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SULLE RIVISTE ZVIEZDA’ E LENINGRAD, ANDREI ZDANOV

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view post Posted on 19/6/2012, 10:23

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Da Andrei Zdanov, Politica e ideologia, Edizioni Rinascita, Roma, 1949, SUL FRONTE IDEOLOGICO E CULTURALE, Rapporto sulle riviste Zviezdà e Leningrad, pp. 57-84:


RAPPORTO SULLE RIVISTE ZVIEZDA’ E LENINGRAD1

Compagni!
Dalla risoluzione del Comitato Centrale appare chiaro che l’errore più grossolano della rivista Zviezdà è quello d’aver messo le sue pagine a disposizione della «creazione» letteraria di Zostcenko e della Akhmatova. Ritengo di non aver bisogno di citare qui «l’opera» di Zostcenko, Le avventure di una scimmia. Certamente, voi tutti l’avete letta e la conoscete meglio di me. Il significato di quest’«opera» di Zostcenko sta nel fatto che egli raffigura i cittadini sovietici come dei fannulloni e dei degenerati, della gente sciocca e primitiva. A Zostcenko non interessa affatto il lavoro del popolo sovietico, non interessano i suoi sforzi e il suo eroismo, le sue elevate qualità sociali e morali. Nelle sue opere questo argomento è sempre mancato. Zostcenko, proprio come un volgare piccolo borghese, ha scelto come suo tema permanente la ricerca dei lati più bassi ed insignificanti dell’esistenza. E questo frugare nella mediocrità dell’esistenza non è casuale. Esso è caratteristico di tutti gli scrittori piccolo-borghesi più scadenti, quale è anche Zostcenko. A suo tempo, Gorki l’aveva detto molte volte. Vi ricordate come, nel 1934, al congresso degli scrittori sovietici, Gorki bollasse i cosiddetti «letterati» che non vedono più in là della fuliggine della cucina e del bagno.
Le avventure di una scimmia non sono per Zostcenko qualche cosa che esula dai limiti dei suoi scritti consueti. Questa «opera» ha richiamato l’attenzione della critica soltanto come l’espressione più evidente di quanto vi è di negativo nella «creazione» letteraria di Zostcenko. E’ noto che, dal momento del suo ritorno a Leningrado dopo lo sfollamento, Zostcenko ha scritto una serie di opere che denunciano la sua incapacità a trovare nella vita del popolo sovietico una sola manifestazione positiva, un solo elemento positivo. Come in Le avventure di una scimmia, Zostcenko è solito mettere in ridicolo il modo di vivere sovietico, le istituzioni sovietiche, il popolo sovietico, nascondendo questa beffa sotto la maschera di un’arguzia vuota, di uno sterile umorismo.
Se rileggete più attentamente il racconto Le avventure di una scimmia e ci riflettete, vedrete che Zostcenko investe la scimmia della funzione di giudice supremo dei nostri ordinamenti sociali e la costringe a fare una specie di morale al popolo sovietico. La scimmia è rappresentata come un principio razionale a cui è dato di pronunciare giudizi sulla condotta degli uomini. A Zostcenko è stato necessario figurare la vita del popolo sovietico in maniera intenzionalmente deformata, caricaturale e volgare, per poter mettere sulle labbra della scimmia la maligna, velenosa sentenza antisovietica, secondo cui nel giardino zoologico si vivrebbe meglio che in libertà, e in gabbia si respirerebbe più liberamente che in mezzo al popolo sovietico.
Si può cadere a un grado più basso di degenerazione morale e politica? E come possono i cittadini di Leningrado tollerare sulle pagine delle loro riviste una simile volgarità e bassezza?
Se dalla rivista Zviezdà vengono offerte ai lettori sovietici «opere» di questo genere, come deve essere debole la vigilanza di coloro che dirigono la rivista Zviezdà perché in essa possano comparire delle opere corrotte dal veleno d’un’ostilità bestiale verso il sistema sovietico. Soltanto la feccia della letteratura può creare «opere» simili e soltanto persone cieche e apolitiche possono metterle in circolazione.
Dicono che il racconto di Zostcenko abbia fatto il giro dei varietà di Leningrado. Come deve essere indebolita la direzione del lavoro ideologico a Leningrado, perché si possano verificare simili fatti!
Con la sua ripugnante morale, Zostcenko è riuscito dunque a penetrare nelle pagine di una grande rivista di Leningrado ed a sistemarvisi con ogni comodità. Eppure, la rivista Zviezdà è l’organo che dovrebbe educare la nostra gioventù. Ma può assolvere a questo compito una rivista che ospita uno scrittore così volgare e non sovietico come Zostcenko?! Forse che alla redazione di Zviezdà non è nota la fisionomia di Zostcenko?!
Eppure, ancora molto di recente, all’inizio del 1944, il rivoltante racconto di Zostcenko Prima dell’alba, scritto mentre divampava la guerra di liberazione del popolo sovietico contro gli invasori tedeschi, è stato sottoposto ad una severa critica nella rivista Bolscevik. In quel racconto, Zostcenko metteva a nudo la sua volgare e bassa animuccia e lo faceva con piacere, con gusto, con il desiderio di dichiarare a tutti: vedete che razza di mascalzone sono.
E’ difficile trovare nella nostra letteratura qualcosa di più ripugnante della «morale» che Zostcenko va predicando nel racconto Prima dell’alba, dove raffigura gli uomini e se stesso come bestie, immonde e lascive, senza pudore, senza coscienza. Ed egli proponeva ai lettori sovietici questa morale nel periodo in cui il nostro popolo versava il sangue in una guerra terribilmente difficile, in cui la vita dello stato sovietico era attaccata ad un filo, in cui il popolo sovietico faceva sacrifici incalcolabili per raggiungere la vittoria sui tedeschi. Ma Zostcenko, trinceratosi ad Alma-Ata, nel più remoto retroterra, non aiutò allora in nulla il popolo sovietico nella sua lotta contro gli invasori tedeschi. Ben giustamente la rivista Bolscevik sferzò pubblicamente Zostcenko, dichiarandolo un volgare autore di pasquinate, estraneo alla letteratura sovietica. Egli allora se ne infischiò dell’opinione pubblica. E non erano ancora passati due anni, non si era ancora asciugato l’inchiostro con cui era stata scritta quella recensione del Bolscevik, e lo stesso Zostcenko arriva trionfalmente a Leningrado e incomincia a figurare nuovamente sulle pagine dei giornali di Leningrado. Non solo la Zviezdà, ma anche la rivista Leningrad lo accolgono volentieri. Volentieri e con premura mettono a sua disposizione le sale teatrali. Non solo, ma gli danno anche il modo di occupare una posizione dirigente nella sezione di Leningrado dell’Unione degli scrittori e di svolgere una funzione attiva nell’ambiente letterario di Leningrado. Ma in base a che cosa voi date la possibilità a Zostcenko di passeggiare per i giardini ed i parchi della letteratura di Leningrado? Perché i compagni più attivi di Leningrado e l’organizzazione degli scrittori di Leningrado hanno tollerato questi fatti vergognosi?!
La fisionomia sociale e politica e letteraria di Zostcenko, profondamente guasta e corrotta, non s’è formata negli ultimi tempi. Le sue «opere» di oggi non sono affatto un caso. Esse sono semplicemente la continuazione di tutta «l’eredità» letteraria di Zostcenko, che risale circa al 1920.
Chi era Zostcenko in passato? Era uno degli organizzatori del gruppo letterario dei cosiddetti Fratelli Serapioni2. Qual’era la fisionomia sociale politica di Zostcenko nel periodo dell’organizzazione dei Fratelli Serapioni? Permettetemi di citare la rivista Literaturnie Zapiski (n. 3 del 1922), in cui i fondatori di questo gruppo esposero il loro credo. Tra le altre confessioni, si trova «l’atto di fede» di Zostcenko, in un articoletto intitolato: Su me stesso e su altro ancora. Zostcenko, senza vergognarsi di nulla e di nessuno, si spoglia in pubblico ed enuncia, con tutta sincerità, le sue «concezioni» politiche e letterarie. Sentite che cosa diceva allora:
«In generale, fare lo scrittore è molto difficile. Già, c’è l’ideologia… Oggi, ad uno scrittore si chiede l’ideologia… E questa, per me, è una bella seccatura…».
