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Posts written by Alaricus Rex

view post Posted: 24/4/2013, 22:59 Discussione del 22 febbraio 1950 - Cinque conversazioni con economisti sovietici

Discussione del 22 febbraio 1950
Ore 23 e 15 minuti


Vi sono due varianti del progetto di manuale sull’economia politica. Non esiste, tuttavia, alcuna differenza di principio fra le due varianti nel modo di affrontare le questioni dell’economia politica e nelle interpretazioni di queste questioni. Non vi è, dunque, alcun fondamento perché vi siano due varianti. C’è la variante di Leontiev, ed essa va presa come base.
Nel manuale dobbiamo fornire una critica concreta delle attuali teorie dell’imperialismo americano. Su questa questione sono stati pubblicati degli articoli in Bolshevik e in Voprosi ekonomiki.
Le persone che ignorano l’economia non distinguono fra la Repubblica Popolare Cinese e le democrazie popolari dell’Europa centrale e meridionale, per esempio la Repubblica Democratica Popolare di Polonia. Sono cose diverse.
Che cos’è una democrazia popolare? Essa contiene almeno le seguenti caratteristiche: 1) Il potere politico nelle mani del proletariato; 2) La nazionalizzazione dell’industria; 3) Il ruolo di direzione dei Partiti Comunisti e Operai; 4) La costruzione del socialismo non solo nelle città, ma anche nelle campagne. In Cina non possiamo parlare di costruzione del socialismo né nelle città, né nelle campagne. Alcune imprese sono state nazionalizzate, ma sono una goccia nell’oceano. La massa principale delle materie prime industriali per la popolazione è prodotta dagli artigiani. Vi sono circa 30 milioni di artigiani in Cina. Fra i paesi di democrazia popolare e la Repubblica Popolare Cinese vi sono alcune importanti disparità: 1) In Cina esiste una dittatura democratica del proletariato e dei contadini, qualcosa di simile a quella di cui i bolscevichi parlavano nel 1904-1905. 2) In Cina esisteva l’oppressione della borghesia straniera, e per questo motivo la borghesia nazionale in Cina è parzialmente rivoluzionaria; è quindi ammissibile una coalizione con la borghesia nazionale, e in Cina i comunisti e la borghesia formano un blocco. La cosa non è innaturale. Anche Marx nel 1848, quando dirigeva la Neue Rheinische Zeitung, formò una coalizione con la borghesia, ma non per lungo tempo. 3) In Cina stanno ancora affrontando il compito della liquidazione dei rapporti feudali, e in questo senso la rivoluzione cinese ci ricorda la Rivoluzione francese del 1789. 4) La caratteristica particolare della rivoluzione cinese consiste nel fatto che il Partito comunista è alla testa dello Stato.
Possiamo dire, perciò, che in Cina esiste una repubblica democratico-popolare, ma solo nella sua prima tappa di sviluppo.
La confusione su questa questione è dovuta al fatto che i nostri quadri non hanno una profonda preparazione economica.
Viene deciso di raccomandare alla Commissione di cui fanno parte i compagni Malenkov, Leontiev, Ostrovityanov e Yudin di portare a termine la modifica del progetto di manuale nel periodo di un mese.

Testo redatto secondo gli appunti dei compagni [L. A.] Leontyev, [K. V.] Ostrovityanov, e [P. E] Yudin.
view post Posted: 24/4/2013, 22:56 Discussione del 29 gennaio 1941 - Cinque conversazioni con economisti sovietici

Discussione del 29 gennaio 1941


Sull’oggetto dell’economia politica
Vi sono molte definizioni dell’oggetto dell’economia politica: la definizione di Engels che considera l’economia politica come la scienza della produzione, dello scambio e della distribuzione; la definizione data da Marx nelle note preparatorie al Capitale; il punto di vista di Lenin, che accetta la definizione data da Bogdanov nel 1889. Abbiamo una quantità di topi di biblioteca, che cercheranno di contrapporre una definizione a un’altra. Siamo innamorati delle citazioni; e le citazioni sono un segno della nostra ignoranza. Ecco perché dobbiamo riflettere in modo rigoroso sulla giusta definizione dell’oggetto dell’economia politica, e poi introdurla rimanendo fedeli ad essa.
Se scriviamo che l’economia politica è la scienza dei modi di produzione sociale nel loro sviluppo storico, la gente allora non capirà subito che stiamo parlando dell’economia e dei rapporti fra le persone. E’ meglio dire che l’economia politica è la scienza dello sviluppo dei rapporti sociali di produzione, cioè dei rapporti economici fra le persone. Questa definizione spiega le leggi che regolano la produzione e la distribuzione dei mezzi necessari per il consumo degli individui e per la produzione. Quando parlo di distribuzione, ho in mente non la comune nozione di distribuzione nel senso ristretto del termine, cioè la distribuzione dei mezzi di consumo individuali. Parliamo della distribuzione nel senso in cui il termine è stato usato da Engels nell’Antidhüring, là dove analizza la distribuzione come forma di proprietà dei mezzi di produzione e dei beni di consumo individuali.
Nella pagina successiva, dopo la fine del secondo capoverso, dobbiamo aggiungere le seguenti parole: «cioè, come sono distribuiti fra i membri della società i mezzi di produzione e, successivamente, anche i beni materiali necessari alla vita della popolazione».
Conoscete certamente i lavori preparatori di Marx per il quarto volume del Capitale. Ivi trovate la definizione dell’oggetto dell’economia politica. Quando Marx parla di produzione, include in essa il trasporto (indipendentemente dal fatto che si tratti di trasporto a lunga o a breve distanza, del trasporto di cotone dal Turkestan o del trasporto interno a una fabbrica). Con Marx tutti i problemi della distribuzione sono inclusi nel concetto di produzione. Cosa ne pensano i presenti? La definizione qui delineata è giusta?
Osservazione: Senza dubbio, i cambiamenti proposti costituiscono un miglioramento fondamentale.
Domanda: E’ giusto usare, nella definizione, le parole «rapporti sociali di produzione»? La parola «sociali» non è qui irrilevante? Dopo tutto, la produzione è anche sociale. Non avremo una tautologia?
Risposta: No, dobbiamo scrivere «social-produttivi» con un trattino; poiché, dopo tutto, possono esistere anche dei rapporti tecnici di produzione, dobbiamo parlare qui specificamente di rapporti sociali di produzione.
Domanda: Non sarebbe più appropriato parlare di consumo «individuale e produttivo», anziché usare le parole «individui» e «produzione»?
Dopo un breve scambio di opinioni, vengono scritte le parole «individui» e «produzione».
Se accettiamo la formulazione proposta dell’oggetto dell’economia politica, dobbiamo allora concludere che dev’essere dedicata molta maggiore attenzione al problema della distribuzione in tutte le formazioni sociali. Invece, pochissimo qui viene detto a proposito delle banche, della Borsa e dei mercati. Questo non va. In particolare, ne soffre anche la sezione sul socialismo.
A pag. 5 vi sono delle improprietà stilistiche, che debbono essere eliminate. E’ scritto: «è una scienza storica, esaminante e spiegante i diversi modi di produzione e spiegante le caratteristiche che distinguono ognuno di essi». Dovrebbe essere scritto in corretta lingua russa: «non «esaminante» e «spiegante», ma la scienza «che esamina e spiega».

Sulla legge del valore
Vengo alla sezione sul socialismo. Poche cose sono state migliorate, e molte invece sono state guastate rispetto a quel che c’era prima in questa sezione.
E’ scritto qui che la legge del valore è stata superata. Diventa allora incomprensibile da dove derivi la categoria del costo, senza il quale non possiamo calcolare, non possiamo distribuire secondo il lavoro, e non possiamo fissare i prezzi. La legge del valore non è stata ancora superata. Non è vero che dirigiamo con l’aiuto dei prezzi; vogliamo dirigere, ma non siamo in grado di farlo. Per poter dirigere con l’aiuto dei prezzi, debbono esistere delle enormi riserve, una grande abbondanza di merci. Solo in tal caso possiamo dettare i nostri prezzi. Finché esistono un mercato illegale e un mercato delle fattorie collettive, esisteranno i prezzi di mercato. Se non esiste alcun valore, non esiste nulla con cui misurare i redditi. I redditi non sono misurati dal lavoro. Quando cominceremo a distribuire secondo i bisogni, allora sarà tutta un’altra questione. Ma, per il momento, la legge del valore non è stata superata. Vogliamo utilizzarla consapevolmente. Siamo costretti a fissare i prezzi nell’ambito di questa legge. Nel 1940 il raccolto fu inferiore (in Russia – red.) rispetto all’Estonia e alla Lettonia. Non c’era abbastanza pane, e i prezzi subirono un forte aumento. Gettammo sul mercato circa 200.000 pud di pane e i prezzi scesero immediatamente. Ma possiamo far questo con tutte le merci in tutto il paese? No, siamo ben lontani dal poter dettare i prezzi per tutte le merci. A tal fine, dobbiamo produrre moltissimo, molto più di ora. Attualmente non siamo in grado di dirigere con l’aiuto dei prezzi. E anche il reddito proveniente dalle vendite nel mercato delle fattorie collettive va ai contadini delle fattorie collettive. Ovviamente da noi non è possibile acquistare mezzi di produzione con questo reddito, ed esso va ad accrescere i consumi individuali.
Nel manuale si fa strada una propaganda da manifesti. Questo non va. Un economista dovrebbe studiare i fatti, e qui tutt’a un tratto si legge: «i traditori trotskisti-buchariniani». Che bisogno c’è di menzionare che i tribunali hanno stabilito questa e quest’altra cosa? Che c’entra con l’economia? Eliminare la propaganda. L’economia politica è una cosa seria.
Voce: Fu scritto molto tempo fa, quando quel processo era ancora in corso.
Risposta: Quando è stato scritto è irrilevante. Ora è stata presentata la nuova edizione, ed è di questa che ci occupiamo. Qui è del tutto fuori luogo. Nella scienza facciamo appello alla ragione, e qui si fa appello a qualcosa di viscerale. e a qualcosa di peggio ancora. Ciò rovina il lavoro.

