofi di assumersi questi compiti? Sono pronte le armi della filosofia? Non s’è indebolita la forza della filosofia? Sono capaci i nostri quadri scientifici e filosofici di superare con le loro forze interiori le insufficienze del loro sviluppo e di riorganizzare il loro lavoro in modo nuovo? Su questa questione, non ci possono essere divergenze. La discussione filosofica ha dimostrato che queste forze ci sono, che queste forze sono notevoli, che queste forze sono in grado di scoprire i propri errori allo scopo di superarli. Soltanto, bisogna avere più fiducia nelle proprie forze, bisogna sperimentare più spesso queste forze in combattimenti attivi, nell’impostazione e nella soluzione dei problemi attuali più scottanti. Bisogna finirla con il ritmo non combattivo nel lavoro, bisogna scrollarsi di dosso il vecchio Adamo e ricominciare a lavorare come lavoravano Marx, Engels, Lenin, come lavora Stalin. (Applausi).
Compagni, ricorderete certo che Engels, a suo tempo, si rallegrava e rilevava come un grande avvenimento politico di enorme importanza l’uscita d’un opuscolo marxista nella tiratura di due o tremila esemplari. Da questo fatto, che per le proporzioni in cui lavoriamo noi è insignificante, Engels traeva la conclusione che la filosofia marxista aveva messo profonde radici nella classe operaia. E che cosa dire, allora, della penetrazione della filosofia marxista nei larghi strati del nostro popolo? E che cosa avrebbero detto Marx e Engels se avessero saputo che le opere filosofiche si diffondono, da noi, tra il popolo, a decine di milioni di esemplari? Questo è un vero trionfo del marxismo, una prova viva del fatto che la grande dottrina di Marx-Engels-Lenin-Stalin è diventata, da noi, la dottrina di tutto il popolo e che la nostra filosofia deve fiorire su questa base, che non ha uguali nel mondo. Siate degni della nostra epoca, dell’epoca di Lenin-Stalin, dell’epoca del nostro popolo, del popolo vincitore! (Applausi vivissimi, prolungati).

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1 Pronunciato il 24 giugno 1947 e pubblicato nella rivista Voprosi filosofii, n. 1, 1947, e poi nel Bolscevik, n. 16, 30 agosto dello stesso anno.
2 Cfr. Lenin, Carlo Marx, Edizioni Rinascita, Roma, 1947, p. 17.
3 Cfr. F. Engels, Anti-Dühring, Literaturvertrieb, Zurigo, 1941, pp. 30-31.
4 Cfr. F. Engels: Dialektik der Natur, in Marx-Engels Gesamtausgabe, vol. a parte, p. 667.
5 Cfr. F. Engels, Ludwig Feuerbach, Edizioni in lingue estere, Mosca, 1947, p. 13.
6 Cfr. Lenin, Opere complete, III ediz. russa, Mosca-Leningrado, 1931-1937, vol. XIII, pp. 275-276.
7 Cfr. G. F. Alexandrov, Storia della filosofia dell’Europa occidentale, ediz. in lingua russa, pp. 353-354.
8 Cfr. Lenin, Il contenuto economico del populismo e la sua critica nel libro del signor Struve, (Opere complete, vol. I, p. 276).
9 Da un articolo di Engels scritto alla fine del 1845 per il Northern Star, compreso nel Gesamtausgabe I, 4.
10 Cfr. la lettera di F. Engels a K. Schmidt del 5 agosto 1890.
11 Letteralmente: tra i dvoeperstie e i troeperstie (quelli delle due dita e quelli delle tre dita). Allusione alla controversia che staccò un gruppo di fedeli dalla chiesa ortodossa, per disaccordo sulla questione se si dovesse benedire e fare la croce con due, o con tre dita.
12 Cfr. F. Engels, Ludwig Feuerbach, cit., p. 23.


Edited by Andrej Zdanov - 6/7/2014, 15:16
 
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Fiero Maoista
view post Posted on 4/9/2013, 11:21




Che dire: qui il compagno Zhdanov ha criticato dettagliatamente e più che condivisibilmente quell'opera, così come condivido pienamente i suoi punti di vista sull'arte e la "cultura" borghesi. Una sola curiosità: come si è poi evoluta la storia? Cioè, il Manuale è stato poi riveduto e pubblicato o è poi stato abortito come progetto?
 
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view post Posted on 7/9/2013, 19:18

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Una sola curiosità: come si è poi evoluta la storia? Cioè, il Manuale è stato poi riveduto e pubblicato o è poi stato abortito come progetto?

Dopo la discussione filosofica, G.F. Aleksandrov fece autocritica e fu spostato ad un'altro incarico: perse la carica di capo del Dimpartimento di agitazione e propaganda del CC del PCUS (questa carica, su decisione di Stalin, fu occupata da Suslov) ed ottenne quello di presidente dell'Istituto di filosofia dell’Accademia delle Scienze; nel 1954-55 fu Ministro della cultura dell'URSS.
La sua opera sulla storia della filosofia, originariamente progettata per essere continuata con ulteriori volumi, fu interrotta. Tuttavia, furono realizzate altre opere filosofiche degne di nota, come il Piccolo dizionario filosofico di Judin e Rosenthal. Nel manuale di Sceptulin, come forse avrai già avuto modo di notare, le parti dedicate alla storia della filosofia sono scritte nella maniera suggerita da Zdanov.
 
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2 replies since 19/6/2012, 10:26   778 views
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