«Ma, ditemi un po’, quale ”precisa ideologia” posso avere io, se non c’è un solo partito che, nel complesso, mi attragga?».
«Dal punto di vista della gente di partito, io sono un uomo senza principi. Sia pure. Io stesso lo dico di me: non sono comunista, non sono socialista-rivoluzionario, non sono monarchico, ma soltanto russo e, per giunta, un russo politicamente amorale»… «Vi do la mia parola d’onore che, ancora oggi, non so, per esempio, chi sia Guckov… In che partito sta Guckov? Il diavolo sa in che partito sia. So che non è un bolscevico, ma se sia un socialista-rivoluzionario o un cadetto, questo non lo so e non lo voglio sapere»; e così via.
Che cosa ne dite, compagni, di una simile «ideologia»? Sono passati venticinque anni da quando Zostcenko ha pubblicato questa sua «confessione». E’ mutato egli da allora? Non sembra. In venticinque anni, non solo non ha imparato nulla, non solo non è affatto cambiato, ma al contrario, continua, con cinica sincerità, a rimanere il banditore dell’assenza di ogni ideologia, della volgarità, un furfante letterato senza principi e senza coscienza. Ciò significa che a Zostcenko, oggi come allora, non garbano i sistemi sovietici. Oggi come allora, egli è estraneo e ostile alla letteratura sovietica. Se Zostcenko, nonostante tutto questo, è quasi diventato, a Leningrado, il corifeo della letteratura, se viene innalzato nel Parnaso di Leningrado, non rimane che stupirsi nel vedere a quale mancanza di principi, indulgenza, indifferenza e ottusità hanno potuto giungere le persone che hanno aperto la strada a Zostcenko e gli hanno cantato inni di gloria.
Permettetemi di porgere ancora un esempio della fisionomia dei cosiddetti Fratelli Serapioni. Nello stesso numero 3 dei Literaturnie Zapiski (1922), un altro serapione, Leone Lunts, tenta di dare in questo modo una base ideologica alla corrente, nociva ed estranea alla letteratura sovietica, rappresentata da quel gruppo.
«Ci siamo uniti nelle giornate della rivoluzione — scrive Lunts — nelle giornate di forte tensione politica. ”Chi non è con noi è contro di noi!”, ci dicevano allora, da destra e da sinistra. ”Con chi siete voi, Fratelli Serapioni, con i comunisti o contro i comunisti, per la rivoluzione o contro la rivoluzione?”.
«Con chi siamo noi, i Fratelli Serapioni? Siamo col solitario Serapione…
«Troppo a lungo ed in modo opprimente la sociologia ha guidato la letteratura russa… Noi non vogliamo l’utilitarismo. Non scriviamo per fare della propaganda. L’arte è una realtà come lo è la vita; e, come la vita, è senza uno scopo e senza un significato; esiste perché non può non esistere».
Questa è la funzione che i Fratelli Serapioni attribuiscono all’arte, privandola d’ogni contenuto ideologico, d’ogni significato sociale, esaltando nell’arte la mancanza di ogni ideologia, proponendo l’arte per l’arte, l’arte senza scopo e senza significato. E’ la predicazione della putrida apoliticità, dello spirito piccolo-borghese e della turpitudine.
Quale conclusione se ne può trarre? Se a Zostcenko non piacciono gli ordinamenti sovietici, che cosa proporremo di fare: di conformarci a Zostcenko? Ma non siamo noi che dobbiamo rinnovarci secondo il gusto altrui. Non siamo noi che dobbiamo rifare la nostra esistenza, il nostro regime secondo il modo di vedere di Zostcenko. Sia lui a rinnovarsi, o, se non vuole farlo, se ne vada dalla letteratura sovietica. Nella letteratura sovietica non può esservi posto per opere putride, vuote, prive di contenuto e volgari. (Applausi fragorosi).
Ecco da che cosa è partito il Comitato Centrale nel prendere la sua decisione a proposito delle riviste Zviezdà e Leningrad.
Passo alla questione della «creazione» letteraria di Anna Akhmatova. Le sue opere, negli ultimi tempi, appaiono sulle riviste di Leningrado nella forma di «rielaborazione ampliata». Ciò è tanto strano e innaturale, come se qualcuno oggi si mettesse a ripubblicare le opere di Merezkovski, Viaceslav Ivanov, Michele Kusmin, Andrea Bieli, Zinaida Hippius, Fiodor Sologub, Zinovieva Annibal, ecc. ecc., cioè di tutti coloro che la nostra letteratura e la nostra opinione pubblica d’avanguardia hanno sempre ritenuto i rappresentanti dell’oscurantismo reazionario e dell’apostasia in politica e in arte.
Gorki disse, a suo tempo, che il decennio tra il 1907 e il 1917 merita di esser definito il decennio più vergognoso e più mediocre della storia degli intellettuali russi; allora, dopo la rivoluzione del 1905, una parte notevole degli intellettuali voltò le spalle alla rivoluzione, scivolò nella palude del misticismo reazionario e della pornografia, proclamò come propria bandiera la mancanza di ogni ideologia, mascherando il proprio tradimento con la «bella» frase: «bruciai tutto ciò che adoravo, adorai tutto ciò che bruciavo». Appunto in questo decennio apparvero opere di rinnegati come Il cavallo pallido di Ropscin, le opere di Vinnicenko e di altri, che disertarono il campo della rivoluzione per il campo della reazione, e che si affrettarono a screditare gli alti ideali per cui lottava la parte migliore, di avanguardia, della società russa. Vennero alla luce i simbolisti, gli immaginisti, i decadenti d’ogni colore, che rinnegavano il popolo e proclamavano la tesi «l’arte per l’arte», che esaltavano l’assenza di ogni ideologia nella letteratura, mascherando la propria corruzione ideologica e morale con la ricerca della bella forma priva di contenuto. Erano accomunati tutti dal terrore selvaggio per la rivoluzione proletaria che avanzava. Basti ricordare che uno dei maggiori «ideologi» di queste correnti letterarie reazionarie era Merezkovski, il quale definì la marcia della rivoluzione proletaria «l’avanzata di Cam»3, e che accolse la Rivoluzione d’Ottobre con un livore bestiale.
Anna Akhmatova è uno dei rappresentanti di questa palude letteraria, reazionaria e senza idee. Essa appartiene al cosiddetto gruppo letterario degli acmeisti, che uscirono, a suo tempo, dalle file dei simbolisti, e fu sempre vessillifera della poesia aristocratica da salotto, vuota, priva di contenuto, assolutamente estranea alla letteratura sovietica. Gli acmeisti rappresentavano la tendenza più individualista dell’arte. Essi predicavano la teoria «dell’arte per l’arte», «della bellezza per la bellezza», non volevano saperne del popolo, dei suoi bisogni, dei suoi interessi, della vita sociale.
Per le sue origini sociali era questa una corrente letteraria aristocratico-borghese, in un periodo in cui l’aristocrazia e la borghesia avevano i giorni contati e in cui i poeti e gli ideologi delle classi dominanti si sforzavano di evadere dalla spiacevole realtà, per levarsi nelle altezze stratosferiche, nelle nebbie del misticismo religioso, nelle meschine esperienze personali e nell’indagine delle loro meschine animucce. Gli acmeisti, come i simbolisti, i decadenti e gli altri rappresentanti dell’ideologia aristocratico-borghese in dissoluzione, predicavano il decadentismo, il pessimismo, la fede in un mondo soprannaturale.
Gli argomenti della Akhmatova sono espressione d’individualismo. Il diapason della sua poesia, una poesia da signorina irritata, che si muove tra il boudoir e l’inginocchiatoio, è straordinariamente basso. Il suo motivo fondamentale è dato dagli accenti erotico-sentimentali, intrecciati di tristezza, angoscia, morte, misticismo, fatalità. Il sentimento della fatalità, sentimento comprensibile per la coscienza sociale di un gruppo agonizzante, i toni oscuri della disperazione che precede la morte, le esperienze mistiche unite all’erotismo, questo è il mondo spirituale dell’Akhmatova, uno dei frammenti del mondo della vecchia cultura aristocratica irrimediabilmente sprofondato nel passato «del buon tempo antico di Caterina». Ora monaca, ora sgualdrina, o, piuttosto, monaca e sgualdrina insieme, in cui la dissolutezza è mista alla preghiera.