Sulla pianificazione
Sulla pianificazione economica è stata accumulata una quantità di parole da far paura. Che cosa non è stato scritto! «Carattere direttamente sociale del lavoro nella società socialista. Superamento della legge del valore ed eliminazione dell’anarchia della produzione. Gestione pianificata dell’economia come mezzo per far sì che i rapporti di produzione del socialismo siano conformi alla natura delle forze produttive». Viene raffigurata una sorta di economia pianificata impeccabile. Laddove si potrebbe dire semplicemente: sotto il capitalismo non è possibile gestire la produzione su scala globale, sotto il capitalismo c’è la concorrenza, c’è la proprietà privata che divide, mentre nel nostro sistema le imprese sono unite sulla base della proprietà socialista. L’economia pianificata non è qualcosa che noi desideriamo, è un’inevitabilità, altrimenti tutto crollerebbe. Abbiamo distrutto quei barometri borghesi che sono i mercati e le Borse, con l’aiuto dei quali la borghesia corregge le sproporzioni. Abbiamo caricato tutto sulle nostre spalle. L’economia pianificata nel nostro sistema è altrettanto inevitabile come il consumo del pane. Ed è così non perché siamo dei «bravi ragazzi», non perché noi siamo capaci di far tutto e loro no, ma perché nel nostro sistema le imprese sono integrate. Nel loro sistema l’integrazione è possibile solo all’interno dei trust e dei cartelli, cioè entro limiti ristretti, mentre essi sono incapaci di organizzare un’economia di tutto il popolo. (E’ opportuno qui ricordare la critica di Lenin alla teoria kautskyana del superimperialismo). Il capitalista non può gestire l’industria, l’agricoltura e i trasporti secondo un piano. Sotto il capitalismo la città deve divorare la campagna. La proprietà privata costituisce un ostacolo. Perciò dite semplicemente: nel nostro sistema c’è integrazione, nel loro sistema c’è divisione. Qui (p. 369) è scritto: «il funzionamento pianificato dell’economia come mezzo per rendere conformi i rapporti di produzione del socialismo al carattere delle forze produttive». Sono tutte sciocchezze, chiacchiere da scolaretti. (Marx ed Engels hanno parlato molto tempo fa, e hanno dovuto parlare di contraddizioni).
Dite semplicemente: nel loro sistema vi è divisione nell’economia, la forma della proprietà genera divisioni; nel nostro sistema c’è integrazione. Voi siete al timone, il potere è vostro. Parlate con semplicità.
Dobbiamo definire esattamente gli obiettivi della pianificazione centrale. Essa non deve stabilire soltanto le proporzioni. Le proporzioni non hanno un’importanza centrale. Sono essenziali, ma sono ancora secondarie.
Quali soni i principali obbiettivi della pianificazione?
Il primo obbiettivo consiste nel pianificare in modo da assicurare l’indipendenza dell’economia socialista dall’accerchiamento capitalistico. Questo è obbligatorio, ed è la cosa più importante. E’ una forma di lotta contro il mondo capitalistico. Dobbiamo garantire di avere metalli e macchine nelle nostre mani per non diventare un’appendice del sistema capitalistico. E’ questa la base della pianificazione. E’ questo l’obbiettivo centrale. Il GOELRO e i piani Successivi furono progettati su questa base.
Come organizzare la pianificazione? Nel loro sistema il capitale si distribuisce spontaneamente nei vari settori dell’economia secondo i profitti. Se noi sviluppassimo i vari settori secondo la loro profittabilità, avremmo un settore molitorio sviluppato, una produzione di giocattoli (sono costosi e rendono elevati profitti), un settore tessile, ma non avremmo un’industria pesante, che richiede grossi investimenti e all’inizio produce in perdita. Abbandonare lo sviluppo dell’industria pesante è ciò che avevano proposto i seguaci di Rykov. Noi abbiamo capovolto le leggi di sviluppo dell’economia capitalistica, le abbiamo poste sulla testa, o per meglio dire sui piedi. Abbiamo cominciato con lo sviluppo dell’industria pesante e con la costruzione di macchine. Senza pianificazione dell’economia, nulla potrebbe funzionare.
Come vanno le cose nel loro sistema? Alcuni Stati ne depredano altri, saccheggiano le colonie e ne traggono dei prestiti forzati. Da noi le cose vanno altrimenti. La cosa fondamentale nella pianificazione consiste nel non diventare un’appendice del sistema mondiale capitalistico.
Il secondo obbiettivo della pianificazione consiste nel rafforzare l’egemonia assoluta del sistema economico socialista e nel chiudere tutte le sorgenti e le aperture da cui trae origine il capitalismo. Una volta, Rykov e Trotsky avevano proposto di chiudere le imprese avanzate e dirigenti (la fabbrica Putilov e altre) perché non remunerative. Far questo avrebbe significato «calare la saracinesca» sul socialismo. Gli investimenti sarebbero andati allora all’industria molitoria e alla produzione di giocattoli perché danno profitti. Non potevamo seguire questa strada.
Il terzo obbiettivo della pianificazione consiste nell’evitare le sproporzioni. Ma poiché l’economia ha dimensioni enormi, sono sempre possibili delle rotture. Abbiamo bisogno, quindi, di ingenti riserve: non solo di fondi, ma anche di forza-lavoro.
Dovremmo fornire qualcosa di nuovo al lettore, e non continuare a ripetere all’infinito della correlazione fra rapporti di produzione e forze produttive. Non produce alcun risultato, Non c’è alcun bisogno di esagerare nel tessere le lodi del nostro sistema attribuendogli risultati che non ci sono. Il valore esiste ed esiste la rendita differenziale, ma sono utilizzati in modo diverso. Stavo pensando alla categoria del profitto: dobbiamo lasciarla fuori o conservarla?
Osservazione: Sarebbe forse meglio usare la parola «reddito»? Molotov: Vi sono diverse specie di reddito.
Osservazione: [N. A. Voznesensky – red.] Forse «accumulazione socialista»?
Risposta: Se il profitto non viene spremuto, non c’è accumulazione. Il profitto è un risultato della produzione.
Domanda: Nel manuale si deve dire che esiste un sovraprodotto nella società socialista? Ci sono state opinioni diverse in proposito nella Commissione.
Molotov: Dobbiamo educare i lavoratori in modo che sappiano che essi lavorano per l’intera società e non solo per le loro famiglie.
Risposta: Senza sovraprodotto non è possibile costruire il nuovo sistema. E’ necessario che i lavoratori capiscano che sotto il capitalismo essi sono interessati a quel che possono ricavarne. Nel socialismo, invece, essi si prendono cura dell’intera società, ed è questo che educa il ‘lavoratore. Il reddito rimane, ma acquista un altro carattere. Il sovraprodotto esiste, ma esso non finisce nelle mani dello sfruttatore; esso va ad accrescere il benessere della popolazione, a rafforzare la difesa, ecc. Il sovraprodotto viene trasformato.
Nel nostro paese la distribuzione è effettuata secondo il lavoro. Abbiamo un lavoro qualificato e un lavoro non qualificato. Come dobbiamo definire il lavoro di un ingegnere? E’ lavoro semplice moltiplicato. Da noi i redditi sono distribuiti secondo il lavoro. Questa distribuzione non deve avvenire indipendentemente dalla legge del valore. Noi pensiamo che l’intera economia sia gestita secondo un piano, ma non è sempre così; anche da noi esiste molta spontaneità. Noi facciamo consapevolmente, e non spontaneamente, i calcoli secondo la legge del valore. Nel loro sistema la legge del valore opera spontaneamente, con effetti distruttivi, e comporta enormi sacrifici. Nel nostro sistema il carattere della legge del valore subisce un cambiamento, acquista un nuovo contenuto. Noi fissiamo i prezzi in modo consapevole, non spontaneamente. Engels parla di salti. E’ una formula rischiosa, ma può essere accettata, se intendiamo correttamente il salto dal regno della necessità al regno della libertà. Dobbiamo intendere la libertà del volere come necessità riconosciuta, in cui il salto significa passaggio dall’inevitabilità spontanea al riconoscimento della necessità. Nel loro sistema la legge del valore opera spontaneamente e conduce a distruzioni su larga scala. Ma noi dobbiamo dirigere le cose in modo che vi siano meno sacrifici. La necessità che risulta dall’operatività della legge del valore dev’essere utilizzata da noi coscientemente.
Domanda: Nella Commissione vi sono state incomprensioni e discussioni sulla questione se vi siano merci nell’economia sovietica. L’autore, contro l’opinione della maggioranza della Commissione, non parla di merci, ma di prodotti.
Risposta: Dal momento che abbiamo un’economia monetaria, abbiamo anche delle merci. Tutte le categorie rimangono, ma hanno acquistato un nuovo carattere. Il denaro, nel loro sistema, serve da mezzo di sfruttamento, mentre nel nostro sistema ha un contenuto diverso.
Domanda: Finora la legge del valore era interpretata come una legge operante in un mercato spontaneo che determina una distribuzione spontanea della forza-lavoro.
Risposta: Questo non è giusto. Non si deve restringere l’ambito di formulazione della questione. Trotsky più volte affermò che il denaro doveva essere limitato a un puro strumento di calcolo. Insisté su questa sua idea sia prima che dopo il passaggio alla NEP. E’ un’idea sbagliata.
Gli rispondevamo: quando un lavoratore compra qualcosa, si limita a calcolare con l’aiuto del denaro, o fa qualcos’altro? Lenin più volte sottolineò nell’Ufficio Politico che questo modo di formulare il problema è sbagliato, che non si deve limitare il ruolo del denaro considerandolo soltanto uno strumento di calcolo,
Osservazione: Sovraprodotto in una società socialista: il termine sembra imbarazzante.
Risposta: Al contrario, dobbiamo spiegare al lavoratore che il sovraprodotto è necessario da noi. C’è più responsabilità; il lavoratore deve capire che non produce soltanto per sé e per la sua famiglia, ma anche per creare riserve, rafforzare la difesa, e così via.
Osservazione: Nella Critica al programma di Gotha Marx non parla di sovraprodotto.
Risposta: Se volete cercare le risposte a tutto in Marx, non andrete da nessuna parte. Avete di fronte a voi un laboratorio come l’URSS che esiste ormai da più di vent’anni, ma pensate che Marx dovesse saperne più di voi sul socialismo. Non capite che nella Critica al programma di Gotha Marx non era in grado di fare previsioni. E’ necessario usare la propria testa e non mettere insieme citazioni. Vi sono fatti nuovi, c’è una nuova combinazione di forze, e – se non vi dispiace – bisogna usare il proprio cervello.

