Dalla «Pravda», 22 agosto 1968:La difesa del socialismo è il più alto dovere internazionale
Esponenti del partito e dello stato della Repubblica socialista cecoslovacca hanno rivolto all’Unione Sovietica e agli altri stati socialisti richiesta di immediato aiuto, ivi compreso l’aiuto delle forze armate, al popolo fratello della Cecoslovacchia.
Questo appello è stato determinato dalla minaccia insorta per il sistema socialista in Cecoslovacchia e per l’organizzazione statale sancita dalla costituzione da parte delle forze controrivoluzionarie, entrate in combutta con forze esterne ostili al socialismo.
La necessità di adottare la storica decisione di chiedere aiuto all’Unione Sovietica e agli altri paesi socialisti fratelli trova piena motivazione nell’appello del gruppo di membri del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco, del governo e dell’Assemblea nazionale della Cecoslovacchia, che viene pubblicato oggi sulla
Pravda. Questa necessità è stata determinata dal pericolo della lotta fratricida che la reazione preparava in Cecoslovacchia.
In conformità con gli impegni assunti alla conferenza dei partiti comunisti e operai di Bratislava e partendo dai principi dell’inscindibile amicizia e della collaborazione, nonché in conformità con i relativi impegni che scaturiscono dai trattati, i governi dell’URSS e degli altri paesi alleati hanno deciso di accogliere la summenzionata richiesta di indispensabile aiuto al popolo fratello della Cecoslovacchia. I paesi socialisti fratelli eseguono il loro comune dovere internazionale.
I rapporti con la Cecoslovacchia e il suo partito comunista hanno sempre occupato un posto rilevante nella politica del PCUS e del governo sovietico, nelle menti e nei cuori dei comunisti e di tutti i cittadini sovietici. E ciò non per caso. Alle secolari tradizioni della comunanza slava si sono da molto tempo aggiunti i nodi inscindibili della lotta comune per la libertà, per l’indipendenza e per il progresso sociale dei nostri popoli.
I nostri partiti e i nostri popoli hanno lottato con la mano nella mano contro il pericolo dell’asservimento e contro i conquistatori hitleriani. Nella lotta mortale contro il fascismo e per la libertà e l’indipendenza del primo paese del socialismo, per la liberazione degli altri popoli oppressi hanno dato le loro vite più di venti milioni di sovietici. Sul territorio della Cecoslovacchia sono disseminate le tombe di oltre 100 mila soldati sovietici. Insieme con gli eroici patrioti cecoslovacchi, insieme con il glorioso corpo d’armata di Ludvík Svoboda, questi uomini sono periti per la liberazione della Cecoslovacchia dal fascismo hitleriano. Proprio allora, in quei duri anni, furono gettate le salde fondamenta dell’unità e della fratellanza dei nostri popoli.
Dopo la disfatta degli hitleriani il popolo cecoslovacco scelse la strada del socialismo. Ciò rafforzò ulteriormente i nodi d’amicizia con i nostri popoli. Gli anni della marcia comune sulla strada dell’edificazione del socialismo e del comunismo hanno portato la nostra amicizia a un livello più alto.
L’amicizia fraterna e l’alleanza combattiva tra l’URSS e la Cecoslovacchia furono consacrate dal Trattato di amicizia, mutua assistenza e collaborazione postbellica, concluso sin dal 1943 e prorogato nel 1963. Fedeli a questo Trattato, i nostri stati, partiti e popoli si sono impegnati ad aiutarsi vicendevolmente in caso di minaccia alla sicurezza delle nostre frontiere e di minaccia alla causa del socialismo.
In risposta alla creazione del blocco aggressivo della Nato, nel quale era entrata la Germania occidentale revanscista, vari paesi socialisti d’Europa si unirono nel Trattato di Varsavia, divenuto barriera insuperabile per tutti coloro che cercavano di attentare alla pace e alle conquiste socialiste dei nostri popoli.
Per due decenni le relazioni fraterne tra URSS e Cecoslovacchia si sono sviluppate con successo in tutti i campi: nella politica, nell’economia, nella cultura. Nulla ha offuscato la nostra amicizia. I successi del popolo cecoslovacco sono stati i nostri successi e i raggiungimenti dei popoli sovietici sono stati considerati dai lavoratori della Cecoslovacchia alla stregua di loro raggiungimenti.
Nei giorni in cui i sovietici celebravano il cinquantenario del regime sovietico e traevano i risultati della strada percorsa sotto la guida del partito comunista, del partito di Lenin, il Partito comunista cecoslovacco e il popolo cecoslovacco gioivano con noi dei gloriosi risultati della marcia trionfale della rivoluzione d’ottobre.
I nostri popoli sono legati da nodi sinceri e cordiali di fratellanza, rispetto e amore. Le parole “ceco” e “slovacco” sono diventate per ogni sovietico sinonimo dei concetti “amico” e “fratello”. I comunisti dell’URSS e della Cecoslovacchia sono uniti dal senso del dovere dei compagni d’arme, che procedono sotto la stessa bandiera e che hanno scelto per sé la stessa strada nella vita: la strada del comunismo. I comunisti sovietici hanno sempre considerato con profondo rispetto il partito comunista della Cecoslovacchia, lo hanno considerato come un reparto saldo, coraggioso e combattivo del movimento comunista mondiale, incrollabile nella sua fedeltà alle idee del marxismo-leninismo e alla nobile bandiera dell’internazionalismo proletario.
Il nostro partito e il popolo sovietico sono convinti che la classe operaia, i contadini e gli intellettuali onesti della Cecoslovacchia non hanno modificato il loro atteggiamento verso la nostra causa comune: la costruzione di una società nuova; sono convinti che essi sono fedeli ai sentimenti di amicizia per il nostro popolo e sono fedeli alla causa del socialismo in Cecoslovacchia. I 240 milioni di sovietici che edificano la società comunista non hanno modificato il loro atteggiamento verso la Cecoslovacchia e il popolo cecoslovacco. Anche noi siamo fedeli all’amicizia che i nostri partiti hanno cementato nel corso di tutti gli anni postbellici.
I.
Il nostro partito ha accolto con comprensione le decisioni del plenum del gennaio 1968 del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco. Al tempo stesso era evidente già allora che la situazione venutasi a creare poteva portare a un indebolimento del partito dei comunisti cecoslovacchi e alla diffusione di stati d’animo pericolosi per il socialismo in determinati circoli della società cecoslovacca, esposti all’influsso delle concezioni borghesi e della propaganda imperialistica.
Nelle conversazioni dei dirigenti del PCUS con i dirigenti cecoslovacchi, svoltesi nel gennaio a Mosca e nel febbraio a Praga, questi timori furono espressi sinceramente, con spirito di partito. Inoltre fu dichiarato con tutta chiarezza che la scelta delle vie di edificazione del socialismo e la scelta delle forme e dei metodi di direzione partitica sui processi sociali rientra nella piena ed esclusiva competenza del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco; che il nostro partito non aveva e non poteva avere l’intenzione di imporre al Partito comunista cecoslovacco raccomandazioni di nessun genere su questi problemi. Al tempo stesso fu richiamata l’attenzione della direzione del Partito comunista cecoslovacco sull’attività, che già allora si andava attivizzando, degli elementi revisionisti di destra, che tentavano di sfruttare la situazione creatasi nel paese per scopi lontani dagli interessi del socialismo.
In quel periodo i dirigenti del Partito comunista cecoslovacco dichiararono di essere coscienti della tensione della situazione politica nel paese e di voler prendere le necessarie misure per la stabilizzazione della situazione. Ma il tempo passava e il nostro partito si convinceva con crescente preoccupazione che il corso reale degli avvenimenti cominciava a differire sempre di più dalle prognosi che davano i dirigenti cecoslovacchi. Gli avvenimenti hanno dimostrato che nello stesso Partito comunista cecoslovacco cominciava a crearsi una situazione di confusione, di esitazioni e di insicurezza. Nel paese sollevavano la testa le forze reazionarie e antisocialiste, che contavano sull’appoggio dell’imperialismo mondiale.
Tutto ciò preoccupava non soltanto il nostro partito. Come noi, anche i partiti fratelli della Bulgaria, dell’Ungheria, della Rdt e della Polonia erano preoccupati per il corso degli avvenimenti in Cecoslovacchia. Emerse la necessità di un incontro collettivo e di uno scambio di opinioni coi dirigenti del Partito comunista cecoslovacco e della Repubblica socialista cecoslovacca. Tale incontro, per comune accordo, ebbe luogo a Dresda il 23 marzo.
All’incontro di Dresda i compagni cecoslovacchi non negarono che nel paese si sviluppavano dei processi negativi; che la radio, la televisione e la stampa si erano sottratte al controllo del partito e si erano trovate in pratica nelle mani di elementi antisocialisti; che le forze di destra si andavano consolidando. Al tempo stesso i rappresentanti cecoslovacchi dichiararono che in complesso il partito controllava la situazione e che non v’erano motivi per gravi timori.
I rappresentanti sovietici e tutte le delegazioni degli altri partiti fratelli osservarono con piena franchezza che, a loro giudizio, il quadro era diverso. Essi sottolinearono il pericolo concreto che la situazione comportava. Da tutta una somma di fatti essi trassero la conclusione che ci si trovava di fronte a uno sviluppo degli eventi tale da poter condurre a una svolta controrivoluzionaria. La delegazione del PCUS, nonché le delegazioni del PCB, PSOU, del POUP e della SED dichiararono che appoggiavano la direzione del Partito comunista cecoslovacco, appoggiavano il contenuto positivo delle decisioni del plenum di gennaio e che tutta la loro posizione era intesa ad aiutare i compagni cecoslovacchi a reagire agli impudenti elementi antisocialisti e a rafforzare le posizioni del socialismo in Cecoslovacchia.
Il successivo corso degli eventi ha confermato le conclusioni dei partiti fratelli e, purtroppo, non ha avallato l’ottimismo dei dirigenti del Partito comunista cecoslovacco. Il plenum di marzo-aprile del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco non è riuscito a stabilizzare la situazione. Per di più, il programma d’azione del Comitato centrale approvato da tale plenum ha cominciato a essere sfruttato, come hanno dimostrato i fatti, dalle forze di destra, come una sorta di piattaforma legale per ulteriori attacchi contro il partito comunista, contro le basi del socialismo e contro l’amicizia dei popoli cecoslovacco e sovietico.