Ma io ti giuro sul giardino dell’angelo,
Sull’icona dei miracoli, ti giuro
E sull’odore delle nostre notti di fiamma…

(Akhmatova, Anno Domini)
Questa è l’Akhmatova con la sua piccola, meschina vita personale, con le sue insignificanti esperienze ed il suo erotismo mistico-religioso.
La poesia dell’Akhmatova è assolutamente lontana dal popolo. E’ la poesia dei diecimila privilegiati della vecchia Russia aristocratica, condannati, ai quali non è rimasto altro che sospirare per il «buon tempo antico». I palazzi dei latifondisti dei tempi di Caterina, con i secolari viali di tigli, le fontane, le statue e gli archi di pietra, le serre, le conversazioni amorose e le vetuste insegne sul portone, la Pietroburgo aristocratica, Tsarkoie Selò4, la stazione di Pavlovsk e le altre reliquie della civiltà aristocratica. Ma tutto ciò è sparito in un passato che non ritornerà! I frammenti di questa civiltà ormai lontana, estranea al popolo, che per chissà quale miracolo si sono conservati sino ai nostri tempi, non hanno più altro da fare che chiudersi in se stessi e vivere di chimere. «Tutto è disperso, tradito, venduto»: così scrive l’Akhmatova.
Ossip Mandelstam, uno degli esponenti più in vista di quel gruppetto, poco prima della rivoluzione, così scriveva degli ideali politico-sociali e letterari degli acmeisti: «Gli acmeisti uniscono l’amore per l’organismo e l’organizzazione a un geniale medioevalismo fisiologico…». «Il medioevo, determinando a suo modo il peso specifico dell’uomo, lo sentiva e lo riconosceva in chiunque, del tutto indipendentemente dai suoi meriti…». «Sì, l’Europa ha attraversato il labirinto di una cultura raffinata e precisa, quando l’esistenza astratta, l’esistenza individuale, da nulla abbellita, era stimata come un atto eroico. Di qui l’intimità aristocratica, che legava tutti gli uomini ed era così estranea, per il suo spirito, alla ”uguaglianza e fraternità” della grande rivoluzione…». «Il medioevo ci è caro, perché possedeva in alta misura il senso del limite e delle barriere…». «Un misto generoso di ragionevolezza e di misticismo e la sensazione del mondo come vivente equilibrio ci lega a quell’epoca e ci induce ad attingere energie dalle opere delle letterature romanze del XIII secolo».
In queste enunciazioni di Mandelstam sono esposti i sogni e gli ideali degli acmeisti. «Indietro verso il medioevo»: questo è l’ideale sociale di questo gruppo aristocratico da salotto. Indietro verso la scimmia: fa eco Zostcenko. A proposito, sia gli acmeisti che i Fratelli Serapioni traggono la loro origine da antenati comuni. Il capostipite comune, tanto degli acmeisti che dei Fratelli Serapioni, è stato Hoffmann, uno dei fondatori del decadentismo e del misticismo aristocratico da salotto.
Perché tutto ad un tratto si è avuto bisogno di popolarizzare la poesia dell’Akhmatova? Che relazione ha con noi, col popolo sovietico? Perché occorre mettere una tribuna letteraria a disposizione di tutte queste correnti letterarie decadenti e a noi profondamente estranee?
Dalla storia della letteratura russa, sappiamo che più d’una volta le correnti letterarie reazionarie, a cui appartenevano i simbolisti e gli acmeisti, hanno tentato di muover guerra alle grandi tradizioni rivoluzionarie democratiche della letteratura russa, contro i suoi esponenti d’avanguardia, hanno tentato di privare la letteratura del suo alto significato ideologico e sociale, di trascinarla nella palude della mancanza di contenuto ideologico e della volgarità. Tutte queste correnti «di moda» sono state sommerse nel Lete e respinte nel passato, insieme alle classi di cui esprimevano l’ideologia. Di tutti questi simbolisti, acmeisti, bluse gialle, fanti di quadri, nicevoki5, che cosa è rimasto nella nostra genuina letteratura russa, sovietica? Proprio nulla, sebbene i loro attacchi contro i grandi esponenti della letteratura democratica rivoluzionaria russa — Bielinski, Dobroliubov, Cerniscevski, Herzen, Saltikov-Stcedrin — fossero stati preparati con gran rumore e pretenziosità. Ma con lo stesso fracasso essi si sono sfasciati.
Gli acmeisti proclamavano: «Non apportare modificazione alcuna all’esistenza e non abbandonarsi a criticarla». Perché erano contrari ad introdurre una qualsiasi modificazione nella vita? Perché quel vecchio modo di vivere aristocratico, borghese piaceva loro; mentre invece il popolo rivoluzionario si accingeva a distruggere quella loro vita. Nell’ottobre del 1917, sia le classi dominanti che i loro ideologi e cantori furono gettati tra i rifiuti della storia.
E improvvisamente, nel ventinovesimo anno della rivoluzione socialista, ecco che ricompaiono sulla scena alcune rarità da museo di quel mondo di ombre e incominciano a insegnare alla nostra gioventù come si deve vivere. Davanti alla Akhmatova si spalancano le porte di una rivista di Leningrado e la si lascia libera di avvelenare la coscienza della gioventù con la deleteria esalazione della sua poesia.
In un numero della rivista Leningrad è stato pubblicato qualcosa come un estratto delle opere scritte dall’Akhmatova dal 1909 al 1944. E qui, insieme ad altri detriti, c’è una poesia scritta durante la grande guerra patria, nel momento dell’evacuazione. In questa poesia essa scrive della sua solitudine, che è costretta a dividere con un gatto nero. Il gatto nero la guarda come l’occhio del secolo. Il tema non è nuovo. Di un gatto nero l’Akhmatova scrisse anche nel 1909. Le sensazioni di solitudine e di mancanza di una via di uscita, sensazioni estranee alla letteratura sovietica, accompagnano tutto il processo storico della «creazione» dell’Akhmatova.
Che cosa c’è di comune fra questa poesia e gli interessi del nostro popolo e del nostro stato? Proprio nulla. L’opera dell’Akhmatova è l’espressione di un lontano passato; essa è estranea alla realtà sovietica contemporanea e non può venir tollerata sulle pagine delle nostre riviste. La nostra letteratura non è una impresa privata destinata a soddisfare i vari gusti del mercato letterario. Noi non siamo affatto obbligati a far posto, nella nostra letteratura, a gusti e costumi che non hanno nulla in comune con la morale e le qualità del popolo sovietico. Che cosa possono dare di istruttivo alla nostra gioventù le opere dell’Akhmatova? Nulla, se non del male. Queste opere possono soltanto seminare lo sconforto, la demoralizzazione, il pessimismo, l’aspirazione a evadere dai problemi essenziali della vita sociale, ad abbandonare l’ampia via della vita e dell’attività sociale per il ristretto piccolo mondo delle esperienze individuali. Come si può affidar loro l’educazione della nostra gioventù?! Eppure, si sono pubblicate con gran sollecitudine le cose dell’Akhmatova su Zviezdà e su Leningrad e perfino in volume. E’ stato un grosso errore politico.
Non è un caso che, in conseguenza di ciò, sulle riviste di Leningrado abbiano cominciato ad apparire le opere di altri scrittori che stanno scivolando nell’assenza di ogni ideologia e nel decadentismo. Alludo ad opere come quelle di Sadofiev e della Komissarova. In alcuni dei loro versi, Sadofiev e la Komissarova hanno incominciato a riecheggiare l’Akhmatova, a coltivare gli atteggiamenti di sconforto, di tristezza e di solitudine, tanto cari all’anima dell’Akhmatova.
Non occorre dire che simili atteggiamenti o l’apologia di simili atteggiamenti possono esercitare soltanto un influsso negativo sulla nostra gioventù, possono avvelenarne la coscienza con il soffio mefitico della mancanza di un’ideologia, dell’apoliticità, dello sconforto.