Sui salari e sulla giornata lavorativa
Poche parole sui salari, la giornata lavorativa e i redditi degli operai, dei membri delle fattorie collettive e degli intellettuali. Nel manuale non si tiene conto che le persone vanno a lavorare non solo perché i marxisti sono al potere e c’è un’economia pianificata, ma anche perché questo è nel loro interesse e noi abbiamo compreso qual è questo interesse. I lavoratori non sono degli idealisti o delle persone ideali. C’è chi pensa che sia possibile gestire l’economia sulla base dell’egualitarismo. Abbiamo avuto teorie del genere: salari collettivi, comuni di produzione. Non farete progredire la produzione con tutto questo. Il lavoratore realizza e supera il piano perché c’è il cottimo per gli operai, un sistema di premi per il personale di supervisione e pagamenti straordinari per i colcosiani che lavorano meglio. Recentemente abbiamo promulgato la legge per l’Ucraina.
Vi citerò due casi. Nell’industria carbonifera si era creata, alcuni anni fa, una situazione nella quale coloro che lavoravano in superficie guadagnavano di più rispetto a quelli che lavoravano nelle miniere. L’ingegnere che sedeva in ufficio guadagnava una volta e mezza di più dei minatori. I membri della direzione, dell’amministrazione, vogliono attirare i migliori ingegneri nei loro stabilimenti, e si schierano quindi dalla loro parte. Ma perché il lavoro vada avanti, è necessario che la gente vi abbia interesse. Quando aumentammo i salari per gli operai che lavoravano sottoterra, solo allora il lavoro progredì. La questione dei salari ha un’importanza centrale.
Faccio un altro esempio: la produzione di cotone. Da quattro anni sta facendo grandi progressi solo perché il sistema di pagamento dei premi è stato rivisto. Più i lavoratori producono per unità di terra, più guadagnano. Adesso hanno un interesse.
La legge sui premi per i membri delle fattorie collettive in Ucraina è di eccezionale importanza. Se tenete conto degli interessi delle persone, esse progrediscono, migliorano la loro qualificazione, lavorano meglio, e vedranno chiaramente che questo darà loro di più. C’è stato un tempo nel quale un lavoratore intellettuale o qualificato era considerato idoneo ad essere solo un reietto sociale. Questa era la nostra stupidità; non c’era allora nessuna seria organizzazione della produzione.
La gente parla delle sei condizioni di Stalin. Guardate un po’, che novità! Quello che si dice lì è quello che è noto in tutto il mondo, ma che da noi era stato dimenticato. Cottimo per l’operaio, sistema di premi per gli ingegneri e i tecnici, e premi per i lavoratori delle fattorie collettive: sono queste le leve dello sviluppo industriale e agricolo. Fate uso di queste leve, e non vi sarà limite all’incremento della produzione; senza di esse, non si realizzerà nulla. Engels ha creato molta confusione in proposito. Ci fu un tempo in cui ci vantavamo che lo staff tecnico e gli ingegneri avrebbero ricevuto non più di quanto ricevono gli operai qualificati. Engels non aveva una vera conoscenza della produzione, e anche lui ci ha confuso le idee. E’ ridicola anche l’altra opinione secondo cui i più alti dirigenti amministrativi dovrebbero essere cambiati abbastanza spesso. Se avessimo agito in questo modo, tutto sarebbe stato perduto. Voi volete saltare direttamente al comunismo. Marx ed Engels scrissero avendo in mente il comunismo integrale. La transizione dal socialismo al comunismo è una faccenda terribilmente complicata. Il socialismo non è ancora entrato nella nostra carne e nel nostro sangue; dobbiamo ancora organizzare bene le cose nel socialismo, dobbiamo ancora organizzare bene la distribuzione secondo il lavoro.
C’è sporcizia nelle nostre fabbriche, ma vogliamo arrivare direttamente al comunismo. Ma chi mai vi ci farà entrare? Stiamo affondando nella sporcizia e vogliamo il comunismo. Circa due anni fa, in una grande fabbrica cominciarono ad allevare del pollame: polli e oche. Dove ci porterà tutto questo? Alla gente sudicia non dovrebbe essere consentito l’ingresso nel comunismo. Smettiamola di comportarci come maiali. E solo allora parliamo di ingresso nel comunismo. Engels voleva arrivare direttamente al comunismo. Si lasciò trasportare dall’entusiasmo.
Molotov: A p. 33 è scritto: «Il vantaggio fondamentale dell’artel consiste nel fatto che esso combina giustamente l’interesse individuale dei colcosiani con i loro interessi sociali». Questa formulazione del problema elude la questione. Cosa significa «combinare giustamente l’interesse individuale dei colcosiani con i loro interessi sociali»? E’ una frase vuota, che ha pochissima sostanza concreta. E’ qualcosa di simile a «tutto ciò che esiste è razionale». In realtà, le cose stanno in modo ben diverso. In linea di principio abbiamo trovato una giusta soluzione di questi problemi, ma nella pratica c’è una quantità di cose sbagliate e fuori luogo. Questo dev’essere spiegato. L’economia sociale dev’essere messa al primo posto.
E’ necessario anche trattare la questione dei salari a cottimo. C’è stato un tempo in cui questa questione era molto complicata: il salario a cottimo non era capito. Le delegazioni di operai in visita nel nostro paese, per esempio quella dei sindacalisti francesi, chiedevano perché noi sostenevamo il lavoro a cottimo e il sistema dei premi: nelle condizioni del capitalismo gli operai lottano contro tutto questo. Adesso tutti capiscono che, senza un sistema di retribuzioni progressive e senza il sistema del cottimo, non vi sarebbero stati gli stakhanovisti e gli operai di avanguardia. In linea di principio, la questione è chiara. Ma in pratica stanno succedendo da noi moltissime cose spiacevoli. Nel 1949 [sic - red.] siamo stati costretti a fare macchina indietro e a ripristinare le decisioni del 1933. La spontaneità ci sta spingendo dalla parte opposta. Gli alti dirigenti amministrativi vogliono al loro fianco i migliori ingegneri. Non siamo ancora cresciuti al punto di diventare come vorremmo essere. Si continua a colorare la nostra realtà, e non siamo affatto diventati così puliti e ordinati come vorremmo. Dobbiamo criticare la nostra pratica.

Sul fascismo
Ancora qualche osservazione sulla filosofia fascista. Essi scrivono che da loro c’è il socialismo. Ciò ha bisogno di essere denunciato in termini economici. Hitler dice: «Lo Stato, il Popolo! I nostri capitalisti ricevono solo l’8 %. E’ sufficiente per loro!» Nel formulare il problema bisogna gettare luce sulla questione della concorrenza e dell’anarchia della produzione, con i tentativi, da parte dei capitalisti, di superare la concorrenza con l’aiuto della teoria dell’ultraimperialismo. Bisogna dimostrare che sono condannati all’insuccesso. Stanno propagandando un sistema corporativo, come qualcosa che sta al di sopra della classe operaia e dei capitalisti e con lo Stato che si prende cura dei lavoratori. Arrivano persino ad arrestare alcuni capitalisti (anche se Thyssen è riuscito a scappare). Si dovrebbe dire che in tutto questo c’è molta demagogia, che si tratta semplicemente della pressione dello Stato borghese su singoli capitalisti che non vogliono sottomettersi alla disciplina della loro classe. Si dovrebbe subito farne menzione nella sezione sulla cartellizzazione e sui loro falliti tentativi di pianificazione. Menzionarlo di nuovo nella sezione sul socialismo. Nel vostro sistema, signori fascisti, a chi appartengono i mezzi di produzione? Ai singoli capitalisti e a gruppi di capitalisti; perciò non potete avere un’autentica pianificazione, fatta eccezione per qualche briciola, e l’economia è divisa fra gruppi di proprietari.
Domanda: Dobbiamo usare il termine «fascisti»?
Risposta: Chiamateli col nome che essi stessi si danno: gli italiani, fascisti, e i tedeschi, nazionalsocialisti.
In questa stessa stanza ho avuto un colloquio con [H. G.] Wells. Egli mi diceva di non essere né per gli operai al potere, né per i capitalisti al potere; vorrebbe che fossero i tecnici a dirigere. Diceva che dava il suo appoggio a Roosevelt, che egli conosce bene; diceva che era una persona per bene e leale verso la classe operaia. Idee meschine sulla riconciliazione delle classi esistono e sono diffuse fra la piccola borghesia. Queste idee hanno acquistato un particolare significato con i fascisti.
Sul punto in cui parlate degli utopisti. Qui si dovrebbe menzionare criticamente anche l’idea della riconciliazione fra le classi. C’è, ovviamente, una differenza fra il modo in cui la questione è posta dagli utopisti e il modo in cui la pongono i fascisti (una differenza che va a favore degli utopisti), ma il problema non dev’essere eluso. Owen se la prenderebbe molto male se fosse posto sullo stesso piano dei fascisti, ma anche Owen dev’essere criticato.
Lo stile ingiurioso dev’essere eliminato da tutto il libro. Non convincerete nessuno con le offese. Ben presto otterrete il risultato opposto. li lettore diventerà diffidente: «Poiché l’autore ricorre alle ingiurie, vuol dire che non tutto è limpido».
Si dovrebbe scrivere in modo da non dare l’impressione che nel loro sistema tutto va male, e che nel nostro tutto va bene. Non si devono abbellire le cose.
Osservazione: Qui è scritto che lo Stato formula il piano per quasi ogni individuo.
Risposta: E’ una sciocchezza. C’è, nel complesso, un gran filosofeggiare nella sezione sul socialismo. Si dovrebbe scrivere in modo più semplice.
Domanda: Il titolo del capitolo «La preparazione del modo di produzione capitalistico» è giusto? Non diamo una certa impressione che esso fosse preparato consapevolmente?
Risposta: E’ una questione terminologica. Si può certamente usare la parola «preparato». Il problema reale è quello della nascita e della creazione delle precondizioni.
Vi è poi un’altra questione concernente la preparazione del modo di produzione socialista. Qui si dice che il socialismo non nasce all’interno del capitalismo. E’ necessario spiegare che le precondizioni materiali sono create nell’ambito del capitalismo, che le precondizioni oggettive e soggettive sono create nell’ambito del capitalismo. Non si deve dimenticare che siamo emersi dal capitalismo.