L’ansia crebbe ulteriormente quando, sotto l’influsso evidente delle forze di destra e antisocialiste, cominciò a svilupparsi nel paese una campagna tendente a infangare tutta la passata attività del Partito comunista cecoslovacco, quando si sviluppò ampiamente un processo di sostituzione in massa dei quadri del partito e dello stato, che minacciò la stabilità del sistema sociale, quando si levò l’ondata, di chiara ispirazione, della propaganda antisovietica nella stampa, alla radio e alla televisione, quando in Cecoslovacchia cominciarono a sorgere e a legalizzare la loro attività organizzazioni di ogni sorta, che si ponevano in contrapposizione al partito dei comunisti. In tale situazione il Comitato centrale del PCUS ritenne necessario intraprendere nuovi passi per sottolineare ancora una volta i suoi timori per le sorti del socialismo in Cecoslovacchia. Nel far questo, ovviamente, si pensava sia alla complessità obiettiva della situazione, sia alla complessità della posizione della stessa direzione del Partito comunista cecoslovacco. Per questa ragione il Comitato centrale del PCUS, continuando ad astenersi da valutazioni pubbliche e da dichiarazioni di qualsiasi sorta, propose ancora una volta un incontro bilaterale. In questo incontro, che si tenne a Mosca il 4 maggio, furono gli stessi dirigenti del Partito comunista cecoslovacco a parlare della gravità della situazione nel paese. Inoltre essi dichiararono che i momenti negativi nello sviluppo politico interno della Cecoslovacchia “esorbitano dall’ambito dei nostri affari esclusivamente interni e coinvolgono i paesi fratelli, come, per esempio, l’Unione Sovietica e la Polonia”. Non si poteva non concordare su ciò.
I dirigenti cecoslovacchi dichiararono anche che erano disposti a prendere le misure necessarie per controllare la situazione. Essi dissero allora alla lettera: “II nemico agisce. Esso vuole deviare gli eventi negli interessi della controrivoluzione”.
Essi riconobbero che il nemico cercava prima di tutto di discreditare il partito comunista e di indebolire il suo influsso sulle masse; che aumentavano le richieste di creare un’opposizione politica legale al Partito comunista cecoslovacco, che per la sua natura poteva essere soltanto un’opposizione antisocialista; che, “se non si compiranno dei passi fermi, ciò potrà degenerare in una situazione controrivoluzionaria”. Essi dissero di conoscere i responsabili concreti di ciò e asserirono di disporre delle prove dei loro legami con i circoli imperialistici e aggiunsero che avrebbero posto fine a questa situazione.
Il plenum di maggio del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco ha riconosciuto che il pericolo principale per la causa del socialismo in Cecoslovacchia proveniva da destra. Sembrava che ciò dovesse far sperare che i dirigenti del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco sarebbero passati dalle parole ai fatti. Alle conferenze dei segretari dei comitati di partito, nel corso delle riunioni degli attivisti della milizia operaia e in numerose assemblee delle organizzazioni partitiche delle fabbriche e delle officine fu espressa la decisione di difendere fermamente le conquiste socialiste.
Purtroppo le speranze delle forze sane nel partito e nel paese e le speranze di tutti gli amici del popolo cecoslovacco non si sono realizzate. Le decisioni del plenum di maggio sono restate sulla carta. Le forze antisocialiste hanno sviluppato l’offensiva contro la linea del plenum di maggio. Le dichiarazioni degli elementi antisovietici sono diventate ancora più aspre. L’ondata dell’offensiva delle forze antisocialiste crebbe ulteriormente alla fine di giugno, quando i circoli controrivoluzionari pubblicarono sulla stampa l’appello delle “Duemila parole”, nel quale era contenuto un aperto appello alla lotta contro il Partito comunista cecoslovacco e contro il regime costituzionale.
La direzione del nostro partito richiamò l’attenzione di A. Dubček sul pericolo di questo documento, come piattaforma dell’ulteriore attivizzazione delle iniziative controrivoluzionarie. Egli rispose che il Presidium del Comitato centrale stava esaminando tale problema, che l’appello sarebbe stato aspramente condannato e che sarebbero state adottate le misure più risolute. Ma, a parte una liberale condanna verbale, nessuna misura concreta è stata adottata.
Tutto ciò ha costretto il PCUS e gli altri partiti fratelli a sollevare la questione di un ulteriore incontro coi dirigenti del Partito comunista cecoslovacco. II PCUS e gli altri partiti fratelli hanno notificato tale proposta al Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco, ma, purtroppo, i suoi dirigenti si sono rifiutati di partecipare alla conferenza di Varsavia.
Negli ultimi sette mesi, pertanto, tra i dirigenti sovietici, quelli cecoslovacchi e quelli degli altri partiti fratelli hanno avuto luogo numerosi contatti nelle più varie forme, nel corso dei quali il Comitato centrale del PCUS ha tenuto immutabilmente una posizione chiara e conseguente.
In cosa consiste, a dirla in breve, la sostanza di questa posizione?
In primo luogo, il Comitato centrale del PCUS ha sin dall’inizio assunto un atteggiamento di piena comprensione verso le decisioni del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco, intese a correggere gli errori e i difetti, a perfezionare la direzione del partito su tutte le sfere della vita sociale, a sviluppare la democrazia socialista. Noi abbiamo considerato e consideriamo tali decisioni come un affare esclusivamente interno dei comunisti cecoslovacchi e di tutti i lavoratori della Repubblica cecoslovacca.
In secondo luogo, il Comitato centrale del PCUS ha sempre sottolineato che solo la realizzazione del ruolo dirigente del partito e il mantenimento nelle mani del partito del pieno controllo sull’evolversi degli eventi può garantire la felice realizzazione delle misure adottate. A tal riguardo è stata più volte richiamata l’attenzione sul fatto che l’indebolimento della direzione partitica crea condizioni favorevoli per l’attivizzazione delle forze di destra, quando non addirittura apertamente controrivoluzionarie, che si propongono di discreditare il partito comunista cecoslovacco e di allontanarlo dal potere, di staccare la Cecoslovacchia dalla consociazione socialista e, in definitiva, di modificare il sistema sociale in Cecoslovacchia.
In terzo luogo, il Comitato centrale del PCUS ha ritenuto e ritiene che le sorti delle conquiste socialiste del popolo cecoslovacco, le sorti della Cecoslovacchia come stato socialista, legato da impegni di alleanza con il nostro e con gli altri paesi fratelli, non sono soltanto una questione interna del Partito comunista cecoslovacco. Sono una questione comune di tutta la consociazione socialista e di tutto il movimento comunista. Per questa ragione il Comitato centrale del PCUS considera proprio dovere internazionale contribuire in tutti i modi al rafforzamento del Partito comunista cecoslovacco, al mantenimento e al rinsaldamento del socialismo in Cecoslovacchia, alla difesa della Cecoslovacchia dalle beghe dell’imperialismo. Questo nostro dovere internazionale è anche il dovere internazionale di tutti i partiti fratelli, e noi cesseremmo di essere dei comunisti se ci rifiutassimo di assolverlo.
Questa la posizione di principio del partito comunista dell’URSS, posizione basata sui principi del marxismo-leninismo e dell’internazionalismo proletario.
II.
La prima e più importante cosa che suscita seria preoccupazione e timore è la situazione nella quale si è venuto a trovare il partito comunista della Cecoslovacchia. Prima di tutto perché senza un rafforzamento del partito comunista e senza assicurare con i fatti il suo ruolo dirigente in tutte le sfere della vita pubblica i discorsi sul “perfezionamento” del socialismo diventano inevitabilmente un inganno.
Negli ultimi mesi le forze controrivoluzionarie in Cecoslovacchia hanno condotto una permanente campagna di discreditamento del partito comunista. Come conseguenza di ciò è insorto il pericolo reale che esso perdesse le sue posizioni dirigenti sulla società. L’attivizzazione delle forze anticomuniste è stata favorita dalla posizione non corretta assunta da una parte dei dirigenti del Partito comunista cecoslovacco e dal loro distacco dai principi marxisti-leninisti su varie questioni. Proprio i numerosi inviti di alcuni dirigenti del Partito comunista cecoslovacco a “porre fine al monopolio del potere da parte dei comunisti”, a “staccare il partito dal potere” e a stabilire una “parità” tra il Partito comunista cecoslovacco e gli altri partiti non comunisti, gli inviti a rinunciare alla direzione partitica dello stato, dell’economia, della cultura, e così via, sono serviti appunto da spinta iniziale della sfrenata campagna contro il Partito comunista cecoslovacco, condotta da forze che vogliono distruggere il Partito comunista cecoslovacco e privarlo del suo ruolo dirigente nella società.
Gli attacchi contro il partito sono iniziati, come è noto, sotto la copertura di discorsi, pronunciati anche da alcuni dirigenti del Partito comunista cecoslovacco, sulla necessità di porre fine ai metodi “arcaici” di lavoro e di adattare il partito alle esigenze del giorno d’oggi. È ovvio che il partito è un organismo vivo, che si sviluppa unitamente a tutta la società e che le forme e i metodi del lavoro di partito e della direzione partitica possono e debbono cambiare in conformità con i mutamenti che si verificano nella società. Ma in questo caso non si trattava di ciò. Si trattava del fatto che questi discorsi portavano in pratica a minare i principi fondamentali dell’attività dell’organizzazione politica, che questi dirigenti dovevano guidare e dovevano rafforzare.
Solo in questo modo si può spiegare il fatto che l’autocritica e la valutazione critica di misure di vario genere, indispensabili in ogni partito, sono presto degenerate in Cecoslovacchia in una sfrenata e pericolosa campagna discreditante tutta l’attività del partito. Profittando della posizione indecisa ed esitante del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco i revisionisti e le forze di destra si sono messi a infangare tutta l’attività svolta dal Partito comunista cecoslovacco negli ultimi vent’anni, negando di conseguenza il suo diritto a dirigere lo stato e la società.
I fatti che citiamo qui di seguito dimostrano sino a che punto siano giunte le cose.