E che cosa sarebbe accaduto se avessimo educato la nostra gioventù nello sconforto e nella sfiducia nella nostra causa? Sarebbe avvenuto che non avremmo vinto la grande guerra patria. Noi abbiamo superato le immense difficoltà dell’edificazione del socialismo ed abbiamo ottenuto la vittoria sui tedeschi e sui giapponesi proprio perché lo stato sovietico e il nostro partito, con l’aiuto della letteratura sovietica, hanno educato la nostra gioventù all’operosità, alla fiducia nelle proprie forze.
Che conclusione dobbiamo trarne? Dobbiamo trarne questa conclusione, che la rivista Zviezdà, la quale ha pubblicato sulle sue pagine, a fianco di opere degne, ricche di contenuto ideologico, sane, delle opere prive di ogni ideologia, scadenti, reazionarie, è diventata una rivista senza indirizzo, una rivista che ha aiutato i nemici a corrompere la nostra gioventù. Ma le nostre riviste si sono sempre distinte per il loro coraggioso indirizzo rivoluzionario, non per eclettismo, mancanza di contenuto ideologico e apoliticità. La propaganda in favore della mancanza di ideologia ha avuto, nella Zviezdà, parità di diritti. Non solo, ma si viene ora a sapere che Zostcenko aveva acquistato una tale influenza in seno all’organizzazione degli scrittori di Leningrado, che soffocava quelli che non erano d’accordo con lui, minacciava i critici di prenderli di mira in una delle sue prossime opere. Era diventato una specie di dittatore nel campo della letteratura, e un gruppo di ammiratori lo circondava e lo incensava.
Su quale base, ci si domanda? Perché avete tollerato questo stato di cose innaturale e reazionario?
Non è un caso che nelle riviste letterarie di Leningrado si sia cominciato ad appassionarsi alla scadente letteratura borghese contemporanea dell’Occidente. Alcuni nostri letterati hanno cominciato a considerarsi non come maestri, ma come discepoli dei letterati piccolo-borghesi, hanno cominciato a scendere ad un tono di servilismo e di supina ammirazione davanti alla letteratura straniera piccolo-borghese. Ma si addice a noi, patrioti sovietici, un simile servilismo? A noi, che abbiamo edificato il regime sovietico, che è cento volte superiore e migliore di qualsiasi regime borghese? Si addice alla nostra letteratura sovietica d’avanguardia, che è la letteratura più rivoluzionaria del mondo, il servilismo davanti alla limitata letteratura piccolo-borghese dell’Occidente?
Una grave deficienza del lavoro dei nostri scrittori è anche, da una parte, il distacco dagli argomenti del mondo sovietico contemporaneo, la passione unilaterale per i soggetti storici, e, dall’altra, il tentativo di occuparsi di argomenti vuoti, di carattere esclusivamente ameno. Alcuni scrittori, per giustificare il loro distacco dai grandi argomenti sovietici attuali, affermano che è venuto il momento di dare al popolo della letteratura leggera e divertente e di lasciar da parte le opere che hanno un contenuto ideologico. Questa è una concezione profondamente sbagliata sul conto del nostro popolo, delle sue esigenze, dei suoi interessi. Il nostro popolo attende che gli scrittori sovietici comprendano e generalizzino l’immensa esperienza acquisita dal popolo nella grande guerra patria, che essi rappresentino e facciano conoscere l’eroismo con cui il popolo, attualmente, lavora alla ricostruzione del paese dopo la cacciata dei nemici.
Alcune parole a proposito della rivista Leningrad. In questa, Zostcenko ha preso una posizione ancor più decisa che nella rivista Zviezdà; e così pure l’Akhmatova. Zostcenko e l’Akhmatova sono divenuti una forza letteraria attiva in entrambe le riviste. La rivista Leningrad ha, quindi, la responsabilità di aver messo le sue pagine a disposizione di uno scrittore volgare come Zostcenko e di poetesse da salotto come l’Akhmatova.
Ma la rivista Leningrad ha commesso anche altri errori.
Ecco, per esempio, una parodia dell’Eugenio Onieghin6, scritta da un certo Khasin, col titolo: Il ritorno di Onieghin. Dicono che viene recitata spesso sulle ribalte dei teatri di varietà di Leningrado. Non si capisce come i cittadini di Leningrado tollerino che da una pubblica tribuna si insulti Leningrado, come fa Khasin. Infatti, il senso di tutta questa «parodia» letteraria non consiste nel motteggiare semplicemente le avventure che succederebbero a Onieghin, se si trovasse nella Leningrado odierna. Il senso della pasquinata composta da Khasin consiste nel tentativo, che egli fa, di paragonare la nostra Leningrado moderna con con la Pietroburgo dell’epoca di Pusckin e di dimostrare che la nostra epoca è peggiore dell’epoca di Onieghin. Badate anche solo ad alcune righe di questa «parodia». All’autore non piace nulla di questa nostra Leningrado moderna. Egli deride, calunnia i cittadini sovietici, Leningrado. Secondo Khasin, il secolo di Onieghin sarebbe il secolo d’oro. Oggi non è così: sono comparsi l’ufficio alloggi, le tessere, i permessi. Le fanciulle, quelle creature celesti, eteree per cui un tempo si entusiasmava Onieghin, oggi son diventate dei vigili stradali, ricostruiscono le case di Leningrado, ecc. ecc. Permettetemi di citare solo un passo di questa «parodia».
Sale in tram il nostro Eugenio.
Oh, povero disgraziato!
Non conosceva simili mezzi di trasporto
Il suo secolo oscurantista.
Ma il destino proteggeva Eugenio
Perché non gli pestarono che un piede,
E solo una volta, dopo avergli schiacciato lo stomaco,
Gli gridarono: «Idiota!».
Egli, rammentando le antiche usanze,
Volle terminare la contesa con un duello.
Si frugò in tasca… Ma qualcuno
Già da un pezzo gli aveva soffiato i guanti.
E in mancanza di questi, il nostro Onieghin
Ammutolì e non ne fece nulla.
Ecco com’era Leningrado, e come invece è diventata oggi: cattiva, incivile, rozza; ecco in quale aspetto poco seducente essa appare al povero, caro Onieghin. Ecco come ha rappresentato Leningrado e i suoi abitanti quell’essere volgare che è Khasin.
L’idea di questa calunniosa parodia è cattiva, viziata, putrida!
Come ha potuto, la redazione del Leningrad, lasciar passare questa malvagia calunnia contro Leningrado e la sua magnifica gente? Come si possono tollerare tipi come Khasin sulle pagine delle riviste di Leningrado?
Prendete un’altra opera, la parodia di una parodia su Nekrasov, composta in modo da costituire un’offesa diretta alla memoria di quel grande poeta e uomo politico che fu Nekrasov, un’offesa contro cui ogni persona colta deve rivoltarsi. Tuttavia, la redazione del Leningrad ha ospitato volentieri nelle sue pagine questo sudicio minestrone.
Che cosa troviamo ancora nella rivista Leningrad? Un aneddoto straniero, piatto e volgare, evidentemente preso da una vecchia e consunta raccolta di aneddoti della fine del secolo scorso. Forse la rivista Leningrad non ha materiale per riempire le sue pagine? Forse non si sa che cosa scrivere, nella rivista Leningrad? Pensate anche solo a un argomento come quello della ricostruzione di Leningrado. Nella città si svolge un lavoro stupendo, la città risana le ferite infertele dall’assedio, i cittadini di Leningrado sono pieni di entusiasmo e di commozione per la ricostruzione del dopoguerra. Se ne è scritto qualche cosa sulla rivista Leningrad? Gli abitanti di Leningrado possono, o no, aspettarsi che le eroiche imprese del loro lavoro trovino una buona volta un riflesso sulle pagine della rivista?
Prendiamo ancora l’argomento della donna sovietica. Si possono forse coltivare, fra i lettori e le lettrici sovietiche, le vergognose concezioni dell’Akhmatova sulla funzione e sulla missione della donna, invece di dare una rappresentazione veramente esatta della donna sovietica contemporanea in generale e della fanciulla e della donna eroine di Leningrado in particolare, che hanno sostenuto sulle loro spalle le immense difficoltà degli anni di guerra e oggi lavorano con abnegazione per risolvere i difficili compiti della ricostruzione economica?