Testo redatto secondo gli appunti dei compagni [L. A.] Leontiev, [K. V.] Ostrovityanov, [A. I.] Pashkov.
view post Posted: 24/4/2013, 14:48 Una lettera da Mosca - Scritti di altri autori
CITAZIONE
No altrimenti Mao avrebbe potuto optare in una rivoluzione su modello russo ,...

Come mai non ha potuto compiere una rivoluzione "su modello russo"? Perché non vi erano le basi socio-economiche per farlo, perché la Cina era un paese molto più arretrato della Russia. Dunque, stai di fatto legando strettamente la condizione di anello debole della catena imperialistica ad un certo grado di sviluppo economico del paese e al conseguente ordinamento di classe della società. "Il crollo del sistema capitalistico mondiale è cominciato dai sistemi economici nazionali più deboli" (N. Bukharin, L'economia del periodo di transizione). Tale tesi fu criticata da Lenin nelle sue annotazioni critiche al testo bukhariniano.

CITAZIONE
e anche della lotta di classe . Allora perchè giuseppe si spese cosi tanto a lottare contro trotzky che voleva esportare la rivoluzione ? il PDPA poteva impostare anche un regime di nuova democrazia , un po come fanno ora in nepal , infatti L'afghanistan era largamente feudale , la monarchia era crollata da soli 5 anni , ( Lenin non a caso dopo la vittoria elaborava la NEP) oppure iniziare una guerriglia contro il potere centrale di daudh khan sobbillando le masse contadine e facendogli capire autonomamente l'importanza della lotta al latifondismo .

Escludendo il periodo del sabotaggio di Amin, i comunisti afghani non collettivizzarono immediatamente la terra, ma formarono delle cooperative su base volontaria e, addirittura, fornirono sostegno anche all'economia privata. Non si trattava evidentemente di un tentativo di instaurare il socialismo subito, bensì di una rivoluzione democratica e nazionale.

CITAZIONE
Anchio sono contro la nazificazione dell'URSS ma si chiama socialimperialismo voler esportare forzatamente la rivoluzione , in questo modo perdo il favore delle masse , che è vitale . Un conto poteva essere avanzare nel 39 seguendo un principio machiavellistico : cioè tenere lontano hitler che costituiva una minaccia reale , un conto invece è scontrarsi con un paese in fermento e voler piegare gli eventi a proprio favore senza tenere conto delle masse. Perche alla fine decidono sempre loro

Sottoscrivo interamente quanto detto dal compagno Leonardo, aggiungendo che ancor prima che un diritto l'aiuto internazionalista ai comunisti degli altri paesi è un dovere inderogabile.
La rivoluzione era già scoppiata e aveva vinto in Afghanistan, senza sobillazioni dall'esterno, per ammissione degli stessi imperialisti americani.
Le masse non hanno sempre ragione; nemmeno Mao lo credeva (cfr. le sue annotazioni critiche all'ultima opera di Stalin).

Edited by Andrej Zdanov - 24/4/2013, 18:26
view post Posted: 23/4/2013, 16:13 Una lettera da Mosca - Scritti di altri autori
CITAZIONE
L'afghanistan non era un anello debole della catena imperialistica anche se aveva influenze straniere : un pò come la Cina largamente contadina .

Dunque, la Cina non era un anello debole della catena imperialistica?

CITAZIONE
Chi conosce bene la storia della guerra sa che i mujaedin erano contadini .

Perfettamente giusto; ma erano anche emigranti o comunque fanatici addestrati all'estero, in Pakistan, per esempio.

CITAZIONE
il problema sorge spontaneo , senza un adeguata attività nei contadini si fallisce e si rischia di cadere nel troschismo , difatti lo stesso trostsky diffidava delle masse contadine , e era contrario anche a organizzare i soviet contadini , dando il primato agli operai .

Anche qui sono d'accordo, ma non si può dire che i comunisti afghani non abbiano agito in questo senso. Per esempio, nel 1981 furono cancellati i debiti per 760 mila famiglie contadine; 810.000 ettari di terra, in precedenza appartenuti ai feudali, furono distribuiti ai contadini poveri; il governo concesse 60 milioni di dollari di crediti a tasso zero ai contadini e alle cooperative (alle quali aderirono 647.000 contadini). I contadini avevano inoltre il 26% dei rappresentanti nella Grande Assemblea, superando numericamente ogni altra classe o strato sociale ivi rappresentato. E tutto questo è avvenuto dal 1980 al 1985, ben dopo Amin, il quale fu il principale responsabile del consenso guadagnato dalla controrivoluzione.
Amin, avventurista ed estremista, assassino di Taraki e molto probabilmente agente della CIA, assieme ai suoi seguaci (Zarif, Sahrai e Alemyar), fu giustiziato per i suoi crimini, duramente stigmatizzati da Karmal e dalla Ratebzad.

CITAZIONE
Altro motivo è appunto il socialimperialismo , la rivoluzione non si esporta e nasce in seno al popolo...

I sovietici intervennero nel dicembre 1979; la rivoluzione risale all'aprile 1978, oltre un anno prima. Inoltre, è da notare come l'intervento sovietico fu tra i fattori che posero fine all'avventurismo.
Diamo ora un'occhiata alle posizioni dei sostenitori della teoria (a mio parere infondata e antimarxista) del socialimperialismo, ovvero gli hoxhaisti e i maoisti:

Le giuste valutazioni e previsioni del nostro Partito in relazione alla politica interna ed estera reazionaria di Breznev si sono avverate e si avverano continuamente. L’esempio più recente è l’Afghanistan, dove i kruscioviani brezneviani hanno intrapreso un’aperta aggressione fascista ed ora cercano di spegnere, con il ferro e il fuoco, le fiamme della lotta popolare per prolungare la loro occupazione socialimperialista.
(Enver Hoxha, I Kruscioviani, p. 9)

In competizione con l'imperialismo americano per imporre il proprio dominio economico, il socialimperialismo sovietico ha calpestato i legittimi diritti dei popoli e la sovranità delle nazioni; opprimendo i paesi assoggettati alla sua "sfera di influenza'', attuando una politica neocoloniale nei paesi del Terzo mondo per depredarli di ricchezze e di materie prime ed utilizzarne i territori per installare basi militari strategicamente utili dal punto di vista del controllo e dello sviluppo espansionistico, giungendo a occupare e invadere militarmente i paesi che minacciavano la stabilità e lo sviluppo aggressivo socialimperialista. La gloriosa Armata Rossa, che quando l'Urss era il paese socialista a cui guardava con fiducia e orgoglio il proletariato mondiale, è stato l'esercito che ha riportato libertà e speranza a tanti popoli e paesi, infliggendo un colpo mortale alla barbarie nazifascista, è stata trasformata e utilizzata dal socialimperialismo sovietico in uno strumento militare di aggressione e di oppressione. L'occupazione militare della Cecoslovacchia attuata il 21 agosto 1968, così come l'invasione dell'Afghanistan attuata tra il 24 e il 26 dicembre 1979 sono l'espressione diretta del tradimento revisionista e dello scempio fatto non solo degli ideali del socialismo, ma di tutti i principi teorici e pratici del marxismo-leninismo.
(Sulla storia del socialismo in URSS, documento del PMLI)


Posizioni a mio parere vergognose e reazionarie.

Edited by Andrej Zdanov - 23/4/2013, 17:38
view post Posted: 22/4/2013, 14:15 Una lettera da Mosca - Scritti di altri autori
Da «l’Unità», 25 aprile 1980:


Si può discutere apertamente anche quando non si è d’accordo, come sull’Afghanistan

Una lettera da Mosca


Due esperti sovietici di politica estera – l’accademico Evghenij Primakov e l’osservatore politico delle «Izvestia» Aleksandr Bovin – che hanno visitato l’Italia alla fine di marzo e alle cui affermazioni, in una conferenza stampa a Roma, «l’Unità» ha dedicato un corsivo, ci hanno inviato la seguente lettera, che pubblichiamo integralmente.