In un articolo di un certo Liehm, pubblicato il 13 giugno circa dal settimanale
Literární listy, si diceva: “il Partito comunista cecoslovacco è responsabile di tutti gli errori di 20 anni, dal febbraio 1948, di tutte le malattie e i delitti della società...” E più avanti: “iI Partito comunista cecoslovacco attua il suo ruolo dirigente, benché non ne abbia né il diritto morale, né il diritto politico”.
Uno dei rappresentanti attivi delle forze antipartito, Hanzelka, ha affermato il 9 giugno sul giornale
Mladá Fronta che il milione e mezzo di membri del Partito comunista cecoslovacco sarebbero diventati dei fanatici, strumentalizzati da alcuni “despoti” del partito per i propri interessi personali di potere.
Un certo Tomíček ha urlato istericamente a una riunione del “Club dei giovani” di Semila: “il partito comunista della Cecoslovacchia deve essere considerato come un’associazione a delinquere, quale di fatto esso è stato, e deve essere buttato fuori dalla vita sociale”. Questi gridi furono subito pubblicati dal giornale
Literární listy.
Di asserzioni analoghe se ne potrebbero citare decine, se non addirittura centinaia. E tutta questa fiumana di gridi isterici ostili al socialismo e al comunismo si riversava quotidianamente sulle teste dei lavoratori.
Purtroppo alcuni dirigenti del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco non hanno tratto le necessarie conseguenze dal fatto che il paese era flagellato da una feroce campagna anticomunista, organizzata dalle forze controrivoluzionarie e chiaramente ispirata dalla propaganda imperialistica. Invece di ostacolare decisamente i tentativi di distruggere il partito, essi hanno continuato a trasformare il Partito comunista cecoslovacco in un’organizzazione amorfa e incapace di agire, in una sorta di club dedicato alle discussioni.
Nel Partito comunista cecoslovacco cominciavano di fatto a crollare i principi leniniani fondamentali di organizzazione della vita di partito; i principi del centralismo democratico e dell’unità ideologico-organizzativa del partito. Il partito si è venuto a trovare sulla soglia della legalizzazione dei raggruppamenti frazionistici, sulla soglia della disintegrazione in organizzazioni “autonome”, debolmente legate tra di loro.
Tutti coloro che hanno studiato la storia del movimento comunista e che conoscono il retaggio teorico lasciato da Lenin sanno bene che può essere vitale solo quel partito marxista le cui organizzazioni e i cui membri seguono tutti fedelmente il principio del centralismo democratico. Ignorare un qualsiasi aspetto di questo principio, della democrazia come del centralismo, conduce inevitabilmente a un indebolimento del partito e del suo ruolo dirigente, alla trasformazione del partito in un’organizzazione burocratica e in una specie di associazione per la divulgazione dell’istruzione.
Dalle informazioni di stampa risulta che gli elementi revisionistici nel partito pianificavano la creazione nel Partito comunista cecoslovacco di una situazione che lo avrebbe trasformato in organizzazione informe e marcia, priva delle norme leniniane e della disciplina e responsabilità di partito.
Sono state avanzate proposte di attuare una sorta di principio di autonomia degli organi e delle organizzazioni del partito, cioè di consacrare nella nuova situazione il loro diritto ad assumere una posizione autonoma nei confronti delle decisioni degli organi superiori. Per di più si proponeva che le singole parti componenti del partito non fossero legate da una comune disciplina: si proponeva che esse fossero volontariamente legate da “vincoli associativi”, “come organizzazioni che si unificano su base cooperativistica”. Ciò significava la trasformazione del partito in una specie di “associazione”, i cui membri erano liberi di agire come volevano. Questa tesi non può essere considerata altrimenti che come un tentativo di smantellamento del partito.
L’attacco contro l’unità delle schiere partitiche procedeva anche lungo altre direttrici. I rappresentanti delle forze di destra insistevano tenacemente perché lo statuto sancisse “i diritti della minoranza e delle opinioni di gruppo”, cioè il diritto di schierarsi contro le decisioni del partito dopo la loro approvazione.
Tutte queste tendenze sono in patente contrasto con i principi leniniani di organizzazione del partito. Ricordiamo l’impostazione leniniana del problema dell’unità del partito nella risoluzione che Lenin propose al X congresso del Partito comunista russo e che fu approvata dal congresso. In essa si diceva:
è necessario che tutti i lavoratori coscienti prendano chiaramente atto del danno e dell’inammissibilità di ogni frazionismo, che inevitabilmente conduce a un indebolimento del lavoro e al rafforzamento dei tentativi dei nemici di approfondire le divisioni e di sfruttarle ai fini della controrivoluzione.
Purtroppo persino fra i membri del Presidium del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco si sono trovate persone che, in sostanza, si sono schierate apertamente contro i principi leniniani di organizzazione del partito. Si pensa qui, in particolare, ai discorsi pubblici del membro del Presidium J. Špacek su queste questioni.
È noto che la reazione mondiale non rinuncia ai suoi tentativi di sfruttare qualsiasi indebolimento dell’unità delle schiere dei partiti comunisti per rafforzare gli attacchi contro i comunisti e contro il socialismo. Minare in tali condizioni l’unità del partito significa aiutare i nostri nemici di classe.
III.
Anche la campagna di massa attuata nel paese per la distruzione dei quadri del partito ha contribuito a minare il ruolo dirigente del Partito comunista cecoslovacco. La critica di singoli dirigenti, che avevano compiuto determinati errori, è degenerata nell’ottusa esigenza di allontanare in massa i funzionari dirigenti del partito. Al centro e in periferia sono stati allontanati molti uomini esperti, fedeli alla causa del partito e della classe operaia, che avevano combattuto coraggiosamente contro il fascismo negli anni dell’occupazione hitleriana e che avevano partecipato attivamente all’edificazione del socialismo in Cecoslovacchia. Si è creata un’atmosfera di autentico pogrom e di “linciaggio morale” dei quadri.
Emergeva chiaramente una linea politica determinata, tendente a eliminare dalla politica attiva i comunisti più temprati sotto il profilo ideologico-politico e più decisi a lottare contro l’opposizione di destra. Non si può considerare altrimenti, per esempio, la dichiarazione del segretario del Comitato centrale Císař, il quale invitava ad accogliere nel partito 200-300 mila giovani per, come lui si è espresso, fare una “iniezione” al partito “senescente”, ignorando l’aspetto classista di questo importante problema.
La linea di distruzione massiccia dei quadri dirigenti coinvolgeva non soltanto l’apparato di partito. Essa si estendeva a importanti settori dell’apparato statale, ai sindacati e all’Unione della gioventù. La maggior parte dei membri del governo è stata sostituita. Tra gli eliminati c’erano non pochi esponenti definiti dai dirigenti del Partito comunista cecoslovacco, anche dopo il plenum di gennaio, come comunisti saldi e fedeli.
È stato dichiarato pubblicamente che i comunisti scacciati dagli organi dirigenti del partito e dello stato avevano nel passato compiuto degli errori nella loro attività. Ma in che misura poteva essere giusto, su tale base, sollevare la questione della sfiducia politica nei confronti di migliaia di funzionari e di escludere dalla vita politica delle persone solo perché avevano partecipato attivamente alla vita del partito e del paese prima del plenum di gennaio?
C’era da sperare che il Presidium del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco si sarebbe avvalso della preparazione al XIV congresso straordinario del partito, indetto per il 9 settembre, per porre fine alla liquidazione dei quadri. Ma ciò non è avvenuto. Al contrario, la preparazione al congresso è stata sfruttata dalle forze di destra per moltiplicare gli attacchi contro le forze sane del partito, per dislocare uomini propri nelle organizzazioni provinciali e regionali del partito e per imporre al partito la loro politica.
La stampa, controllata dalle forze di destra, ha interferito apertamente nelle elezioni dei delegati alle conferenze e al congresso del partito e ha perfino “raccomandato” chi dovesse essere eletto membro del futuro Comitato centrale e chi invece non dovesse, cercando chiaramente di esercitare un’inammissibile pressione sui delegati al prossimo congresso.
Così stavano le cose. Il partito non è un concetto astratto. Il partito sono gli uomini e i principi che garantiscono l’unità di azione dei comunisti. E quando i principi della vita di partito sono stati respinti, quando i quadri del partito sono stati dispersi, era perfettamente legittimo trarre la conclusione che il Partito comunista cecoslovacco si era venuto a trovare in pericolo.
Non meno pericoloso per la causa del socialismo è altresì il fatto che, parallelamente al forte indebolimento del lavoro politico-organizzativo, la direzione del Partito comunista cecoslovacco ha in pratica consegnato nelle mani delle forze di destra e antisocialiste il controllo sui mezzi di influsso ideologico sulle masse. Molti giornali, la radio e la televisione della Cecoslovacchia si sono trovati in sostanza a disposizione di determinati raggruppamenti, che perseguivano scopi chiaramente antisocialisti. I fatti dimostrano in maniera incontrovertibile che questi raggruppamenti agivano con finalità ben precise, cercando di discreditare il Partito comunista cecoslovacco e il socialismo.
Pubblicazioni come
Literární listy,
Mladá fronta,
Práce,
Lidová democracie,
Svobodné slovo,
Zemědelské noviny,
Student e
Reportér hanno condotto una sfrenata propaganda antisocialista.
I lavoratori cecoslovacchi hanno detto chiaramente che i mezzi di propaganda di massa venivano sfruttati non negli interessi del popolo cecoslovacco, ma contro di esso. Così, all’assemblea nazionale cecoslovacca degli attivisti della milizia popolare i suoi partecipanti hanno sottolineato che la direzione del partito e gli organi della propaganda non prendevano alcuna misura contro l’iniziativa degli elementi reazionari. Gli operai hanno approvato la risoluzione nota, e non per caso hanno ritenuto necessario recarsi con questa risoluzione all’Ambasciata sovietica per chiedere che venisse trasmessa a Mosca. Tuttavia questa Assemblea così significativa di esponenti dei lavoratori non ha trovato l’eco che meritava sulla stampa cecoslovacca. E l’appello di questa assemblea al popolo sovietico è stato per lungo tempo celato ai lavoratori della Cecoslovacchia.