Come si vede, nella sezione di Leningrado dell’Unione degli scrittori la situazione è tale che attualmente non c’è un numero di opere degne sufficiente per due riviste letterarie e artistiche. Ecco perché il Comitato Centrale del partito ha deciso di sopprimere la rivista Leningrad, al fine di concentrare le migliori forze letterarie nella rivista Zviezdà. Ciò, naturalmente, non significa che Leningrado, in condizioni opportune, non possa avere una seconda o anche un terza rivista. La questione viene risolta dalla quantità di produzioni buone, di natura elevata. Se ce ne saranno abbastanza e non vi sarà posto per esse in una sola rivista, si potranno creare una seconda, e anche una terza rivista: purché i nostri scrittori di Leningrado forniscano una produzione buona dal punto di vista ideologico e artistico.
Questi sono gli errori e i difetti grossolani, scoperti e messi in rilievo nella risoluzione del Comitato Centrale del P. C. (b) dell’U.R.S.S., a proposito dell’attività delle riviste Zviezdà e Leningrad.
In che cosa consiste la radice di questi errori e di queste deficienze?
La radice di questi errori e di queste deficienze consiste nel fatto che i redattori delle riviste che abbiamo ricordato, gli esponenti della nostra letteratura sovietica e perfino i dirigenti del nostro fronte ideologico a Leningrado hanno dimenticato alcuni postulati fondamentali del leninismo a proposito della letteratura. Molti scrittori e molti di coloro che lavorano in qualità di redattori responsabili o che occupano posti importanti nell’Unione degli scrittori, ritengono che la politica sia affare del governo, affare del Comitato Centrale. Quanto ai letterati, non sarebbe affar loro occuparsi di politica. Se una persona scrive bene, artisticamente, elegantemente, bisognerebbe lasciarla scrivere, anche se nelle sue opere si trovano dei passi corrotti, che disorientano la nostra gioventù e l’avvelenano. Noi esigiamo invece che i nostri compagni, sia i dirigenti letterari, sia gli scrittori, si facciano guidare da quell’elemento senza cui il sistema sovietico non può vivere, e cioè dalla politica, affinché possiamo educare la gioventù non nello spirito dello scetticismo e dell’assenza di ogni ideologia, ma nello spirito del coraggio, nello spirito rivoluzionario.
E’ noto che il leninismo ha continuato le migliori tradizioni dei democratici rivoluzionari russi del secolo XIX e che la nostra cultura sovietica è sorta, si è sviluppata e ha raggiunto il suo livello attuale sulla base dell’eredità culturale del passato, criticamente rielaborata. Nel campo della letteratura, il nostro partito ha più volte riconosciuto, per bocca di Lenin e Stalin, l’immensa importanza dei grandi scrittori e critici russi democratici rivoluzionari come Bielinski, Dobroliubov, Cerniscevski, Saltikov-Stcedrin, Plekhanov. A cominciare da Bielinski, tutti i migliori rappresentanti dell’intellettualità democratico-rivoluzionaria russa non accettarono mai la cosiddetta «arte pura» o «l’arte per l’arte» e furono gli araldi di un’arte per il popolo, gli araldi del profondo significato ideologico e dell’importanza sociale dell’arte popolare. L’arte non si può separare dal destino del popolo. Ricordate la celebre Lettera a Gogol di Bielinski, in cui il grande critico, con tutta la passione che gli era propria, sferzò Gogol per il suo tentativo di tradire la causa del popolo e di passare dalla parte dello zar. Quella lettera fu definita da Lenin una delle migliori opere della stampa democratica non colpita dalla censura, un’opera che conserva ancor oggi la sua immensa importanza letteraria.
Ricordate gli articoli giornalistico-letterari di Dobroliubov, nei quali è stata dimostrata, con tanto vigore, l’importanza sociale della letteratura. Tutta la nostra pubblicistica russa democratico-rivoluzionaria è pervasa da un odio mortale per il regime zarista ed è penetrata dalla generosa aspirazione a lottare per gli interessi fondamentali del popolo, per la sua istruzione, per la sua cultura, per la sua emancipazione dalle pastoie del regime zarista. I grandi esponenti della letteratura russa concepirono la letteratura e l’arte come arte combattiva, che lottasse per i migliori ideali del popolo. Cerniscevski, che, di tutti i socialisti utopisti, fu quello che più si avvicinò al socialismo scientifico e dalle cui opere, come indicò Lenin, «spirava il soffio della lotta di classe», insegnò che il compito dell’arte è, oltre quello di far conoscere la vita, anche quello di insegnare agli uomini a valutare giustamente i vari fenomeni sociali. Dobroliubov, il suo più intimo amico e collaboratore, indicò che «non la vita segue le norme della letteratura, ma la letteratura si conforma alle tendenze della vita», e propagò con tutte le sue forze i principi del realismo e del carattere popolare nella letteratura, ritenendo che la base dell’arte è la realtà, che questa è la fonte della creazione e che l’arte ha una funzione attiva nella vita sociale, formando la coscienza sociale. Secondo Dobroliubov, la letteratura deve servire la società, deve dare al popolo le risposte sui più acuti problemi del presente, deve essere al livello delle idee della sua epoca.
La critica letteraria marxista, essendo la continuatrice delle grandi tradizioni di Bielinski, Cerniscevski e Dobroliubov, è stata sempre sostenitrice di un’arte realistica, indirizzata in senso sociale. Plekhanov lavorò molto per smascherare la concezione antiscientifica della letteratura e dell’arte sostenuta dagli idealisti, per difendere i postulati fondamentali dei nostri grandi rivoluzionari democratici russi, i quali avevano insegnato a vedere nella letteratura uno strumento potente per servire il popolo.
V. I. Lenin formulò per primo, con estrema chiarezza, lo atteggiamento del pensiero sociale d’avanguardia verso la letteratura e l’arte. Vi rammenterò il noto articolo di Lenin: Organizzazione di partito e letteratura di partito, scritto alla fine del 1905, in cui egli, con la forza che gli era propria, dimostrò che la letteratura non può essere senza partito, che essa dev’essere parte integrante e notevole della causa generale del proletariato. In quest’articolo di Lenin sono posti tutti i principi su cui si basa lo sviluppo della nostra letteratura sovietica. Lenin scriveva:
«La letteratura deve diventare di partito. In contrapposizione ai costumi borghesi, in contrapposizione alla stampa borghese affaristica e commerciale, in contrapposizione all’arrivismo letterario e all’individualismo borghesi, all’”anarchismo da signori” e alla corsa al guadagno, il proletariato socialista deve promuovere il principio della letteratura di partito, sviluppare questo principio e attuarlo nella forma più completa e organica possibile.
«In che cosa consiste questo principio della letteratura di partito? Non soltanto nel fatto che per il proletariato socialista l’attività letteraria non può essere strumento di guadagno per singoli individui o per gruppi, ma anche nel fatto che essa non può essere in genere una questione individuale, indipendente dalla causa generale del proletariato. Abbasso i letterati senza partito! Abbasso i letterati superuomini! L’attività letteraria deve diventare una parte dell’attività generale del proletariato…».
E più oltre, nello stesso articolo:
«Vivere nella società ed essere liberi dalla società non è possibile. La libertà dello scrittore, dell’artista, dell’attrice borghese è soltanto una dipendenza mascherata (o ipocritamente mascherata) dai portafogli ben forniti, da coloro che li corrompono e li mantengono».
Il leninismo parte dal fatto che la nostra letteratura non può essere apolitica, non può significare «l’arte per l’arte», ma è chiamata ad assolvere un’importante funzione d’avanguardia nella vita sociale. Da questa premessa deriva il principio leninista del carattere di partito della letteratura, l’importantissimo contributo di V. I. Lenin alla critica letteraria.
Per conseguenza, la migliore tendenza della letteratura sovietica è la continuazione delle migliori tradizioni della letteratura russa del XIX secolo, create dai nostri grandi democratici rivoluzionari: Bielinski, Dobroliubov, Cerniscevski, Saltikov-Stcedrin, continuate da Plekhanov e scientificamente elaborate e sistematizzate da Lenin e Stalin.