Parlando ad una conferenza stampa organizzata dalla associazione stampa estera di Roma noi abbiamo espresso la seguente idea. Alla fine del 1979 la rivoluzione afghana attraversava una profonda crisi. Il problema si poneva in questi termini: o un aiuto militare diretto alla rivoluzione o una vittoria della controrivoluzione. A questo proposito l’«Unità» ci ha chiesto di «precisare e chiarire» che cosa noi intendiamo per «rivoluzione» e «controrivoluzione».
I compagni dell’«Unità» ritengono che nell’Afghanistan ci sia stata non una rivoluzione ma un colpo di stato «compiuto da un gruppo ristretto, appoggiato dall’esterno», e, in particolare, ritengono che per questo, «non fosse in grado di difendersi dai nemici interni ed esterni».
Vediamo come stanno le cose.
Esaminiamo inizialmente la questione dell’«appoggio dall’esterno». Persino lo «stesso» Brzezinski non ritiene che gli avvenimenti di aprile siano stati ispirati dall’Unione Sovietica. A noi sembra che i compagni dell’«Unità» possano difficilmente dimostrare che Brzezinski si sia in questo caso sbagliato.
Ed ora parliamo delle «masse» e dei «gruppetti ristretti». Effettivamente la crisi del regime prerivoluzionario non ha raggiunto una tale acutezza come, poniamo, in Iran, dove la rivoluzione è iniziata con interventi spontanei delle masse. Ma forse che ogni rivoluzione deve iniziare proprio così? E se il regime dirigente è già imputridito, se si è formata una avanguardia politica pronta e capace di liquidare questo regime e le masse non sono ancora pronte ad attive azioni autonome? Guardando alla situazione dall’esterno, confrontando questa situazione con gli schemi ideali, si potrebbe certamente affermare: è ancora presto, non occorre prendere le armi… l’avanguardia affronti le masse e col lavoro politico infonda in esse una coscienza rivoluzionaria. Ma nelle condizioni dell’Afghanistan (dove le «masse» sono contadini arretrati ed analfabeti, avvolti nella rete di pregiudizi feudali e prefeudali) questa impostazione del problema significherebbe rinviare le trasformazioni radicali alle calende greche.
Ricordiamo tra l’altro che A. Gramsci parlò «della legittimità della presa del potere, in determinate condizioni storiche, da parte di una avanguardia politica per consentire alla maggioranza reale di organizzare le sue forze, di prendere coscienza delle proprie impellenti necessità, escludendo qualsiasi apriorismo ed attenendosi alle leggi che generano in modo naturale queste necessità».
Il partito popolare democratico dell’Afghanistan ha scelto proprio questa rotta, prendendo, basandosi sull’esercito, il potere politico, cercando nel corso stesso degli eventi, con la prassi dei mutamenti sociali, di risvegliare le masse dal sonno secolare, di attirarle nella rivoluzione. E’ iniziata la riforma agraria. Sono stati eliminati i rapporti feudali nelle campagne. Sono stati aboliti i debiti capestro. E’ stata emancipata la donna. E’ stata dispiegata una campagna di massa per liquidare l’analfabetismo. Tutto ciò è rivoluzione, rivoluzione antifeudale, rivoluzione nazionale-democratica.
Purtroppo le trasformazioni rivoluzionare sono accompagnate ad errori grossolani e ad esagerazioni estremistiche di sinistra, che non hanno tenuto nel dovuto conto le tradizioni religiose e tribali. Ciò ha consentito al ristretto gruppo di feudali e proprietari terrieri – principali e naturali nemici del nuovo potere – di attrarre dalla loro una parte dei contadini.
Ciò non di meno si tratta di una rivoluzione viva, anche se commette errori. E’ meglio di uno schema senza errori che però resta sulla carta. Sì, ci sono stati degli errori. Ma da ciò non si può arguire che nell’Afghanistan bisognava soltanto utilizzarlo in modo più ragionevole, duttile e con maggior attenzione.
Per quanto fossero grandi le difficoltà dell’affermazione di una nuova vita, il governo di Kabul ha saputo far fronte ad esse. Sin dall’inizio la reazione interna ha fatto affidamento sull’aiuto e sull’appoggio dall’estero. In sostanza è iniziata una guerra non dichiarata contro il regime ancora non consolidato. Le repressioni di massa scatenate da Amin hanno complicato ulteriormente la situazione. Si sono rafforzati gli umori antigovernativi nel paese. Si sono indebolite le capacità militari dell’esercito afghano. Alla fine del 1979 la situazione divenne critica. La controrivoluzione – parliamo della nobiltà feudale, degli ex proprietari terrieri, di una parte del vertice tribale, dei gruppi di emigranti – seppe speculare sugli errori della rivoluzione e si era preparata al salto decisivo.
In questo periodo – scrive Karmal – «le forze patriottiche che facevano parte del Consiglio rivoluzionario (massimo organo statale del paese) e del comitato centrale del partito popolare democratico dell’Afghanistan chiesero ad Amin di rivolgersi nuovamente all’URSS con la richiesta di un aiuto militare. Rinunciare a questa richiesta significava per Amin smascherarsi, gettare la maschera. Ma Amin non potè permetterselo». Il 28 dicembre del 1979 il nuovo governo della Repubblica democratica dell’Afghanistan, guidato da Karmal, chiese che l’URSS continuasse a prestare il suo aiuto all’Afghanistan, anche militare. Su tutti questi problemi il governo di Karmal ha fornito ripetutamente spiegazioni. Il fatto che questi problemi vengono risollevati in continuazione si può spiegare soltanto con la mancanza di volontà di prendere atto di queste spiegazioni.
Occorre sottolineare che noi non abbiamo mai posto sullo stesso piano il «governo di Amin» e il «regime rivoluzionario», instaurato nell’Afghanistan nell’aprile del 1978. Il regime instaurato dopo il rovesciamento del governo di Daud è stato ed è rimasto rivoluzionario nella sua sostanza anche durante Amin, nonostante le gravi deformazioni del processo rivoluzionario allora compiute.
Ovviamente il vero ruolo di Amin non si è palesato di colpo. Il carattere controrivoluzionario della attività di questo gruppo si è manifestato gradualmente, ma tre mesi sono stati sufficienti per mettere in piena evidenza tutta la sua effettiva «ignominia controrivoluzionaria».
A Mosca ci si rese conto che l’ingresso delle truppe sovietiche nel paese vicino sarebbe stato accolto da parecchi con ostilità. Ma noi non potevamo e non volevamo venir meno al senso di responsabilità. L’URSS non poteva agire in modo diverso. Non poteva ammettere che una vittoria dei fanatici religiosi e dei feudali indeboliti ed assetati di vendetta, facesse dell’Afghanistan un secondo Cile. Non siamo stati noi che abbiamo accesso il fuoco della rivoluzione democratica nazionale afghana. La rivoluzione d’aprile è stata compiuta dal popolo dell’Afghanistan e dalla sua avanguardia, il partito democratico popolare dell’Afghanistan, senza alcun appoggio o «suggerimento» dall’esterno. Ma noi non volevamo e non vogliamo che questo fuoco venga spento con il sangue dei rivoluzionari.
I compagni dell’«Unità» insistono sulla «osservanza del principio dell’indipendenza e della sovranità», chiedono la non ingerenza. Potremmo rispondere facendo riferimento all’articolo pertinente del trattato sovietico-afghano e allo statuto dell’ONU. Ma noi comprendiamo che i compagni dell’«Unità» non si accontentano di argomenti giuridici e formali. Perciò parleremo della sostanza. La non ingerenza è una bella cosa. Tuttavia i principi del diritto internazionale non esistono nel vuoto. Un tempo esisteva il Comitato per la non ingerenza negli affari della Spagna. Questa non ingerenza è costata 40 anni di dittatura franchista. E allora, dobbiamo applaudire Blum? E se i kmeri, che venivano annientati cinicamente da maniaci inebriati dal potere, si sono rivolti chiedendo aiuto ai vietnamiti, cosa avrebbero dovuto fare i vietnamiti? Leggere al popolo morente una lezione sulla non ingerenza. No, la storia, la politica sono più ricche, più ampie degli schemi giuridici e di altro genere. Vi sono delle situazioni eccezionali, quando la non ingerenza diventa una vergogna e un tradimento. Queste situazioni esigono soluzioni straordinarie, ed il coraggio di prenderle. Questa è la nostra posizione. E noi, naturalmente, ci rammarichiamo del fatto che i compagni dell’«Unità» non la condividano. Che dire, ognuno fa la sua scelta.

Evghenij Primakov
Aleksandr Bovin



Edited by Andrej Zdanov - 14/6/2013, 23:55
view post Posted: 15/4/2013, 14:47 Su Breznev (raccolta) - Articoli dei membri della Scuola quadri
Il comunismo può anche essere instaurato in un solo paese, con la persistenza del capitalismo in altre aree del mondo, come ha indicato Stalin nelle sue Risposte ad Alexander Werth. In tal caso, però, come lo stesso Stalin indicò al XVIII Congresso del partito, si dovrà mantenere un potente apparato statale, come bastione difensivo contro le aggressioni esterne. Suslov aderiva a questo punto di vista:

Il quarto giorno [del XXI Congresso del PCUS] porta come elemento più importante il discorso di Suslov. (…) Suslov tratta le questioni teoriche toccate da Kruscev nel rapporto, egli si esprime contro alcune pericolosamente equivoche affermazioni di Kruscev, in particolare sull’estinzione dello Stato, in quanto egli – senza però menzionare Stalin – difende e sottolinea fortemente la tesi di questi sulla continuazione dello Stato socialista sin quando sussista il pericolo di un attacco imperialista; in quanto ancora egli esprime l’affermazione molto importante che sino all’abolizione delle classi la classe operaia resta quella dirigente. Questa affermazione è di grande importanza pratica nella lotta contro la banda di Kruscev, dal momento che questa in definitiva persegue una politica populistica orientata sui contadini (…) Manca al discorso di Suslov una nota concretamente pugnace, rimane troppo teorico e misurato. Questo è del resto un contrassegno dell’attuale Congresso. Su tutti i terreni, eccetto quello economico, procede in modo eccessivamente caratterizzato da luoghi comuni, senza nomi ed indirizzi. Massicciamente concreti sono solo i banditi nei loro attacchi contro il gruppo di Molotov.
(Kurt Gossweiler, Contro il revisionismo, p. 448)