Molti compagni cecoslovacchi volevano sollevare questa questione sulla stampa, ma ciò veniva loro impedito. Il vecchio comunista clandestino Jodas riuscì con difficoltà a pubblicare la propria protesta contro le forze di destra e antisocialiste, che cercavano di monopolizzare gli strumenti di informazione di massa. Ecco le sue parole:
attualmente un determinato gruppo reazionario nel partito, bene organizzato e che dispone di tutti i mezzi di informazione, conduce alla televisione, alla radio e sulla stampa un volgarissimo attacco contro il partito. Questo gruppo, nel quale agiscono attivamente vari elementi reazionari, conduce da cinque mesi questa campagna, che inevitabilmente deve portare alla distruzione dell’unità del partito. È necessario schierarsi risolutamente e apertamente contro questo gruppo, definendolo per quello che è e smascherando le sue intenzioni di fronte all’opinione pubblica.
La situazione creatasi negli organi di informazione ha suscitato la legittima preoccupazione dei lavoratori della Cecoslovacchia. Gli operai della “Auto-Praga” hanno scritto nella lettera del 18 luglio:
noi siamo categoricamente contrari a che la radio, la stampa e la televisione creino un’atmosfera di odio contro l’URSS e contro i paesi e i partiti socialisti… Noi siamo agghiacciati dal timore per il futuro della nostra patria.
In una parola, in Cecoslovacchia si è creata un’atmosfera per cui gli elementi di destra potevano pubblicare dichiarazioni antisocialiste, attuare dimostrazioni e comizi con slogan controrivoluzionari, mentre i discorsi in cui si dava una valutazione marxista-leninista della situazione venivano zittiti e i loro autori venivano perseguitati. Le persecuzioni contro i comunisti onesti, il discreditamento del partito e gli attacchi contro il marxismo-leninismo, l’internazionalismo proletario e l’amicizia fraterna tra i popoli sovietico e cecoslovacco venivano condotti, si può dire, sotto gli occhi del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco.
Le calunnie contro il partito comunista, in particolare contro l’attività svolta nell’ultimo ventennio, le persecuzioni dei quadri, il passaggio dei mezzi di informazione di massa nelle mani di elementi che attaccavano il partito e la violazione del principio del socialismo democratico, tutto ciò ha demoralizzato ampie masse di comunisti, ha fatto sì che essi perdessero fiducia e sicurezza, ha suscitato smarrimento negli organi del partito e, nello stesso tempo, ha contribuito al rafforzamento dell’influsso degli elementi di destra e all’intensificazione dell’attività delle forze controrivoluzionarie.
IV.
La manovra della reazione di distruggere il partito comunista e di indebolire le posizioni del socialismo in Cecoslovacchia è stata accompagnata da una larga campagna offensiva contro l’ideologia marxista-leninista. Nei discorsi dei nemici del socialismo si scorgono chiaramente i loro metodi e i loro fini. Essi agivano da posizioni diverse, ma perseguivano un unico scopo: minare la base teorico-ideologica dei comunisti e sostituire il socialismo scientifico con altre concezioni ideologiche.
Le pagine della stampa cecoslovacca venivano offerte generosamente alle creazioni degli aperti avversari del marxismo-leninismo. Basterà ricordare che in molti giornali e riviste cecoslovacchi sono stati pubblicati gli articoli e brani dei libri del noto trockista Isaak Deutscher. Ma le forze antisocialiste in Cecoslovacchia non si sono fermate a questo.
Si può ricordare il così detto “Memorandum del popolo della Cecoslovacchia”, compilato dal Comitato organizzativo del “Partito degli autentici socialisti cecoslovacchi”, come essi si definivano, del quale parlava il 14 giugno il giornale
Mladá fronta. Con incredibile impudenza gli autori di questa pasquinata proclamavano: “la legge che noi approveremo dovrà vietare ogni attività comunista in Cecoslovacchia. Noi interdiremo l’attività del Partito comunista cecoslovacco e scioglieremo il Partito comunista cecoslovacco”. Gli autori invitavano a distruggere le opere dei classici del marxismo-leninismo.
Sotto simili dichiarazioni avrebbero volentieri posto la loro firma gli hitleriani, che bruciarono i libri marxisti sulle piazze delle città tedesche.
All’assemblea nazionale il deputato Turošek chiedeva con comprensibile preoccupazione: “Quando e come comincerà nel nostro paese la lotta contro simili fenomeni, che disonorano il partito comunista e i comunisti?”.
All’offensiva contro il marxismo-leninismo in Cecoslovacchia partecipavano anche alcuni esponenti del partito comunista.
In tutto il paese è stato ampiamente propagandato il discorso del segretario del Comitato centrale Císař all’assemblea solenne svoltasi a Praga per il centocinquantenario della nascita di Karl Marx. Se si vuole risalire all’essenza di questo discorso, essa si riduce al rinnegamento del leninismo, del suo valore internazionale, del fatto che il leninismo è una guida all’azione anche nelle condizioni attuali.
Purtroppo alcuni dirigenti del Partito comunista cecoslovacco non hanno trovato il coraggio di criticare questo discorso e di difendere le basi ideologiche del movimento comunista in Cecoslovacchia. C’è di più: in Cecoslovacchia è stata scatenata una ampia campagna di attacchi contro la stampa sovietica, perché questa ha protestato contro i nuovi denigratori del marxismo-leninismo.
A questo proposito va detto che il discorso di Císař non è certo l’unico attacco contro il leninismo. Affermazioni simili le si può incontrare anche in altre pubblicazioni, apparse in Cecoslovacchia negli ultimi tempi.
Ciò non stupisce; considerato che in Cecoslovacchia si è creata un’atmosfera in cui è diventato vantaggioso e di moda attaccare il marxismo-leninismo, mentre è diventato pericoloso difendere le posizioni di principio della dottrina comunista.
Come si spiega tutto ciò? Con l’analfabetismo teorico di alcuni dirigenti, oppure con la deliberata connivenza con coloro che vorrebbero privare il partito della sua arma ideologica e che vorrebbero distruggere la base della coesione ideologica tra il partito comunista della Cecoslovacchia e gli altri reparti del movimento comunista mondiale?
Noi comprendiamo bene quanto sia necessario sviluppare incessantemente la teoria marxista-leninista, generalizzare e analizzare i processi e i fenomeni nuovi della vita. Il marxismo-leninismo sarebbe morto, se non si sviluppasse in ogni epoca storica grazie agli sforzi collettivi dei suoi teorici e dei suoi seguaci. Ma è perfettamente chiaro che i discorsi citati non intendono sviluppare il marxismo-leninismo, ma piuttosto intendono rivederlo e screditarlo.
Tuttavia i dirigenti del Partito comunista cecoslovacco nulla hanno fatto per la difesa delle posizioni ideologiche del partito comunista.
Al soffocamento di tali posizioni ha indubbiamente contribuito il fenomeno, sempre più diffuso in Cecoslovacchia, di un approccio acritico e interclassista nei confronti di alcune pagine della storia del paese.
È un fatto che negli ultimi tempi è stato resuscitato il culto di Masaryk, che fu sempre un acerrimo nemico del movimento comunista e uno degli ispiratori dell’intervento contro la Russia sovietica. È strano che persino alcuni comunisti abbiano elogiato questo esponente borghese, per ordine del quale il partito comunista fu perseguitato e furono firmati gli ordini di carcerazione per i suoi leader, tra i quali Klement Gottwald. È stato di nuovo levato sugli scudi Beneš, che condusse il paese alla catastrofe di Monaco.
È proprio di questa storia e di questi esponenti che deve preoccuparsi la stampa di un paese socialista, la stampa di un partito che ha una propria gloriosa storia rivoluzionaria, piena di coraggio e di eroismo, dimostrati nella lotta per la libertà del popolo e per l’indipendenza della patria? Ed è forse possibile comprendere perché mai la stampa cecoslovacca negli ultimi tempi non abbia mai ricordato gli illustri esponenti e organizzatori del partito comunista, gli internazionalisti, gli eroi del movimento operaio e comunista, che dettero la loro vita nella lotta contro gli occupatori hitleriani, nella lotta per il socialismo e per il rafforzamento dell’amicizia dei nostri popoli?
In compenso sono apparsi degli interventi di un cinismo politico mostruoso, come l’articolo di un certo Mlynárik su
Literární listy del 15 agosto, nel quale si tentava di infangare tutta la storia del Partito comunista cecoslovacco, soprattutto dopo la rivoluzione socialista in Cecoslovacchia, e di calunniare Klement Gottwald e intere generazioni di eroici combattenti del partito comunista della Cecoslovacchia.
Ancora una circostanza. Negli ultimi tempi in Cecoslovacchia sono stati compiuti non pochi sforzi per alimentare nel popolo degli stati d’animo che non si può che definire come nazionalistici. Proprio a ciò tendeva la chiassosa campagna propagandistica, montata artificiosamente alla fine di luglio per appoggiare le posizioni del Presidium del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco alle imminenti conversazioni con il Politbjuro del Comitato centrale del PCUS. L’appello alla delegazione del Partito comunista cecoslovacco, che si recava all’incontro, pubblicato sulla stampa cecoslovacca, serviva appunto a rinfocolare queste basse passioni nazionalistiche.
Alcuni dirigenti del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco hanno popolarizzato in tutti i modi tale documento. Se ne è parlato alla televisione, i suoi autori sono stati festeggiati, dirigenti si sono mostrati nelle strade dove venivano raccolte le firme sotto il testo dell’appello. Si può considerare ciò come un metodo normale di preparazione alle trattative con un partito amico e fratello?
La cosa più grave è che la campagna di massa alimentata in Cecoslovacchia con metodi così artificiosi non era diretta contro i nemici di classe del popolo lavoratore della Cecoslovacchia, né contro coloro che effettivamente minacciano la sicurezza della repubblica, né contro gli imperialisti: essa era diretta, per quanto ciò possa apparire mostruoso, contro gli amici più intimi della Cecoslovacchia socialista, contro l’Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti fratelli.
In relazione a ciò, sorge spontanea questa domanda: se i dirigenti cecoslovacchi non volevano prendere in considerazione i propri amici, se non volevano dar loro ascolto, se non volevano intraprendere la stessa strada, verso chi allora intendevano orientarsi, con chi volevano andare? E dove volevano cercare la garanzia della sicurezza, della sovranità del popolo cecoslovacco, dei suoi successi socialisti riportati sugli attacchi sferrati da parte dell’imperialismo?
A proposito del suddetto messaggio, intorno al quale è stata montata una clamorosa campagna, c’è ancora un fatto che merita attenzione e a cui non è possibile non attribuire un grande significato.