Nekrasov definì la propria poesia «la musa della vendetta e della tristezza». Cerniscevski e Dobroliubov consideravano la letteratura come consacrata al servizio del popolo. I migliori rappresentanti degli intellettuali democratici russi, che vissero in regime zarista, pagarono quelle idee generose ed elette con la morte, con la galera, con l’esilio. Come si possono dimenticare queste gloriose tradizioni? Come si possono trascurare e come si può tollerare che i vari Akhmatova e Zostcenko mettano fuori nuovamente la parola d’ordine reazionaria dell’«arte per l’arte» per imporre, nascondendosi sotto la maschera dell’eclettismo ideologico, delle idee estranee al popolo sovietico?
Il leninismo riconosce alla nostra letteratura un’immensa funzione di trasformazione sociale. Se la nostra letteratura sovietica tollerasse un abbassamento di questa sua grande missione educativa, ciò significherebbe un processo di involuzione, il ritorno all’«età della pietra».
Il compagno Stalin ha definito i nostri scrittori: gli ingegneri delle anime umane. Questa definizione ha un profondo significato. Essa esprime l’immensa responsabilità degli scrittori sovietici nell’educazione dei cittadini, nell’educazione della gioventù sovietica, nel non tollerare materiale scadente nel lavoro letterario.
Ad alcuni sembrerà strano che il Comitato Centrale abbia preso delle misure così energiche per una questione letteraria. Ma da noi non la si pensa così. Generalmente si pensa che se vi è stata una deficienza nella produzione o se non è stato assolto il programma di una produzione di beni di largo consumo, o magari il piano per la preparazione del legname, pronunciare una condanna per queste ragioni sia una cosa naturale (risa d’approvazione nella sala), ma se vi è una deficienza nel campo dell’educazione delle anime sovietiche, nel campo dell’educazione della gioventù, in questo caso si possa anche pazientare. Ma non è questa una colpa ancor più grave dell’esser venuti meno al programma della produzione o ad impegni simili? Con la sua decisione, il Comitato Centrale intende portare il fronte ideologico alla pari con tutti gli altri settori del nostro lavoro.
Negli ultimi tempi, grandi lacune e deficienze sono emerse sul fronte ideologico. Basta rammentare l’arretratezza della nostra arte cinematografica, l’inflazione di opere di qualità scadente nel nostro repertorio teatrale, per non parlare di ciò che è avvenuto sulle riviste Zviezdà e Leningrad. Il Comitato Centrale è stato costretto ad intervenire ed a sistemare risolutamente le cose. Esso non aveva il diritto di addolcire i suoi colpi contro chi dimentica i propri doveri verso il popolo, verso l’educazione della gioventù. Se noi vogliamo attirare l’attenzione dei nostri elementi attivi sui problemi del lavoro ideologico, mettere ordine in questo campo e dare al lavoro un chiaro indirizzo, dobbiamo criticare gli errori e le deficienze del lavoro ideologico con energia, come si conviene a dei cittadini sovietici, come si conviene a dei bolscevichi. Soltanto allora potremo correggere lo stato di cose esistente.
Alcuni letterati ragionano così: in tempo di guerra, il popolo non ha avuto opere letterarie a sufficienza, dato che si pubblicava poco e, quindi, adesso, inghiottisce qualsiasi merce, magari anche avariata. Invece, le cose non stanno così, e noi non tolleriamo affatto tutte le opere che ci mettono sotto il naso i letterati, i redattori e gli editori poco scrupolosi. Il popolo sovietico attende dagli scrittori sovietici un vero armamento ideologico, del cibo spirituale che lo aiuti ad assolvere i piani della grande edificazione, della ricostruzione e dell’ulteriore sviluppo dell’economia nazionale. Il popolo sovietico rivolge grandi richieste ai letterati, vuole che siano soddisfatti i suoi bisogni ideologici e culturali. In tempo di guerra, data la situazione, non abbiamo potuto soddisfare questi bisogni essenziali. Il popolo vuol riflettere sugli avvenimenti che accadono. Il suo livello ideologico e culturale è salito. Spesso esso non rimane soddisfatto della qualità delle opere letterarie e artistiche che si producono da noi. Ciò non hanno capito e non vogliono capire certi letterati, certi militanti del fronte ideologico.
Il livello delle esigenze e dei gusti del nostro popolo è salito molto, e chi non vuole o non può raggiungere quel livello sarà lasciato indietro. La letteratura è chiamata non soltanto a stare al livello delle esigenze del popolo, ma a far di più: essa è obbligata a sviluppare i gusti del popolo, a elevare le sue esigenze, ad arricchirlo di nuove idee, a farlo progredire. Chi non è capace di marciare col popolo, di soddisfare le sue crescenti esigenze, di stare al livello del compito di sviluppare la cultura sovietica, sarà inevitabilmente messo da parte.
Dalla deficienza ideologica dei dirigenti di Zviezdà e di Leningrad deriva anche un secondo errore grossolano. Esso consiste nel fatto che alcuni nostri dirigenti hanno messo come cardine dei loro rapporti con i letterati non gli interessi dell’educazione politica dei cittadini sovietici e dell’indirizzo politico dei letterati, ma i loro interessi personali e quelli dei loro amici. Si dice che molte opere dannose ideologicamente e artisticamente deboli vengono stampate per non offendere questo o quello scrittore. Secondo il punto di vista di questi militanti, è preferibile venir meno agli interessi del popolo, agli interessi dello stato, che offendere qualcuno. E’ un’impostazione completamente sbagliata e politicamente erronea. E’ lo stesso che barattare un milione con un centesimo.
Nella sua risoluzione, il Comitato Centrale del partito denuncia il danno gravissimo che deriva dal sostituire, in letteratura, i rapporti di principio con i rapporti d’amicizia. Nell’ambiente di certi nostri letterati, i rapporti d’amicizia senza una base di principio hanno svolto una funzione profondamente negativa, conducendo all’abbassamento del livello ideologico di molte opere letterarie, facilitando l’accesso alla letteratura a gente estranea alla letteratura sovietica. L’assenza di critica da parte dei dirigenti del fronte ideologico di Leningrado, da parte dei dirigenti delle riviste di Leningrado, la sostituzione dei rapporti d’amicizia ai rapporti di principio a scapito degli interessi del popolo, hanno apportato un grandissimo danno.
Il compagno Stalin ci insegna che, se vogliamo conservare i quadri, istruirli ed educarli, non dobbiamo temere di offendere chicchesia, non dobbiamo temere la critica di principio, coraggiosa, aperta e obiettiva. Senza critica, qualsiasi organizzazione, fra cui anche quella della letteratura, può imputridire. Senza critica, qualsiasi malattia può penetrare a fondo e sarà allora tanto più difficile liberarsene. Solo la critica coraggiosa e aperta aiuta il nostro popolo a perfezionarsi; lo spinge ad andare avanti, a superare i difetti del suo lavoro. Dove non c’è critica, mettono radice la decrepitezza e la staticità e non c’è posto per il progresso.
Il compagno Stalin ha indicato più volte che la principale premessa del nostro sviluppo è la necessità che ogni cittadino sovietico faccia ogni giorno il bilancio del suo lavoro, controlli coraggiosamente se stesso, analizzi il suo lavoro, critichi coraggiosamente le proprie deficienze e i propri errori, pensi a come raggiungere migliori risultati nel proprio lavoro e lavori incessantemente a perfezionarsi. Ciò riguarda i letterati nella stessa misura in cui riguarda ogni altro lavoratore. Chi ha paura di criticare il suo lavoro è vile, spregevole, indegno della stima del popolo. (Applausi clamorosi).
L’atteggiamento non critico verso il proprio lavoro, la sostituzione dei rapporti di principio con i rapporti di amicizia nei riguardi dei letterati sono largamente diffusi anche nella direzione dell’Unione degli Scrittori sovietici. La direzione dell’Unione, e in particolare il suo presidente compagno Tikhonov, sono colpevoli dell’insoddisfacente situazione che si è manifestata nelle riviste Zviezdà e Leningrad, sono colpevoli non solo di non aver posto una barriera alla penetrazione della dannosa influenza di Zostcenko, dell’Akhmatova e di altri scrittori non sovietici nella letteratura sovietica, ma anche di aver favorito la penetrazione, nelle nostre riviste, di tendenze e gusti estranei alla letteratura sovietica.