Quanto al fatto di "saltare le tappe a colpi di decreti", Suslov era profondamente avverso a simili tentativi, come testimonia la sua seguente critica al balzo in avanti maoista:

...i dirigenti cinesi possiedono un concetto del socialismo e del comunismo e una pratica della costruzione della nuova società che hanno una relazione molto, molto lontana con la teoria marxista-leninista del comunismo scientifico. Né in Marx, né in Lenin troviamo neppure un accenno alla possibilità che i compiti sostanziali della costruzione del socialismo siano risolti senza tener conto del grado di maturità delle premesse socio-economiche e spirituali per un avanzamento e senza prendere in considerazione il compito di innalzare il benessere materiale dei lavoratori.
(M. Suslov, La lotta del PCUS per il consolidamento del movimento comunista internazionale)


Nessuno, né negli anni di Breznev né in quelli di Stalin, e nemmeno nel periodo kruscioviano, affermò di aver già raggiunto il comunismo. L'edificazione del comunismo fu sempre concepita come un processo ancora in corso, lungo e e complesso, strettamente legato all'ulteriore sviluppo delle potenzialità del socialismo:

La dialettica dello sviluppo della società socialista è tale, che nel suo progredire essa realizza sempre più pienamente le proprie possibilità, si sviluppa, si perfeziona e nello stesso tempo crea le premesse per la transizione alla fase successiva, trasformandosi gradualmente in comunismo. Lo sviluppo del socialismo e l’edificazione del comunismo sono un unico ininterrotto processo, in cui ogni nuova tappa è strettamente collegata alla precedente e rappresenta il gradino più alto nel moto ascendente della società.
(M. Suslov, PCUS, partito del marxismo)
view post Posted: 12/4/2013, 14:39 La difesa del socialismo è il più alto dovere internazionale - Scritti di altri autori
Dalla «Pravda», 22 agosto 1968:


La difesa del socialismo è il più alto dovere internazionale


Esponenti del partito e dello stato della Repubblica socialista cecoslovacca hanno rivolto all’Unione Sovietica e agli altri stati socialisti richiesta di immediato aiuto, ivi compreso l’aiuto delle forze armate, al popolo fratello della Cecoslovacchia.
Questo appello è stato determinato dalla minaccia insorta per il sistema socialista in Cecoslovacchia e per l’organizzazione statale sancita dalla costituzione da parte delle forze controrivoluzionarie, entrate in combutta con forze esterne ostili al socialismo.
La necessità di adottare la storica decisione di chiedere aiuto all’Unione Sovietica e agli altri paesi socialisti fratelli trova piena motivazione nell’appello del gruppo di membri del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco, del governo e dell’Assemblea nazionale della Cecoslovacchia, che viene pubblicato oggi sulla Pravda. Questa necessità è stata determinata dal pericolo della lotta fratricida che la reazione preparava in Cecoslovacchia.
In conformità con gli impegni assunti alla conferenza dei partiti comunisti e operai di Bratislava e partendo dai principi dell’inscindibile amicizia e della collaborazione, nonché in conformità con i relativi impegni che scaturiscono dai trattati, i governi dell’URSS e degli altri paesi alleati hanno deciso di accogliere la summenzionata richiesta di indispensabile aiuto al popolo fratello della Cecoslovacchia. I paesi socialisti fratelli eseguono il loro comune dovere internazionale.
I rapporti con la Cecoslovacchia e il suo partito comunista hanno sempre occupato un posto rilevante nella politica del PCUS e del governo sovietico, nelle menti e nei cuori dei comunisti e di tutti i cittadini sovietici. E ciò non per caso. Alle secolari tradizioni della comunanza slava si sono da molto tempo aggiunti i nodi inscindibili della lotta comune per la libertà, per l’indipendenza e per il progresso sociale dei nostri popoli.
I nostri partiti e i nostri popoli hanno lottato con la mano nella mano contro il pericolo dell’asservimento e contro i conquistatori hitleriani. Nella lotta mortale contro il fascismo e per la libertà e l’indipendenza del primo paese del socialismo, per la liberazione degli altri popoli oppressi hanno dato le loro vite più di venti milioni di sovietici. Sul territorio della Cecoslovacchia sono disseminate le tombe di oltre 100 mila soldati sovietici. Insieme con gli eroici patrioti cecoslovacchi, insieme con il glorioso corpo d’armata di Ludvík Svoboda, questi uomini sono periti per la liberazione della Cecoslovacchia dal fascismo hitleriano. Proprio allora, in quei duri anni, furono gettate le salde fondamenta dell’unità e della fratellanza dei nostri popoli.
Dopo la disfatta degli hitleriani il popolo cecoslovacco scelse la strada del socialismo. Ciò rafforzò ulteriormente i nodi d’amicizia con i nostri popoli. Gli anni della marcia comune sulla strada dell’edificazione del socialismo e del comunismo hanno portato la nostra amicizia a un livello più alto.
L’amicizia fraterna e l’alleanza combattiva tra l’URSS e la Cecoslovacchia furono consacrate dal Trattato di amicizia, mutua assistenza e collaborazione postbellica, concluso sin dal 1943 e prorogato nel 1963. Fedeli a questo Trattato, i nostri stati, partiti e popoli si sono impegnati ad aiutarsi vicendevolmente in caso di minaccia alla sicurezza delle nostre frontiere e di minaccia alla causa del socialismo.
In risposta alla creazione del blocco aggressivo della Nato, nel quale era entrata la Germania occidentale revanscista, vari paesi socialisti d’Europa si unirono nel Trattato di Varsavia, divenuto barriera insuperabile per tutti coloro che cercavano di attentare alla pace e alle conquiste socialiste dei nostri popoli.
Per due decenni le relazioni fraterne tra URSS e Cecoslovacchia si sono sviluppate con successo in tutti i campi: nella politica, nell’economia, nella cultura. Nulla ha offuscato la nostra amicizia. I successi del popolo cecoslovacco sono stati i nostri successi e i raggiungimenti dei popoli sovietici sono stati considerati dai lavoratori della Cecoslovacchia alla stregua di loro raggiungimenti.
Nei giorni in cui i sovietici celebravano il cinquantenario del regime sovietico e traevano i risultati della strada percorsa sotto la guida del partito comunista, del partito di Lenin, il Partito comunista cecoslovacco e il popolo cecoslovacco gioivano con noi dei gloriosi risultati della marcia trionfale della rivoluzione d’ottobre.
I nostri popoli sono legati da nodi sinceri e cordiali di fratellanza, rispetto e amore. Le parole “ceco” e “slovacco” sono diventate per ogni sovietico sinonimo dei concetti “amico” e “fratello”. I comunisti dell’URSS e della Cecoslovacchia sono uniti dal senso del dovere dei compagni d’arme, che procedono sotto la stessa bandiera e che hanno scelto per sé la stessa strada nella vita: la strada del comunismo. I comunisti sovietici hanno sempre considerato con profondo rispetto il partito comunista della Cecoslovacchia, lo hanno considerato come un reparto saldo, coraggioso e combattivo del movimento comunista mondiale, incrollabile nella sua fedeltà alle idee del marxismo-leninismo e alla nobile bandiera dell’internazionalismo proletario.
Il nostro partito e il popolo sovietico sono convinti che la classe operaia, i contadini e gli intellettuali onesti della Cecoslovacchia non hanno modificato il loro atteggiamento verso la nostra causa comune: la costruzione di una società nuova; sono convinti che essi sono fedeli ai sentimenti di amicizia per il nostro popolo e sono fedeli alla causa del socialismo in Cecoslovacchia. I 240 milioni di sovietici che edificano la società comunista non hanno modificato il loro atteggiamento verso la Cecoslovacchia e il popolo cecoslovacco. Anche noi siamo fedeli all’amicizia che i nostri partiti hanno cementato nel corso di tutti gli anni postbellici.

I.