Si tratta del fatto che nel testo del messaggio, là dove si menzionano le tappe storiche dello sviluppo della Cecoslovacchia è stato circondato dal più assoluto silenzio il febbraio 1948, quando si verifica la svolta della Cecoslovacchia in direzione del socialismo.
Per coloro che almeno qualche volta nel corso degli ultimi mesi hanno tenuto dietro allo sviluppo degli eventi nel paese, è chiarissimo che questa omissione non è affatto casuale, ma rispecchia invece una determinata concezione politica.
Evidentemente alcuni dirigenti del Partito comunista cecoslovacco supponevano che fomentando le passioni nazionali si sarebbe potuta conseguire una base più ampia per le proprie posizioni con l’appoggio di vasti strati della popolazione, includente sia i sostenitori sia gli avversari del socialismo. Ma si tratta di un cammino molto rischioso. Rischioso anzitutto perché li ha allontanati sempre più da coloro che appaiono i compagni naturali e gli autentici amici del Partito comunista cecoslovacco e del popolo cecoslovacco.
Gli avversari dell’amicizia sovietico-cecoslovacca si sono ancora una volta avvalsi ampiamente nei loro ragionamenti di un tema che non si può fare a meno di sfiorare. In numerosi articoli apparsi sulla stampa, negli interventi alla radio e alla televisione, si è ostinatamente ribadito il concetto che tutte le “sciagure” della Cecoslovacchia sono dovute al fatto che essa fino a poco tempo fa era stata guidata nel suo sviluppo da qualcuno che aderiva “al modello sovietico del socialismo”. Non credo sia necessario spiegare come questa affermazione sia interamente inventata.
È ben noto infatti che l’URSS e la Cecoslovacchia hanno una diversa organizzazione statale, che molto differenti si presentano le soluzioni del problema nazionale, e che dissimili sono i metodi di dirigere l’economia. In modo diverso vengono risolti anche molti altri problemi relativi alla vita politica, economica e culturale dei nostri popoli.
Lo sviluppo della Cecoslovacchia come stato socialista, lo sviluppo del suo ordinamento statale, della sua economia e della sua cultura, lo sviluppo del suo partito comunista si è svolto e si svolge in forme che rispecchiano le peculiarità del paese, le sue tradizioni, i suoi tratti specifici sotto ogni aspetto. I discorsi sull’“adesione dei cechi e degli slovacchi a un certo modello di socialismo sovietico” non si presentano altro che come una malintenzionata, provocatoria menzogna, diffusa da elementi ostili col deliberato intento di minare la fraterna amicizia che lega i nostri paesi, i nostri partiti e i nostri popoli.
Le forze che cercano di scalzare le posizioni del Partito comunista cecoslovacco, si sforzano ogni volta di denigrare la collaborazione economica esistente fra l’Unione Sovietica e la Cecoslovacchia.
Essi fanno di tutto per presentare la faccenda in modo che le relazioni economiche instauratesi fra i nostri paesi sembrino infruttuose e per di più onerose per la Cecoslovacchia. È lampante a cosa tende tal genere di dichiarazioni. Tutte quante hanno di mira un unico scopo: preparare il terreno per dirottare lo sviluppo dell’economia della Cecoslovacchia verso occidente. Ma a tal fine sarebbe stato necessario convincere l’opinione pubblica cecoslovacca che sviluppando la cooperazione con l’Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti la Cecoslovacchia non è in grado di risolvere i suoi problemi, che questa cooperazione, stando a quel che si dice, non corrisponde ai suoi interessi nazionali.
In effetti il tentativo di costruzione del socialismo dice che le relazioni economiche dei paesi socialisti sono relazioni di tipo nuovo, che il loro sviluppo contribuisce al progresso economico e sociale di ogni paese in particolare, e al rafforzamento del sistema socialista mondiale in genere.
Sul fondamento dei principi dell’internazionalismo proletario, i paesi socialisti sono stati i primi ad attuare storicamente il passaggio verso una cooperazione multilaterale e di mutua assistenza, partecipando a questo processo in veste di stati integralmente sovrani e paritari. Ormai nessuno potrà mai più imporre loro il giogo dello sfruttamento imperialista.
Questa è un’enorme conquista della nostra collaborazione socialista e nello stesso tempo la base su cui è parso possibile realizzare un rapido sviluppo dell’economia degli Stati socialisti.
Nel corso di 17 anni, dal 1950 al 1967, il volume della produzione industriale dei paesi dell’Europa orientale è cresciuto complessivamente del 5,4% arrivando quasi a coprire un terzo del volume della produzione industriale mondiale. Solo nel corso degli ultimi sette anni, l’incremento della produzione industriale dei paesi dell’est europeo è aumentato del 76%, mentre nello stesso periodo nei paesi capitalisti esso non ha superato il 45%.
L’ampio sviluppo della cooperazione economica, l’approfondimento della ripartizione internazionale del lavoro nella cornice del sistema socialista mondiale ha condizionato non soltanto le esigenze economiche dei singoli paesi socialisti, ma anche il carattere della situazione internazionale, le condizioni della lotta dei due sistemi mondiali. Frattanto negli ultimi tempi una fila di statisti cecoslovacchi, fra cui il vicepresidente del consiglio O. Šik e alcuni altri, sono esorditi con critiche all’economia cecoslovacca e alla sua cooperazione con gli altri paesi socialisti. Le critiche, certo, sono una cosa indispensabile.
Ma esse devono soddisfare due criteri: essere scientifiche e obiettive e corrispondere agli interessi delle masse lavoratrici, agli interessi del socialismo.
Intanto O. Šik è saltato fuori a criticare che l’economia della Cecoslovacchia si presenta arretrata e che sta attraversando una crisi. Tutto il percorso dello sviluppo economico della Cecoslovacchia nel periodo socialista è cancellato e dipinto a fosche tinte.
Contemporaneamente la stampa cecoslovacca si è sforzata di insinuare nella classe lavoratrice e in tutta la popolazione della Cecoslovacchia la convinzione che la politica economica condotta dal Partito comunista cecoslovacco era sbagliata e che, a quanto pare, non offriva la possibilità di elevare il tenore di vita del popolo, e inoltre che nei paesi capitalisti si vive meglio.
Eppure è noto che per quanto concerne la produzione dell’energia elettrica, dell’acciaio, del cemento, dei tessuti e delle calzature, della carne e dei prodotti della carne la Cecoslovacchia supera i più evoluti paesi capitalisti europei, incluse Inghilterra, Germania ovest e altri. La Cecoslovacchia possiede una sviluppata industria meccanica e quanto alla produzione delle macchine pro capite occupa uno dei primi posti nel mondo.
Esagerate insufficienze nello sviluppo dell’economia cecoslovacca la stampa le ha fatte dipendere, talora indirettamente ma talora anche direttamente, dalle relazioni economiche con l’Unione Sovietica. Si è prospettato sotto una cattiva luce il commercio fra la Cecoslovacchia e l’URSS.
Prendiamo alcuni dati relativi al commercio estero dell’Unione Sovietica e della Cecoslovacchia negli anni 1956-1968, cioè relativi a dodici anni. Nel corso di questo periodo l’Unione Sovietica ha fornito alla Cecoslovacchia 17 milioni di tonnellate di grano, quasi 700 mila tonnellate di cotone, circa 70 mila tonnellate di lana, 51 milioni di tonnellate di petrolio, 80 milioni di tonnellate di minerali grezzi, circa 2 milioni di tonnellate di ghisa, circa 2 milioni e mezzo di laminati, 285 mila tonnellate di rame, più di 200 mila tonnellate di piombo, quasi tre milioni e mezzo di tonnellate di apatite concentrata, 170 mila tonnellate di zinco, più di 200 mila tonnellate di amianto, quasi 5 milioni di metri cubi di legname e macchine e impianti per quasi 1200 milioni di rubli. Se alla Cecoslovacchia fosse toccato comprare tutte queste merci in valuta libera, sarebbe stata costretta a spendere circa 3 miliardi e mezzo di dollari.
La Cecoslovacchia è anche una grossa fornitrice dell’Unione Sovietica per ciò che riguarda macchine, merci di largo consumo, calzature, tessuti, confezioni, prodotti di merceria e altri.
Si intende che se l’Unione Sovietica nel commercio con la Cecoslovacchia avesse trattato su base puramente commerciale, cosa cui in pratica voleva arrivare O. Šik, ciò evidentemente non sarebbe andato a vantaggio dell’economia cecoslovacca e le avrebbe arrecato molte difficoltà.
In Cecoslovacchia è stata sviluppata una critica globale del tentativo di costruire il socialismo internazionale, quale è stato elaborato dalla semisecolare pratica dell’Unione Sovietica e anche dalla pratica prolungata degli stati socialisti. A questo esperimento si è tentato di contrapporre un nuovo “‘modello’ di socialismo” esistente soltanto nei loro ragionamenti; oltre a ciò, alcuni governanti che avevano fatto un gran chiasso a proposito della sovranità e della non ingerenza, avrebbero voluto proporre questo modello come esempio da imitare universalmente. Il nostro partito non può passare sopra alla campagna di discredito che si è condotta sulla stampa cecoslovacca nei confronti dell’economia socialista dell’Unione Sovietica. Lo sviluppo dell’economia socialista costituisce uno dei compiti principali che si trovano costantemente al centro dell’attenzione del nostro partito come degli altri partiti fratelli. Avendo stretti legami con l’economia degli altri paesi socialisti, l’Unione Sovietica prende le misure indispensabili affinché lo sviluppo economico dell’URSS possa contemporaneamente provvedere alle esigenze dell’economia nazionale dei nostri amici e alleati e fornire loro la possibilità di svilupparsi evitando il più possibile i paesi capitalisti e qualsiasi genere di pericolo che possa scaturire dall’imperialismo.
Storicamente gli avvenimenti si sono svolti in modo tale per cui l’Unione Sovietica si addossa un’enorme responsabilità per la sicurezza del campo socialista. Ed è perciò naturale che sviluppando la nostra economia noi siamo continuamente costretti a profondere enormi investimenti nell’industria bellica, la quale è necessaria non solo all’Unione Sovietica ma a tutti i paesi socialisti, e consente ora di resistere all’aggressione imperialista contro il Vietnam, contro gli stati arabi.