Nelle deficienze delle riviste di Leningrado, ha avuto gran parte anche quel sistema di irresponsabilità, che si è instaurato nella direzione delle riviste che sono nella situazione della redazione delle riviste di Leningrado, in cui non si sa chi risponda della rivista nel suo complesso e chi dei singoli settori, in cui non c’è l’ordine più elementare. E’ necessario ovviare a questa deficienza. Ecco perché il Comitato Centrale, con la sua risoluzione, ha nominato un redattore capo della rivista Zviezdà, il quale deve rispondere dell’indirizzo della rivista, delle alte qualità ideologiche e artistiche delle opere pubblicate sulla rivista stessa.
Nelle riviste, come in ogni cosa, sono inammissibili il disordine e l’anarchia. Occorre una precisa responsabilità circa l’indirizzo della rivista e il contenuto degli articoli che vi vengono pubblicati.
Voi dovete restaurare le gloriose tradizioni della letteratura di Leningrado e del fronte ideologico di Leningrado. E’ amaro e offensivo a un tempo che le riviste di Leningrado, che erano sempre state il vivaio delle idee di avanguardia, della cultura di avanguardia, siano diventate il rifugio dell’assenza di ogni ideologia e della volgarità. Bisogna restaurare l’onore di Leningrado, come centro culturale e ideologico d’avanguardia. Bisogna ricordare che Leningrado è stata la culla delle organizzazioni leniniste bolsceviche. Qui Lenin e Stalin hanno gettato le basi del partito bolscevico, le basi della concezione del mondo bolscevica, della cultura bolscevica.
E’ una questione d’onore per gli scrittori di Leningrado, per gli elementi attivi del partito di Leningrado, restaurare e sviluppare ulteriormente queste gloriose tradizioni di Leningrado. Il compito dei militanti del fronte ideologico a Leningrado, e innanzi tutto degli scrittori, consiste nello scacciare dalla letteratura di Leningrado la mancanza di ideologia e la volgarità, per sollevare in alto la bandiera della letteratura sovietica d’avanguardia, per non perdere nessuna possibilità di sviluppo ideologico e artistico, per non restare indietro rispetto ai problemi contemporanei, per non restare indietro rispetto alle esigenze del popolo, per sviluppare in tutti i modi una critica coraggiosa delle proprie deficienze, una critica non ipocrita, non di gruppo e tra amici, ma una critica vera, coraggiosa e indipendente, una critica rispondente all’ideologia bolscevica.
Compagni, deve esservi chiaro, ora, il grossolano errore che ha commesso il comitato cittadino del partito a Leningrado e specialmente la sua sezione di agitazione e propaganda e il segretario per la propaganda, compagno Scirokov, il quale era stato messo a dirigere il lavoro ideologico e sul quale, soprattutto, ricade la responsabilità dell’insuccesso delle riviste. Il comitato di partito di Leningrado ha commesso un grossolano errore politico, prendendo, alla fine del mese di giugno, la decisione di ricostituire la redazione della rivista Zviezdà, in cui entrò anche Zostcenko. Soltanto la cecità politica può spiegare il fatto che il segretario del comitato cittadino del partito, compagno Kapustin, e il segretario per la propaganda presso il comitato, compagno Scirokov, abbiano potuto adottare una decisione così sbagliata. Ripeto che tutti questi errori devono essere corretti al più presto e nel modo più deciso, allo scopo di restaurare la funzione di Leningrado nella vita ideologica del nostro partito.
Tutti noi amiamo Leningrado, tutti noi amiamo la nostra organizzazione di partito di Leningrado, come uno dei reparti d’avanguardia del nostro partito. A Leningrado non dev’esserci rifugio per i vari avventurieri mascherati della letteratura, che vogliono sfruttare Leningrado per i loro scopi. A Zostcenko, alla Akhmatova e ai loro simili, la Leningrado sovietica non è cara. Essi vogliono vedere in essa l’incarnazione di altri ordinamenti sociali e politici, di un’altra ideologia. La vecchia Pietroburgo, il cavaliere di bronzo, ecco che cosa balena davanti ai loro occhi come simbolo di questa vecchia Pietroburgo. E noi invece amiamo la Leningrado sovietica, la Leningrado centro d’avanguardia della cultura sovietica. La gloriosa schiera delle grandi figure democratiche e rivoluzionarie uscite da Leningrado: ecco i nostri antenati diretti, a cui facciamo risalire le nostre origini. Le gloriose tradizioni della Leningrado contemporanea sono la continuazione dello sviluppo di queste grandi tradizioni democratiche rivoluzionarie, che non cambieremmo per nulla al mondo. Gli elementi attivi di Leningrado analizzino dunque i propri errori coraggiosamente, senza voltarsi indietro, senza «tentennare», per poterli riparare nel modo migliore e al più presto e far progredire il nostro lavoro ideologico. I bolscevichi di Leningrado devono rioccupare il loro posto nelle file dei dirigenti e degli elementi d’avanguardia nell’opera di formazione dell’ideologia sovietica, della coscienza sociale sovietica. (Applausi fragorosi).
Come ha potuto avvenire che il comitato cittadino di partito di Leningrado abbia tollerato una situazione simile, sul fronte ideologico? Evidentemente, esso si è lasciato assorbire dal lavoro pratico quotidiano per la ricostruzione della città, per la ripresa della sua industria, e ha dimenticato l’importanza del lavoro ideologico ed educativo, e questa dimenticanza è costata cara all’organizzazione di Leningrado. Non si deve dimenticare il lavoro ideologico! Le ricchezze spirituali della nostra gente non sono meno importanti di quelle materiali. Non si deve vivere alla cieca, senza pensare al domani, non solo nel campo della produzione materiale, ma anche nel campo di quella ideologica. Il nostro popolo sovietico si è talmente sviluppato, da non «inghiottire» qualsiasi produzione spirituale gli si metta sotto il naso. I militanti della cultura e dell’arte che non si modificheranno e non sapranno soddisfare le accresciute esigenze del popolo, possono perdere rapidamente la fiducia del popolo.
Compagni, la nostra letteratura sovietica vive e deve vivere degli interessi del popolo, degli interessi della patria. La letteratura è cosa cara al popolo. Ecco perché il popolo considera come una sua vittoria ogni vostro successo, ogni opera significativa. Ecco perché ogni opera di valore può essere paragonata a una battaglia vinta o una grande vittoria sul fronte economico. E viceversa, ogni insuccesso nella letteratura sovietica è doloroso e profondamente umiliante per il popolo, per il partito, per lo stato. Proprio di ciò tiene conto la risoluzione del Comitato Centrale, il quale si preoccupa degli interessi del popolo, degli interessi della sua letteratura ed è estremamente preoccupato per la situazione esistente fra gli scrittori di Leningrado.
Se uomini privi di ideologia vogliono privare il gruppo dei letterati sovietici di Leningrado della sua ragione d’essere, vogliono pregiudicare il contenuto ideologico del loro lavoro, togliere all’opera degli scrittori di Leningrado il suo significato di trasformazione sociale, il Comitato Centrale spera, invece, che i letterati di Leningrado troveranno la forza di porre un termine a tutti i tentativi di trascinare la schiera dei letterati di Leningrado e le loro riviste nell’alveo della mancanza d’ideologia, della mancanza di principi, dell’apoliticità. Voi vi trovate in prima linea sul fronte ideologico, davanti a compiti immensi che hanno un’importanza internazionale, e ciò deve elevare il senso di responsabilità di ogni vero letterato sovietico di fronte al proprio popolo, allo stato, al partito, deve aumentare la coscienza dell’importanza del dovere compiuto.