Il nostro partito ha accolto con comprensione le decisioni del plenum del gennaio 1968 del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco. Al tempo stesso era evidente già allora che la situazione venutasi a creare poteva portare a un indebolimento del partito dei comunisti cecoslovacchi e alla diffusione di stati d’animo pericolosi per il socialismo in determinati circoli della società cecoslovacca, esposti all’influsso delle concezioni borghesi e della propaganda imperialistica.
Nelle conversazioni dei dirigenti del PCUS con i dirigenti cecoslovacchi, svoltesi nel gennaio a Mosca e nel febbraio a Praga, questi timori furono espressi sinceramente, con spirito di partito. Inoltre fu dichiarato con tutta chiarezza che la scelta delle vie di edificazione del socialismo e la scelta delle forme e dei metodi di direzione partitica sui processi sociali rientra nella piena ed esclusiva competenza del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco; che il nostro partito non aveva e non poteva avere l’intenzione di imporre al Partito comunista cecoslovacco raccomandazioni di nessun genere su questi problemi. Al tempo stesso fu richiamata l’attenzione della direzione del Partito comunista cecoslovacco sull’attività, che già allora si andava attivizzando, degli elementi revisionisti di destra, che tentavano di sfruttare la situazione creatasi nel paese per scopi lontani dagli interessi del socialismo.
In quel periodo i dirigenti del Partito comunista cecoslovacco dichiararono di essere coscienti della tensione della situazione politica nel paese e di voler prendere le necessarie misure per la stabilizzazione della situazione. Ma il tempo passava e il nostro partito si convinceva con crescente preoccupazione che il corso reale degli avvenimenti cominciava a differire sempre di più dalle prognosi che davano i dirigenti cecoslovacchi. Gli avvenimenti hanno dimostrato che nello stesso Partito comunista cecoslovacco cominciava a crearsi una situazione di confusione, di esitazioni e di insicurezza. Nel paese sollevavano la testa le forze reazionarie e antisocialiste, che contavano sull’appoggio dell’imperialismo mondiale.
Tutto ciò preoccupava non soltanto il nostro partito. Come noi, anche i partiti fratelli della Bulgaria, dell’Ungheria, della Rdt e della Polonia erano preoccupati per il corso degli avvenimenti in Cecoslovacchia. Emerse la necessità di un incontro collettivo e di uno scambio di opinioni coi dirigenti del Partito comunista cecoslovacco e della Repubblica socialista cecoslovacca. Tale incontro, per comune accordo, ebbe luogo a Dresda il 23 marzo.
All’incontro di Dresda i compagni cecoslovacchi non negarono che nel paese si sviluppavano dei processi negativi; che la radio, la televisione e la stampa si erano sottratte al controllo del partito e si erano trovate in pratica nelle mani di elementi antisocialisti; che le forze di destra si andavano consolidando. Al tempo stesso i rappresentanti cecoslovacchi dichiararono che in complesso il partito controllava la situazione e che non v’erano motivi per gravi timori.
I rappresentanti sovietici e tutte le delegazioni degli altri partiti fratelli osservarono con piena franchezza che, a loro giudizio, il quadro era diverso. Essi sottolinearono il pericolo concreto che la situazione comportava. Da tutta una somma di fatti essi trassero la conclusione che ci si trovava di fronte a uno sviluppo degli eventi tale da poter condurre a una svolta controrivoluzionaria. La delegazione del PCUS, nonché le delegazioni del PCB, PSOU, del POUP e della SED dichiararono che appoggiavano la direzione del Partito comunista cecoslovacco, appoggiavano il contenuto positivo delle decisioni del plenum di gennaio e che tutta la loro posizione era intesa ad aiutare i compagni cecoslovacchi a reagire agli impudenti elementi antisocialisti e a rafforzare le posizioni del socialismo in Cecoslovacchia.
Il successivo corso degli eventi ha confermato le conclusioni dei partiti fratelli e, purtroppo, non ha avallato l’ottimismo dei dirigenti del Partito comunista cecoslovacco. Il plenum di marzo-aprile del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco non è riuscito a stabilizzare la situazione. Per di più, il programma d’azione del Comitato centrale approvato da tale plenum ha cominciato a essere sfruttato, come hanno dimostrato i fatti, dalle forze di destra, come una sorta di piattaforma legale per ulteriori attacchi contro il partito comunista, contro le basi del socialismo e contro l’amicizia dei popoli cecoslovacco e sovietico.
L’ansia crebbe ulteriormente quando, sotto l’influsso evidente delle forze di destra e antisocialiste, cominciò a svilupparsi nel paese una campagna tendente a infangare tutta la passata attività del Partito comunista cecoslovacco, quando si sviluppò ampiamente un processo di sostituzione in massa dei quadri del partito e dello stato, che minacciò la stabilità del sistema sociale, quando si levò l’ondata, di chiara ispirazione, della propaganda antisovietica nella stampa, alla radio e alla televisione, quando in Cecoslovacchia cominciarono a sorgere e a legalizzare la loro attività organizzazioni di ogni sorta, che si ponevano in contrapposizione al partito dei comunisti. In tale situazione il Comitato centrale del PCUS ritenne necessario intraprendere nuovi passi per sottolineare ancora una volta i suoi timori per le sorti del socialismo in Cecoslovacchia. Nel far questo, ovviamente, si pensava sia alla complessità obiettiva della situazione, sia alla complessità della posizione della stessa direzione del Partito comunista cecoslovacco. Per questa ragione il Comitato centrale del PCUS, continuando ad astenersi da valutazioni pubbliche e da dichiarazioni di qualsiasi sorta, propose ancora una volta un incontro bilaterale. In questo incontro, che si tenne a Mosca il 4 maggio, furono gli stessi dirigenti del Partito comunista cecoslovacco a parlare della gravità della situazione nel paese. Inoltre essi dichiararono che i momenti negativi nello sviluppo politico interno della Cecoslovacchia “esorbitano dall’ambito dei nostri affari esclusivamente interni e coinvolgono i paesi fratelli, come, per esempio, l’Unione Sovietica e la Polonia”. Non si poteva non concordare su ciò.
I dirigenti cecoslovacchi dichiararono anche che erano disposti a prendere le misure necessarie per controllare la situazione. Essi dissero allora alla lettera: “II nemico agisce. Esso vuole deviare gli eventi negli interessi della controrivoluzione”.
Essi riconobbero che il nemico cercava prima di tutto di discreditare il partito comunista e di indebolire il suo influsso sulle masse; che aumentavano le richieste di creare un’opposizione politica legale al Partito comunista cecoslovacco, che per la sua natura poteva essere soltanto un’opposizione antisocialista; che, “se non si compiranno dei passi fermi, ciò potrà degenerare in una situazione controrivoluzionaria”. Essi dissero di conoscere i responsabili concreti di ciò e asserirono di disporre delle prove dei loro legami con i circoli imperialistici e aggiunsero che avrebbero posto fine a questa situazione.
Il plenum di maggio del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco ha riconosciuto che il pericolo principale per la causa del socialismo in Cecoslovacchia proveniva da destra. Sembrava che ciò dovesse far sperare che i dirigenti del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco sarebbero passati dalle parole ai fatti. Alle conferenze dei segretari dei comitati di partito, nel corso delle riunioni degli attivisti della milizia operaia e in numerose assemblee delle organizzazioni partitiche delle fabbriche e delle officine fu espressa la decisione di difendere fermamente le conquiste socialiste.
Purtroppo le speranze delle forze sane nel partito e nel paese e le speranze di tutti gli amici del popolo cecoslovacco non si sono realizzate. Le decisioni del plenum di maggio sono restate sulla carta. Le forze antisocialiste hanno sviluppato l’offensiva contro la linea del plenum di maggio. Le dichiarazioni degli elementi antisovietici sono diventate ancora più aspre. L’ondata dell’offensiva delle forze antisocialiste crebbe ulteriormente alla fine di giugno, quando i circoli controrivoluzionari pubblicarono sulla stampa l’appello delle “Duemila parole”, nel quale era contenuto un aperto appello alla lotta contro il Partito comunista cecoslovacco e contro il regime costituzionale.
La direzione del nostro partito richiamò l’attenzione di A. Dubček sul pericolo di questo documento, come piattaforma dell’ulteriore attivizzazione delle iniziative controrivoluzionarie. Egli rispose che il Presidium del Comitato centrale stava esaminando tale problema, che l’appello sarebbe stato aspramente condannato e che sarebbero state adottate le misure più risolute. Ma, a parte una liberale condanna verbale, nessuna misura concreta è stata adottata.
Tutto ciò ha costretto il PCUS e gli altri partiti fratelli a sollevare la questione di un ulteriore incontro coi dirigenti del Partito comunista cecoslovacco. II PCUS e gli altri partiti fratelli hanno notificato tale proposta al Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco, ma, purtroppo, i suoi dirigenti si sono rifiutati di partecipare alla conferenza di Varsavia.
Negli ultimi sette mesi, pertanto, tra i dirigenti sovietici, quelli cecoslovacchi e quelli degli altri partiti fratelli hanno avuto luogo numerosi contatti nelle più varie forme, nel corso dei quali il Comitato centrale del PCUS ha tenuto immutabilmente una posizione chiara e conseguente.
In cosa consiste, a dirla in breve, la sostanza di questa posizione?
In primo luogo, il Comitato centrale del PCUS ha sin dall’inizio assunto un atteggiamento di piena comprensione verso le decisioni del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco, intese a correggere gli errori e i difetti, a perfezionare la direzione del partito su tutte le sfere della vita sociale, a sviluppare la democrazia socialista. Noi abbiamo considerato e consideriamo tali decisioni come un affare esclusivamente interno dei comunisti cecoslovacchi e di tutti i lavoratori della Repubblica cecoslovacca.
In secondo luogo, il Comitato centrale del PCUS ha sempre sottolineato che solo la realizzazione del ruolo dirigente del partito e il mantenimento nelle mani del partito del pieno controllo sull’evolversi degli eventi può garantire la felice realizzazione delle misure adottate. A tal riguardo è stata più volte richiamata l’attenzione sul fatto che l’indebolimento della direzione partitica crea condizioni favorevoli per l’attivizzazione delle forze di destra, quando non addirittura apertamente controrivoluzionarie, che si propongono di discreditare il partito comunista cecoslovacco e di allontanarlo dal potere, di staccare la Cecoslovacchia dalla consociazione socialista e, in definitiva, di modificare il sistema sociale in Cecoslovacchia.
In terzo luogo, il Comitato centrale del PCUS ha ritenuto e ritiene che le sorti delle conquiste socialiste del popolo cecoslovacco, le sorti della Cecoslovacchia come stato socialista, legato da impegni di alleanza con il nostro e con gli altri paesi fratelli, non sono soltanto una questione interna del Partito comunista cecoslovacco. Sono una questione comune di tutta la consociazione socialista e di tutto il movimento comunista. Per questa ragione il Comitato centrale del PCUS considera proprio dovere internazionale contribuire in tutti i modi al rafforzamento del Partito comunista cecoslovacco, al mantenimento e al rinsaldamento del socialismo in Cecoslovacchia, alla difesa della Cecoslovacchia dalle beghe dell’imperialismo. Questo nostro dovere internazionale è anche il dovere internazionale di tutti i partiti fratelli, e noi cesseremmo di essere dei comunisti se ci rifiutassimo di assolverlo.
Questa la posizione di principio del partito comunista dell’URSS, posizione basata sui principi del marxismo-leninismo e dell’internazionalismo proletario.

II.