Noi sappiamo che anche gli altri paesi fratelli danno il proprio contributo alla difesa delle conquiste socialiste dei popoli.
Ognuno riconosce in ciò il proprio dovere internazionale. Il nostro partito perfeziona continuamente lo stile, le forme e i metodi per l’edificazione dello stato e del partito. E il medesimo lavoro viene svolto anche negli altri paesi socialisti. Esso viene condotto con calma, scaturendo dalle fondamenta del sistema socialista.
Purtroppo, su di un diverso fondamento si è svolta la discussione relativa ai problemi della riforma economica in Cecoslovacchia. Al centro di questa discussione si era avanzata, da una parte, una critica globale circa lo sviluppo precedente dell’economia socialista e dall’altra proposte di sostituire le direttive pianificate con rapporti retti dall’economia di mercato e dal gioco spontaneo delle forze economiche, mediante la concessione di un vasto margine all’attività del capitale privato.
Della discussione sull’economia cecoslovacca si sono avvalsi elementi revisionisti e controrivoluzionari col deliberato intento di volgere l’economia del paese in direzione capitalista.
Alcuni dirigenti cecoslovacchi hanno cominciato a sottoporre a verifica una serie di importanti posizioni nel settore della politica estera, gli obblighi assunti dalla Cecoslovacchia in seguito al Patto di Varsavia ed l’accordo bilaterale con l’Unione Sovietica.
In seguito all’accordo sovietico-cecoslovacco i nostri paesi si sono assunti l’impegno di associare i propri sforzi e di instaurare una stretta collaborazione per garantire la propria sicurezza, la sicurezza degli altri stati della comunità socialista.
Questi impegni, insieme con gli impegni assunti dagli altri stati socialisti in seguito ad accordi bilaterali e al Patto di Varsavia, costituiscono un solido fondamento che garantisce saldamente la sicurezza a ciascuno dei suoi aderenti.
I paesi aderenti al Patto si sono assunti reciprocamente il solenne impegno di levarsi in difesa delle conquiste del socialismo, dei loro confini e della pace in Europa.
L’Unione Sovietica si è battuta e si batte affinché questi impegni siano scrupolosamente attuati da parte di tutti gli aderenti al Patto, poiché solo in tal modo è possibile la sicurezza di ciascuno di loro. L’URSS ha ritenuto fino a ora che anche la Cecoslovacchia continui a dar prova di un simile atteggiamento verso i propri impegni assunti con i rispettivi accordi.
Però negli ultimi tempi si sono manifestate determinate tendenze nel settore della politica estera della Cecoslovacchia, specie negli affari europei, che destano serie apprensioni. Queste tendenze si manifestano non soltanto negli interventi della stampa cecoslovacca, nelle trasmissioni della radio e della televisione, ma anche nei discorsi di alcuni esponenti ufficiali. In particolare, esse si sono manifestate in modo abbastanza preciso nelle dichiarazioni del ministro degli affari esteri, J. Hájek. Si tratta dei ripetuti appelli a una revisione della politica estera cecoslovacca.
Si sono verificati tentativi precisi di assestare un colpo al Patto di Varsavia, di allentare questo Patto. Il rappresentante ufficiale del Comitato Centrale del Partito comunista cecoslovacco V. Prchlík ha fatto a Praga una dichiarazione pubblica davanti ai giornalisti, in cui si è scagliato contro il Patto di Varsavia ed ha espresso la necessità di rivedere la sua struttura. Egli ha proseguito denigrando l’attività del Comitato politico di consultazione fra gli stati membri del Patto di Varsavia, il quale, come è noto, si svolge a livello dei dirigenti di partito e di governo. Ci si sarebbe potuti attendere che tali azioni sarebbero state esaminate dal direttivo del Partito comunista cecoslovacco, ma ciò non si è verificato.
Il nostro problema comune è quello di membri dell’organizzazione del Patto di Varsavia. Non si può ammettere che in questa organizzazione venga aperta una breccia. Tale linea contraddice gli interessi vitali di tutti i paesi membri della organizzazione del Patto di Varsavia, fra cui gli interessi vitali dell’URSS. Gli obblighi che gli stati socialisti si sono assunti mediante accordi esigono dai loro aderenti che sia attivamente garantita la difesa dei propri confini. Come stanno le cose a questo proposito circa i confini della Cecoslovacchia con l’occidente? Questi confini dalla parte cecoslovacca sono aperti.
Si è creata questa situazione, e dai paesi occidentali sono schizzati fuori in Cecoslovacchia sabotatori e spie inviati dai servizi di informazione imperialisti.
Gli agenti imperialisti hanno avuto la possibilità di trasportare clandestinamente in territorio cecoslovacco degli armamenti.
Seria preoccupazione hanno destato gli interventi fatti nel corso degli ultimi avvenimenti da alcuni dirigenti della Cecoslovacchia circa il suo atteggiamento verso la Germania occidentale.
Ai dirigenti cecoslovacchi era noto che la Germania dell’ovest non riconosce e non si accinge a voler riconoscere i confini fissati in Europa, fra cui quelli tra la Repubblica democratica tedesca e la Repubblica federale tedesca, che essa continua a esigere il riconoscimento del suo diritto di parlare a “nome di tutti i tedeschi”, che essa avanza come nel passato pretese su Berlino ovest e vi organizza ogni genere di provocazioni, che il governo della Repubblica federale tedesca finora non ha fatto alcuna dichiarazione in merito al proprio rifiuto al ricorso alle armi atomiche, non ha dichiarato che l’accordo di Monaco è nullo fin dall’inizio.
Nondimeno in Cecoslovacchia si sono avuti degli interventi volti al riavvicinamento con la Germania occidentale, al rafforzamento dei legami con essa. La faccenda si è spinta a tal punto che a nome del governo cecoslovacco si è dichiarato ufficialmente che la politica della Cecoslovacchia nelle questioni europee deve tenere gran conto del fatto che la Cecoslovacchia si trova tra l’Unione Sovietica e la Germania occidentale.
Senonché tale punto di vista è del tutto privo di contenuto di classe, contraddice a ogni esperienza storica e non corrisponde agli interessi della sicurezza dei paesi socialisti e della stessa Cecoslovacchia.
Alcuni dirigenti in Cecoslovacchia si sono appellati a questo per svolgere la loro politica estera dalla parte dell’occidente, per renderla “più indipendente” dalla politica dell’Unione sovietica e degli altri paesi socialisti.
Non è difficile notare che dietro la parola “indipendenza” essi volevano nascondere l’aspirazione a disancorare la politica estera della Cecoslovacchia dalla politica unitaria dei paesi della comunità socialista. Purtroppo a sortite di tal genere non si è reagito in Cecoslovacchia nel modo dovuto.
Ai nostri interessi comuni, fra cui anche gli interessi dell’amica Cecoslovacchia, corrisponde non già l’indebolimento ma il rafforzamento della cooperazione dei membri del Patto di Varsavia nei problemi della sicurezza e della politica internazionale in genere. Questo obbliga i membri del Patto a reagire energicamente ai tentativi provocatori di qualsiasi genere volti a spezzare il Patto di Varsavia.
Richiama l’attenzione l’atteggiamento inammissibile verso gli obblighi derivanti dal Patto di Varsavia, atteggiamento assunto in occasione delle manovre militari condotte non molto tempo fa in territorio cecoslovacco dai paesi del Patto di Varsavia.
Contro la permanenza sul territorio della Cecoslovacchia delle truppe dei paesi socialisti, nel periodo dello svolgimento delle manovre militari, si era scatenata una campagna ostile.
La permanenza delle truppe sovietiche veniva presentata dalle forze antisocialiste di destra come un’occupazione del territorio cecoslovacco. E questo significherebbe forse rispetto degli obblighi assunti, come alleati, con il Patto di Varsavia? No certamente. Questo è piuttosto un tentativo di ostacolare in pratica il funzionamento del meccanismo militare dell’organizzazione del Patto di Varsavia. Non può comportarsi così una contraente degli impegni che si è assunta come alleata.
Così può comportarsi chi viene meno a questi doveri. I membri del Patto di Varsavia non hanno potuto non trarre da ciò adeguate conclusioni.
I fatti degli ultimi tempi dimostrano che in Cecoslovacchia si è verificato un manifesto aumento di interventi antisovietici. Si può ricordare la provocatoria riunione, tenutasi il 2 maggio sulla piazza Staroměstská, dove alcuni oratori si sono fatti avanti con dichiarazioni anti-sovietiche.
Si possono ricordare gli interventi oltraggiosi di Procházka, Hanzelka e di numerosi altri dirigenti della stessa risma. Si possono ricordare numerosi interventi sulla stampa, alla radio e alla televisione, i cui autori avevano fatto tutto il possibile per denigrare le relazioni amichevoli sovietico-cecoslovacche. Nel corso degli ultimi anni persino da parte dei paesi capitalisti erano stati mossi raramente attacchi e offese come quelli pervenuti dalla Cecoslovacchia. I nemici si sono serviti di qualsiasi pretesto – dall’episodio Sejna alla speculazione intorno alle circostanze della morte di Jan Masaryk e alle manovre dell’armata del Patto di Varsavia – per versar olio sul fuoco degli umori anti-sovietici. Si sono avuti casi di diffusione di manifestini antisovietici nelle città, e casi di offesa alla bandiera sovietica. Tali atti, si intende, non hanno potuto contribuire al miglioramento delle nostre relazioni. Nell’interesse di chi erano stati sparsi i semi dell’ostilità verso l’Unione Sovietica? Solo nell’interesse di coloro che vogliono estirpare dalla memoria del popolo cecoslovacco la nostra lotta comune contro l’hitlerismo, nell’interesse di coloro cui non stanno a cuore le conquiste socialiste del popolo ceco e slovacco, nell’interesse di coloro che vorrebbero liquidare le conquiste del socialismo mondiale. L’antisovietismo e l’anticomunismo, come è sempre stato, si completano a vicenda.