Al mondo borghese non piacciono i nostri successi all’interno del paese e nel campo internazionale. Le posizioni del socialismo, alla fine della seconda guerra mondiale, si sono consolidate. In molti paesi d’Europa la questione del socialismo è all’ordine del giorno. Ciò non piace agli imperialisti di tutte le tinte. Essi hanno paura del socialismo, hanno paura della nostra patria socialista, che è d’esempio a tutta l’umanità progressiva. Gli imperialisti, i servi della loro ideologia, i loro letterati e giornalisti, i loro uomini politici e i loro diplomatici cercano in tutti i modi di calunniare il nostro paese, di metterlo sotto una falsa luce, di calunniare il socialismo. In queste condizioni, il compito della letteratura sovietica non sta soltanto nel rispondere, colpo per colpo, a tutte queste ripugnanti calunnie ed attacchi contro la nostra cultura sovietica, contro il socialismo; ma anche nello sferzare ed attaccare audacemente la cultura borghese, che si trova in uno stato di marasma e di decomposizione.
Quali che siano le belle forme di cui si riveste oggi la produzione dei letterati borghesi di moda, nell’Europa occidentale e in America, e quelle dei registi cinematografici e teatrali, essi non possono comunque salvare e rialzare la loro cultura borghese, poiché la base materiale è putrida e nauseante, poiché questa cultura è posta al servizio della proprietà privata capitalistica, al servizio degli interessi egoistici e cupidi della élite della società borghese. Tutta la schiera dei letterati, dei registi cinematografici e teatrali borghesi si sforza di distrarre l’attenzione degli strati progressivi della società dalle scottanti questioni della lotta sociale e politica e di portare quest’attenzione nell’alveo della letteratura e dell’arte volgari e senza ideologia, piene di gangster, di girls da varietà, di esaltazione dell’adulterio, di prodezze di avventurieri d’ogni genere e di cavalieri d’industria.
Si addice forse a noi, rappresentanti della cultura sovietica progressiva, patrioti sovietici, la parte di chi si inchina alla cultura borghese o la parte di suoi discepoli? Al contrario, la nostra letteratura, che riflette una struttura più elevata di qualsiasi struttura democratico-borghese, una cultura molte volte più alta della cultura borghese, ha il diritto di insegnare agli altri la nuova morale umana universale. Dove trovate un popolo ed un paese come il nostro? Dove trovate qualità umane così stupende come quelle che il nostro popolo sovietico ha rivelate nella grande guerra patria e che ogni giorno rivela nelle opere del lavoro, passando allo sviluppo pacifico e alla ricostruzione dell’economia e della cultura? Ogni giorno che passa porta il nostro popolo sempre più in alto. Oggi non siamo più quelli che eravamo ieri, e domani non saremo più quelli di oggi. Noi non siamo già più i russi di prima del 1917 e la Russia non è più la stessa, il nostro carattere non è più lo stesso. Ci siamo cambiati, ci siamo sviluppati parallelamente a quelle grandi trasformazioni che hanno cambiato alla radice il volto del nostro paese.
Il compito di ogni scrittore sovietico onesto è quello di mostrare queste nuove alte qualità del popolo sovietico, non solo di mostrare il nostro popolo com’è oggi, ma anche di guardare al domani, di aiutare ad illuminare, come un faro, la strada da percorrere. Lo scrittore non deve trascinarsi alla coda degli avvenimenti, deve andare tra le file più avanzate del popolo, mostrando al popolo le vie del suo sviluppo. Orientandosi con il metodo del realismo socialista, studiando coscienziosamente e attentamente la nostra realtà, sforzandosi di penetrare più profondamente l’essenza del processo del nostro sviluppo, lo scrittore deve educare il popolo e armarlo ideologicamente. Scegliendo i migliori sentimenti e le migliori qualità dell’uomo sovietico, rivelandogli il suo domani, nello stesso tempo noi dobbiamo mostrare alla nostra gente come essa non deve essere, noi dobbiamo sferzare i residui del passato, i residui che impediscono al popolo sovietico di progredire. Gli scrittori sovietici devono aiutare il popolo, lo stato, il partito nell’educare la nostra gioventù al coraggio, alla fiducia nelle sue opere, a non temere nessuna difficoltà.
Per quanto gli uomini politici borghesi e i letterati si sforzino di nascondere ai loro popoli la verità sulle conquiste del sistema sovietico e della cultura sovietica, per quanto essi si sforzino di erigere una cortina di ferro, oltre la quale non possa penetrare all’estero la verità sull’Unione Sovietica, per quanto si sforzino di tacere l’ascesa effettiva e l’impulso della civiltà sovietica, tutti questi tentativi sono condannati all’insuccesso. Noi conosciamo assai bene la forza e la superiorità della nostra cultura. Basti ricordare i grandi successi delle nostre delegazioni culturali all’estero, la nostra parata sportiva, ecc. Non noi, quindi, dobbiamo inchinarci di fronte ad ogni cosa straniera, o solo assumere una posizione passiva di difesa.
Se l’ordinamento feudale e poi la borghesia, nel periodo della loro ascesa, poterono creare un’arte e una letteratura che consolidava la struttura della nuova società e ne esaltavano il fiorire, per noi, per il nuovo ordinamento socialista, che costituisce la realizzazione di quanto vi è di meglio nella storia della civiltà e della cultura umane, sarà tanto più agevole creare la letteratura più avanzata del mondo, che lascerà molto indietro i migliori esempi della produzione dei tempi antichi.
Compagni, che cosa chiede e vuole il Comitato Centrale? Il Comitato Centrale del partito vuole che gli elementi attivi di Leningrado e gli scrittori di Leningrado comprendano bene che è venuto il tempo in cui è necessario elevare ad un alto livello il nostro lavoro ideologico. Alla giovane generazione sovietica spetta di consolidare la forza e la potenza dell’ordinamento socialista sovietico, di utilizzare pienamente le forze vive della società sovietica, per far fiorire in modo nuovo, mai visto, il nostro benessere e la nostra cultura. Per assolvere questi grandi compiti, la giovane generazione deve essere educata ad esser forte, alacre, a non temere gli ostacoli che si oppongono a queste iniziative e a saperli superare. La nostra gente dev’essere colta, in possesso di una profonda ideologia, con gusti ed esigenze culturali e morali elevati. Per questo scopo, abbiamo bisogno che la nostra letteratura, le nostre riviste non restino estranee ai compiti del momento attuale, ma aiutino il partito e il popolo a educare la gioventù nello spirito di una illimitata fedeltà nel servire gli interessi del popolo.
Gli scrittori sovietici e tutti i nostri intellettuali sono oggi in prima linea, sulla linea del fuoco; poiché, nelle condizioni di sviluppo pacifico, i compiti del fronte ideologico, e specialmente della letteratura, non diminuiscono, ma, al contrario, aumentano. Il popolo, lo stato, il partito vogliono non che la letteratura si allontani dalla vita attuale, ma che intervenga attivamente in tutti gli aspetti della vita sovietica. I bolscevichi apprezzano altamente la letteratura, vedono chiaramente la sua grande missione storica e la sua funzione di consolidamento dell’unità morale e politica del popolo, di unione ed educazione del popolo. Il Comitato Centrale del partito vuole che da noi ci sia un rifiorire della cultura; perché, nel progresso della cultura, esso vede uno dei compiti principali del socialismo.
Il Comitato Centrale del partito è convinto che il gruppo dei letterati sovietici di Leningrado, moralmente e politicamente sano, correggerà rapidamente i propri errori e riprenderà il posto che gli compete nelle file della letteratura sovietica.
Il Comitato Centrale è convinto che le deficienze del lavoro degli scrittori di Leningrado saranno superate e che il lavoro ideologico dell’organizzazione del partito di Leningrado sarà portato, in brevissimo tempo, all’altezza che oggi è indispensabile, nell’interesse del partito, del popolo, dello stato. (Applausi vivissimi. Tutti si alzano).

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1 Pubblicato nel n. 225 della Pravda, 21 settembre 1946.
2 Il gruppo fu costituito a Pietrogrado, il 1. febbraio 1921, da ventuno scrittori, tra i quali Lunts, Ivanov e Fedin. Il suo nome è quello di un’opera di Hoffman.
3 Cioè l’avanzata dei popoli orientali, che discenderebbero da Cam, figlio di Noè.
4 «Villaggio dello Zar», famoso castello, residenza estiva degli zar nelle vicinanze di Pietroburgo.
5 Letteralmente: «nullisti».
6 L’opera più famosa del poeta russo Alessandro S. Pusckin, scritta tra il 1822 e il 1831.


Edited by Andrej Zdanov - 11/6/2014, 17:13
 
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