I dirigenti dei Partito comunista cecoslovacco non hanno fatto neppure una dichiarazione sulla saldezza dell’amicizia cecoslovacco-sovietica. Al plenum di maggio del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco erano echeggiate calde voci di preoccupazione per lo stato delle nostre relazioni. Ma in Cecoslovacchia non sono state prese effettive misure di lotta contro l’ondata nazionalista borghese, contro gli interventi antisovietici. Certo è possibile pronunciare belle parole sull’amicizia e la solidarietà, sulla fedeltà ai doveri di alleati, ma l’importante non sono le parole, bensì quello che sta dietro di loro, l’importante sono le azioni concrete che seguono alle dichiarazioni. È fuori dubbio che gli ispiratori dell’ostile campagna antisovietica non riescano a far dimenticare questa verità: che la Cecoslovacchia può salvaguardare la propria indipendenza e sovranità solo come paese socialista, come membro della comunità socialista.
Le forze della reazione, sforzandosi di scalzare le relazioni della Cecoslovacchia con l’Unione Sovietica, hanno invece preparato al popolo cecoslovacco un destino di schiavitù e di soggezione all’imperialismo.
V.
Negli ultimi tempi si sono concretate e hanno cominciato a operare attivamente organizzazioni controrivoluzionarie e antisocialiste, aventi una determinata base sociale e il proprio appoggio oltre confine; esse avanzano sempre più apertamente delle pretese verso il regime. In sostanza nel paese si è addensata l’opposizione politica, che era stata chiamata a realizzare in Cecoslovacchia la restaurazione dell’ordine capitalista. Durante 20 anni in Cecoslovacchia sono continuati a esistere partiti non comunisti, entrati nel Fronte nazionale.
La direzione di questi partiti ha seguito la linea di costruzione del socialismo, ha contribuito con la sua attività a trascinare in un lavoro creativo determinate forze non comuniste esistenti nel paese.
Però negli ultimi sette mesi nella linea di questi partiti sono avvenuti mutamenti radicali.
La direzione del partito popolare e socialista ha bruscamente mutato corso, e di fatto, sebbene celandosi dietro lo slogan della collaborazione con il Partito comunista cecoslovacco nella cornice del Fronte nazionale, ha cercato di fondare una opposizione legale.
Nei propri documenti programmatici provvisori la direzione di entrambi i partiti non comunisti ha avanzato la pretesa di una compartecipazione paritaria col partito comunista nella gestione del potere.
Questo succedeva in primavera, ma in luglio ormai più nessuno nascondeva che si trattava di ben altro, cioè di respingere il partito comunista e di fondare una nuova direzione non comunista del paese.
Il ruolo svolto dal partito socialdemocratico cecoslovacco nel passato è abbastanza conosciuto. Spezzando le file della classe lavoratrice, la direzione di destra del partito socialdemocratico cecoslovacco appariva il sostegno più attivo della reazione nella sua lotta contro i comunisti, il baluardo fidato dei ceti borghesi.
Nel 1948, quando eminenti esponenti del partito socialdemocratico cecoslovacco si unirono con i comunisti, il partito socialdemocratico cecoslovacco cessò di esistere. Però nell’anno in corso, nonostante la decisione del Fronte nazionale e del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco contrarie alla fondazione del partito socialdemocratico, esso di fatto si accingeva a ricostituirsi.
Il 12 giugno a Praga fu ampiamente diffuso un documento intitolato “Posizione del Comitato preparatorio cittadino del partito socialdemocratico cecoslovacco a proposito dell’attuale situazione politica”.
Nel documento si constatava che dopo un’interruzione di 20 anni il partito socialdemocratico ritornava alla vita politica, che esso a quel che si dice non era cessato di esistere né dal punto di vista giuridico, né “come espressione di una determinata concreta concezione politica”. L’unificazione con il Partito comunista cecoslovacco nel giugno del 1948 veniva dichiarata “non valida”.
Il 21 giugno di quest’anno a Praga si tenne una riunione del Comitato preparatorio del partito socialdemocratico cecoslovacco, cui parteciparono i rappresentanti dei socialdemocratici della Boemia e della Moravia. Dopo di che furono fondati comitati regionali, distrettuali e centinaia di organizzazioni primarie del partito socialdemocratico. Il partito cominciava ad agire e per di più ad agire contro il partito comunista cecoslovacco. Nel corso degli ultimi 7 mesi in Cecoslovacchia sono sorti svariati gruppi e organizzazioni di impronta antisocialista. Queste organizzazioni si assumevano il ruolo di centri di opposizione e sempre meno celavano il loro scopo, che era la liquidazione del regime socialista. Un’aperta organizzazione controrivoluzionaria era il “Club 231”; a capo di questo club si erano messi uomini come il vecchio fascista Brodský, l’ex generale borghese Paleček, gli agenti dei servizi di informazione imperialisti Rambousek e Čech, a suo tempo giudicati come spie, e altri. Tutti costoro erano esperti, rabbiosi nemici del socialismo.
Un’altra organizzazione chiaramente antisocialista, estremamente attiva e che si sforzava di trascinare nelle proprie file intellettuali, lavoratori e militari, era il “Club degli attivisti apartitici”. L’ideologo del club, Ivan Sviták, era stato espulso nel passato dal partito comunista cecoslovacco. Egli sfruttava la strategia e la tattica di questa organizzazione. Nella sua estesa dichiarazione pubblicata sulla rivista
Reportér, Sviták dava un quadro completo del progressivo allontanamento dei comunisti dal regime e dell’avvento al potere degli anticomunisti attraverso elezioni parlamentarie straordinarie.
Il “Club 231” e il “Club degli apartitici” erano ben lungi dall’essere le uniche organizzazioni di indirizzo antisocialista, ed esse si davano attivamente da fare.
Le organizzazioni antisocialiste in Cecoslovacchia avevano estesissimi legami con i centri d’oltreconfine degli emigrati controrivoluzionari, con partiti e circoli borghesi stranieri.
I dirigenti cecoslovacchi dichiararono che per quanto riguardava le organizzazioni di opposizione sarebbero state prese misure legali. Però non se ne fece nulla. Della gravità della situazione che andava formandosi nel paese, della necessità di misure urgenti per reprimere l’attività delle forze ostili diede una testimonianza particolarmente chiara il fatto della pubblicazione e della vasta propaganda, di schietta estrazione controrivoluzionaria, dell’appello delle “Duemila parole”.
Questo documento, chiaramente indirizzato contro il Partito comunista cecoslovacco, contiene un aperto invito alla lotta contro il potere costituzionale.
Esso fu ampiamente usato per riunire tutti gli scontenti del regime socialista, servì loro come programma di azione. Non si può non attribuire importanza al fatto che gli autori di questa piattaforma ostile minacciavano l’uso delle armi per difendere la propria posizione. L’aperta comparsa di queste forze, cioè il messaggio delle “Duemila parole”, costituiva un valido fondamento per agire decisamente contro di loro, appoggiandosi alle forze del partito e della classe lavoratrice.
Ma non seguì nulla che si potesse chiamare resistenza alle forze controrivoluzionarie. Questo aprì le porte ad altri analoghi interventi, ed essi non si fecero aspettare.
I fatti dimostrano che nelle ultime settimane e negli ultimi giorni la reazione e le organizzazioni antisocialiste hanno rafforzato l’attività sovversiva contro il partito comunista e il regime popolare.
La persecuzione dei comunisti datisi alla nobile causa del socialismo assunse un carattere ancor più smaccato, più sbrigliato.
Sotto lo slogan “Allontanare i conservatori dagli organi del potere statale”, presero ad avanzare sempre più attivamente delle richieste per tenere elezioni anticipate. I rappresentanti delle organizzazioni di destra spinsero le cose fino a questo punto per ottenere con le elezioni la sconfitta del partito comunista.
In altri termini si trattava di un palese tentativo di compiere una svolta controrivoluzionaria.
La controrivoluzione si sforzava di arrivare al potere in silenzio, senza conflitti armati, ma essa aveva previsto anche altre possibilità. I fatti ben noti del rinvenimento di armi nascoste ci dicono che la reazione non escludeva scontri armati con i partigiani del socialismo. Era stata fondata l’unione degli ufficiali dell’ex-armata volontaria cecoslovacca, cioè “l’associazione dei combattenti esteri”. Oltre i confini della Cecoslovacchia, nelle sue immediate vicinanze, si ammassavano e si riunivano grossi gruppi di controrivoluzionari, alcuni dei quali penetravano in Cecoslovacchia portando con sé delle armi.
In una serata all’Università di Praga, Sviták dichiarò apertamente che nell’interesse di portare avanti il principio della democratizzazione fino al conseguimento di “un’assoluta libertà” era lecita anche la via della guerra civile.
VI.
Per effetto dell’azione delle forze di destra, antisocialiste e controrivoluzionarie, in Cecoslovacchia era sorto il pericolo reale di una svolta controrivoluzionaria e di “perdere ciò che il socialismo aveva conquistato”. Proprio ciò è stato il principale motivo di preoccupazione del Partito comunista sovietico e degli altri partiti fratelli per gli avvenimenti politici che accadevano in Cecoslovacchia e per il loro evolversi.
È noto che i comitati centrali del partito comunista bulgaro, del partito operaio socialista ungherese, del partito operaio unificato della Polonia e del partito comunista dell’Unione Sovietica hanno fatto da parte loro tutto il possibile per aiutare, come amici che ne avevano diritto, il Partito comunista cecoslovacco e i popoli della Cecoslovacchia a superare una crisi pericolosa e a impedire che le forze crescenti della controrivoluzione gli infliggessero una sconfitta politica. Dopo gli incontri di maggio dei rappresentanti del Partito comunista sovietico e cecoslovacco a Mosca, il Comitato centrale del Partito comunista sovietico avanzò ripetutamente la proposta di un nuovo incontro bilaterale con la direzione del partito comunista cecoslovacco per sottoporre a esame la situazione che si andava delineando. Però i dirigenti del Partito comunista cecoslovacco lo elusero, adducendo i più svariati motivi.
Fedeli ai principi dell’internazionalismo, mossi da sentimenti di solidarietà con l’amica Cecoslovacchia e di responsabilità per i destini del socialismo sul nostro continente, i dirigenti di tutti i paesi fratelli membri del Patto di Varsavia decisero di incontrarsi con i dirigenti della Cecoslovacchia, per esaminare amichevolmente la situazione che si era formata, indicarne la via d’uscita e offrire loro il proprio aiuto.
Purtroppo i dirigenti del Partito comunista cecoslovacco declinarono questa proposta e non vollero venire a Varsavia. La situazione tuttavia era tale che i partiti fratelli avevano tutte le premesse politiche e morali per portare ugualmente avanti questo incontro.
L’incontro di Varsavia dimostrò la perfetta unità dei cinque partiti comunisti e operai, la loro incrollabile compattezza, la decisione di garantire la resistenza agli intrighi delle forze controrivoluzionarie.
L’analisi degli eventi controrivoluzionari e antisocialisti avvenuti in Cecoslovacchia dimostra in modo convincente che essi avevano un carattere non occasionale ma assai organizzato. In essi erano stati determinati con precisione il momento della comparsa della direzione, dell’obiettivo degli attacchi delle forze antisocialiste; erano state valutate le conseguenze del loro intervento, coordinata l’azione di tutte le forze dei revisionisti di destra all’interno del partito comunista cecoslovacco, degli antisocialisti e dei controrivoluzionari aperti all’interno del paese e gli appoggi dall’esterno.
Tutto questo ci dice che gli eventi erano guidati da forze controrivoluzionarie organizzate, aventi vasti agganci all’interno del paese, le quali dirigevano l’azione delle forze antisocialiste entro i mezzi di comunicazione di massa, tenendosi in relazione con svariati club e con altri partiti. Le forze controrivoluzionarie non si esimevano dall’attaccare anche i principali organismi posti a difesa dello stato.
Gli uomini che attuavano gli scopi controrivoluzionari erano legati ai servizi di informazione stranieri e ai circoli imperialisti d’oltre confine. Inoltre alcuni degli organizzatori delle forze controrivoluzionarie hanno cercato fino all’ultimo di tenersi nell’ombra. Le forze di destra avevano i propri uomini negli organi dirigenti del Partito comunista cecoslovacco, erano ben informate delle loro azioni. Ciò aumentava il pericolo, ed esigeva una lotta decisa di tutto il partito e in primo luogo un’azione efficiente del Presidium del Comitato centrale del partito comunista cecoslovacco e di ogni suo membro e dei membri del governo cecoslovacco. Frattanto si notava che singoli membri del Presidium del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco ed esponenti governativi si discostavano della linea tracciata dal Presidium del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco in ordine ai principali problemi.
Così il membro del Presidium del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco F. Kriegel non solo non si oppose agli elementi antisocialisti, ma in realtà solidarizzò con gli autori di interventi controrivoluzionari di destra, come ad esempio nel caso della sua intervista alla televisione con gli autori delle “Duemila parole”.
Il partito comunista sovietico e gli altri partiti fratelli dei paesi socialisti hanno ripetutamente richiamato su di ciò l’attenzione del direttivo del Partito comunista cecoslovacco. Il nostro tentativo e il tentativo di lotta politica degli altri partiti fratelli e dei paesi socialisti insegna che al pericolo controrivoluzionario non si può voltare le spalle, che su di esso non si può chiudere gli occhi. L’atteggiamento conciliativo, lo sminuire consapevolmente l’importanza e a maggior ragione le civetterie con le forze controrivoluzionarie creano per la reazione la possibilità di spingere le cose fino all’annientamento del socialismo.
Basandosi sull’analisi dei fatti e dei fenomeni avvenuti in Cecoslovacchia, i partiti fratelli hanno sottolineato che in Cecoslovacchia era in atto una vasta offensiva contro il socialismo, in cui il ruolo principale era sostenuto dalle forze della controrivoluzione.
Nell’esecuzione di questo attacco antisocialista si erano attivamente inserite forze imperialiste straniere, forze della controrivoluzione ed elementi revisionisti di destra del Partito comunista cecoslovacco.
I partiti comunisti e operai dei paesi socialisti, sforzandosi di sostenere i fratelli comunisti e tutti i lavoratori della Cecoslovacchia, di scongiurare una svolta pericolosa degli avvenimenti in Cecoslovacchia hanno fatto quanto era possibile fare.
A tal scopo son serviti l’incontro a Čierna nad Tisou fra l’ufficio politico del Comitato centrale del Partito comunista sovietico e il Presidium del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco, e in seguito la conferenza dei sei partiti comunisti e operai dei paesi socialisti, tenutasi a Bratislava.
In questi incontri i rappresentanti del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco assicurarono che essi avrebbero preso immediate e concrete misure per la normalizzazione nel paese, per il rafforzamento e la difesa delle conquiste del socialismo.
Tuttavia dopo gli incontri di Čierna nad Tisou e la conferenza di Bratislava gli organi dirigenti della Cecoslovacchia non fecero niente per opporsi alla controrivoluzione e le forze antisocialiste di destra aumentarono sempre più la propria attività. Queste forze si erano prefisse due scopi ben precisi: privare il partito comunista cecoslovacco del ruolo direttivo nello sviluppo della società socialista, e per questo esse sferrarono un vasto attacco all’autorità del partito, organizzarono contro di esso una rabbiosa campagna di menzogne e di calunnie; disgregare il partito comunista e la società socialista cecoslovacchi facendoli cadere dalla piattaforma ideologica del comunismo scientifico sul terreno del riformismo e della socialdemocrazia, e per questo esse rinnovarono gli attacchi al marxismo-leninismo come dottrina integrale e creativa, e gli attacchi al leninismo; si prefissero come scopo di mutare l’essenza politica della Repubblica socialista cecoslovacca, di ridurla da piattaforma socialista in repubblica borghese, seguendo le rotaie della socialdemocrazia.
L’attuazione di questi scopi risponderebbe appieno agli interessi degli imperialisti. Proprio per questo e non per altro, non per improvviso amore sorto verso il socialismo e la democrazia, verso i lavoratori della Cecoslovacchia, l’allarmante sviluppo degli avvenimenti in Cecoslovacchia è stato così attivamente sostenuto dagli imperialisti e dalla loro propaganda.
Dopo l’incontro di Čierna nad Tisou e la conferenza di Bratislava le forze controrivoluzionarie di destra hanno intensificato ancor più la propria attività. Elementi antisocialisti hanno organizzato campagne per la raccolta di firme che chiedevano lo scioglimento della milizia operaia. Queste campagne sono state accompagnate da comizi e da dimostrazioni di carattere antisocialista.
I comunisti che si facevano avanti in questi comizi erano messi bruscamente a tacere e contro di loro si usava perfino la forza. Sulla stampa si scatenava di nuovo l’isterismo antisocialista. È noto come la reazione abbia fatto rabbiosamente uso dei suoi denti contro 99 operai degli stabilimenti “Auto-Praga”, per il solo fatto che essi si erano fatti coraggiosamente avanti a difendere le conquiste socialiste della classe lavoratrice e l’amicizia dei popoli cecoslovacco e sovietico. Negli ultimi giorni l’attività sovversiva organizzata è giunta al culmine; c’è stato un assalto smascherato all’edificio del segretariato del Comitato centrale del Partito comunista a Praga.
Nel corso degli incontri di Čierna nad Tisou si è rivelata la demarcazione delle forze nel Presidium del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco. Mentre la minoranza dei membri del Presidium, con a capo A. Dubček, interveniva da posizioni di destra chiaramente opportunistiche, la maggioranza occupava la linea principale e dichiarava la necessità di una lotta decisa contro le forze antisocialiste reazionarie, contro le connivenze con la reazione.
Tuttavia gli elementi revisionisti di destra a capo del partito comunista e del governo cecoslovacco hanno fatto fallire l’attuazione degli accordi raggiunti a Čierna nad Tisou e a Bratislava sulla difesa delle posizioni del socialismo in Cecoslovacchia, sulla lotta contro le forze antisocialiste, sulla resistenza agli intrighi dell’imperialismo.
Dichiarando per mascherarsi la propria aspirazione a difendere il socialismo, queste persone, di fatto, hanno tentato soltanto di guadagnar tempo indulgendo alla controrivoluzione. In seguito alle loro azioni sleali e proditorie è sorto un reale pericolo per le conquiste socialiste della Cecoslovacchia. Nell’arena della vita politica della Cecoslovacchia è comparsa un’accanita reazione.
“Le forze estremiste – si sottolinea nel messaggio del gruppo dei membri del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco, del governo e dell’Assemblea nazionale della Cecoslovacchia – in tal modo non hanno esaudito gli appelli del partito, e anzi intensificano ancor più la propria attività sovversiva, sforzandosi di provocare nel nostro paese un conflitto a qualunque costo”. Si era messo sulla carta tutto quello che i lavoratori cecoslovacchi hanno realizzato negli ultimi 20 anni, tutte le conquiste del socialismo. Si era attentato non solo alla via della democrazia socialista, intrapresa in gennaio dal popolo cecoslovacco, ma ai fondamenti stessi del socialismo, alla repubblica stessa.
Si era creata un’atmosfera assolutamente inammissibile per dei paesi socialisti. In tale circostanza bisognava agire e agire decisamente e con fermezza senza perder tempo. Proprio per questo l’Unione Sovietica e gli altri stati socialisti hanno deciso di soddisfare la richiesta dei dirigenti del partito e dello stato cecoslovacco di fornire all’amico popolo cecoslovacco un immediato aiuto, compreso l’aiuto militare.
Il destino della Cecoslovacchia socialista sta molto a cuore ai popoli di tutti i paesi socialisti. Essi non possono essere d’accordo col fatto che i nostri nemici comuni distolgono la Cecoslovacchia dalla via del socialismo, minaccino di distaccarla dalla cooperazione socialista.
Troppo pesanti sacrifici hanno sopportato i nostri popoli, troppo sangue hanno versato nell’atroce lotta dell’ultima guerra, nella lotta di liberazione sociale e nazionale, per tollerare che la controrivoluzione strappi la Cecoslovacchia dai sette stati socialisti.
La difesa del socialismo non è soltanto una questione interna del popolo di questo paese, ma anche un problema di difesa delle posizioni del socialismo mondiale. Proprio per questo noi prestiamo il nostro appoggio ai popoli della Cecoslovacchia nella difesa delle conquiste del socialismo. Recando un fraterno sostegno ai nostri compagni cecoslovacchi, cioè ai comunisti, a tutto il popolo cecoslovacco, noi adempiamo il nostro dovere internazionale di fronte a loro, di fronte al movimento comunista operaio internazionale e al movimento di liberazione nazionale.
Questo dovere per noi è superiore a tutto.
Edited by Andrej Zdanov - 27/10/2013, 20:20