La prima e più importante cosa che suscita seria preoccupazione e timore è la situazione nella quale si è venuto a trovare il partito comunista della Cecoslovacchia. Prima di tutto perché senza un rafforzamento del partito comunista e senza assicurare con i fatti il suo ruolo dirigente in tutte le sfere della vita pubblica i discorsi sul “perfezionamento” del socialismo diventano inevitabilmente un inganno.
Negli ultimi mesi le forze controrivoluzionarie in Cecoslovacchia hanno condotto una permanente campagna di discreditamento del partito comunista. Come conseguenza di ciò è insorto il pericolo reale che esso perdesse le sue posizioni dirigenti sulla società. L’attivizzazione delle forze anticomuniste è stata favorita dalla posizione non corretta assunta da una parte dei dirigenti del Partito comunista cecoslovacco e dal loro distacco dai principi marxisti-leninisti su varie questioni. Proprio i numerosi inviti di alcuni dirigenti del Partito comunista cecoslovacco a “porre fine al monopolio del potere da parte dei comunisti”, a “staccare il partito dal potere” e a stabilire una “parità” tra il Partito comunista cecoslovacco e gli altri partiti non comunisti, gli inviti a rinunciare alla direzione partitica dello stato, dell’economia, della cultura, e così via, sono serviti appunto da spinta iniziale della sfrenata campagna contro il Partito comunista cecoslovacco, condotta da forze che vogliono distruggere il Partito comunista cecoslovacco e privarlo del suo ruolo dirigente nella società.
Gli attacchi contro il partito sono iniziati, come è noto, sotto la copertura di discorsi, pronunciati anche da alcuni dirigenti del Partito comunista cecoslovacco, sulla necessità di porre fine ai metodi “arcaici” di lavoro e di adattare il partito alle esigenze del giorno d’oggi. È ovvio che il partito è un organismo vivo, che si sviluppa unitamente a tutta la società e che le forme e i metodi del lavoro di partito e della direzione partitica possono e debbono cambiare in conformità con i mutamenti che si verificano nella società. Ma in questo caso non si trattava di ciò. Si trattava del fatto che questi discorsi portavano in pratica a minare i principi fondamentali dell’attività dell’organizzazione politica, che questi dirigenti dovevano guidare e dovevano rafforzare.
Solo in questo modo si può spiegare il fatto che l’autocritica e la valutazione critica di misure di vario genere, indispensabili in ogni partito, sono presto degenerate in Cecoslovacchia in una sfrenata e pericolosa campagna discreditante tutta l’attività del partito. Profittando della posizione indecisa ed esitante del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco i revisionisti e le forze di destra si sono messi a infangare tutta l’attività svolta dal Partito comunista cecoslovacco negli ultimi vent’anni, negando di conseguenza il suo diritto a dirigere lo stato e la società.
I fatti che citiamo qui di seguito dimostrano sino a che punto siano giunte le cose.
In un articolo di un certo Liehm, pubblicato il 13 giugno circa dal settimanale Literární listy, si diceva: “il Partito comunista cecoslovacco è responsabile di tutti gli errori di 20 anni, dal febbraio 1948, di tutte le malattie e i delitti della società...” E più avanti: “iI Partito comunista cecoslovacco attua il suo ruolo dirigente, benché non ne abbia né il diritto morale, né il diritto politico”.
Uno dei rappresentanti attivi delle forze antipartito, Hanzelka, ha affermato il 9 giugno sul giornale Mladá Fronta che il milione e mezzo di membri del Partito comunista cecoslovacco sarebbero diventati dei fanatici, strumentalizzati da alcuni “despoti” del partito per i propri interessi personali di potere.
Un certo Tomíček ha urlato istericamente a una riunione del “Club dei giovani” di Semila: “il partito comunista della Cecoslovacchia deve essere considerato come un’associazione a delinquere, quale di fatto esso è stato, e deve essere buttato fuori dalla vita sociale”. Questi gridi furono subito pubblicati dal giornale Literární listy.
Di asserzioni analoghe se ne potrebbero citare decine, se non addirittura centinaia. E tutta questa fiumana di gridi isterici ostili al socialismo e al comunismo si riversava quotidianamente sulle teste dei lavoratori.
Purtroppo alcuni dirigenti del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco non hanno tratto le necessarie conseguenze dal fatto che il paese era flagellato da una feroce campagna anticomunista, organizzata dalle forze controrivoluzionarie e chiaramente ispirata dalla propaganda imperialistica. Invece di ostacolare decisamente i tentativi di distruggere il partito, essi hanno continuato a trasformare il Partito comunista cecoslovacco in un’organizzazione amorfa e incapace di agire, in una sorta di club dedicato alle discussioni.
Nel Partito comunista cecoslovacco cominciavano di fatto a crollare i principi leniniani fondamentali di organizzazione della vita di partito; i principi del centralismo democratico e dell’unità ideologico-organizzativa del partito. Il partito si è venuto a trovare sulla soglia della legalizzazione dei raggruppamenti frazionistici, sulla soglia della disintegrazione in organizzazioni “autonome”, debolmente legate tra di loro.
Tutti coloro che hanno studiato la storia del movimento comunista e che conoscono il retaggio teorico lasciato da Lenin sanno bene che può essere vitale solo quel partito marxista le cui organizzazioni e i cui membri seguono tutti fedelmente il principio del centralismo democratico. Ignorare un qualsiasi aspetto di questo principio, della democrazia come del centralismo, conduce inevitabilmente a un indebolimento del partito e del suo ruolo dirigente, alla trasformazione del partito in un’organizzazione burocratica e in una specie di associazione per la divulgazione dell’istruzione.
Dalle informazioni di stampa risulta che gli elementi revisionistici nel partito pianificavano la creazione nel Partito comunista cecoslovacco di una situazione che lo avrebbe trasformato in organizzazione informe e marcia, priva delle norme leniniane e della disciplina e responsabilità di partito.
Sono state avanzate proposte di attuare una sorta di principio di autonomia degli organi e delle organizzazioni del partito, cioè di consacrare nella nuova situazione il loro diritto ad assumere una posizione autonoma nei confronti delle decisioni degli organi superiori. Per di più si proponeva che le singole parti componenti del partito non fossero legate da una comune disciplina: si proponeva che esse fossero volontariamente legate da “vincoli associativi”, “come organizzazioni che si unificano su base cooperativistica”. Ciò significava la trasformazione del partito in una specie di “associazione”, i cui membri erano liberi di agire come volevano. Questa tesi non può essere considerata altrimenti che come un tentativo di smantellamento del partito.
L’attacco contro l’unità delle schiere partitiche procedeva anche lungo altre direttrici. I rappresentanti delle forze di destra insistevano tenacemente perché lo statuto sancisse “i diritti della minoranza e delle opinioni di gruppo”, cioè il diritto di schierarsi contro le decisioni del partito dopo la loro approvazione.
Tutte queste tendenze sono in patente contrasto con i principi leniniani di organizzazione del partito. Ricordiamo l’impostazione leniniana del problema dell’unità del partito nella risoluzione che Lenin propose al X congresso del Partito comunista russo e che fu approvata dal congresso. In essa si diceva:
è necessario che tutti i lavoratori coscienti prendano chiaramente atto del danno e dell’inammissibilità di ogni frazionismo, che inevitabilmente conduce a un indebolimento del lavoro e al rafforzamento dei tentativi dei nemici di approfondire le divisioni e di sfruttarle ai fini della controrivoluzione.
Purtroppo persino fra i membri del Presidium del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco si sono trovate persone che, in sostanza, si sono schierate apertamente contro i principi leniniani di organizzazione del partito. Si pensa qui, in particolare, ai discorsi pubblici del membro del Presidium J. Špacek su queste questioni.
È noto che la reazione mondiale non rinuncia ai suoi tentativi di sfruttare qualsiasi indebolimento dell’unità delle schiere dei partiti comunisti per rafforzare gli attacchi contro i comunisti e contro il socialismo. Minare in tali condizioni l’unità del partito significa aiutare i nostri nemici di classe.

III.


Anche la campagna di massa attuata nel paese per la distruzione dei quadri del partito ha contribuito a minare il ruolo dirigente del Partito comunista cecoslovacco. La critica di singoli dirigenti, che avevano compiuto determinati errori, è degenerata nell’ottusa esigenza di allontanare in massa i funzionari dirigenti del partito. Al centro e in periferia sono stati allontanati molti uomini esperti, fedeli alla causa del partito e della classe operaia, che avevano combattuto coraggiosamente contro il fascismo negli anni dell’occupazione hitleriana e che avevano partecipato attivamente all’edificazione del socialismo in Cecoslovacchia. Si è creata un’atmosfera di autentico pogrom e di “linciaggio morale” dei quadri.
Emergeva chiaramente una linea politica determinata, tendente a eliminare dalla politica attiva i comunisti più temprati sotto il profilo ideologico-politico e più decisi a lottare contro l’opposizione di destra. Non si può considerare altrimenti, per esempio, la dichiarazione del segretario del Comitato centrale Císař, il quale invitava ad accogliere nel partito 200-300 mila giovani per, come lui si è espresso, fare una “iniezione” al partito “senescente”, ignorando l’aspetto classista di questo importante problema.
La linea di distruzione massiccia dei quadri dirigenti coinvolgeva non soltanto l’apparato di partito. Essa si estendeva a importanti settori dell’apparato statale, ai sindacati e all’Unione della gioventù. La maggior parte dei membri del governo è stata sostituita. Tra gli eliminati c’erano non pochi esponenti definiti dai dirigenti del Partito comunista cecoslovacco, anche dopo il plenum di gennaio, come comunisti saldi e fedeli.
È stato dichiarato pubblicamente che i comunisti scacciati dagli organi dirigenti del partito e dello stato avevano nel passato compiuto degli errori nella loro attività. Ma in che misura poteva essere giusto, su tale base, sollevare la questione della sfiducia politica nei confronti di migliaia di funzionari e di escludere dalla vita politica delle persone solo perché avevano partecipato attivamente alla vita del partito e del paese prima del plenum di gennaio?
C’era da sperare che il Presidium del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco si sarebbe avvalso della preparazione al XIV congresso straordinario del partito, indetto per il 9 settembre, per porre fine alla liquidazione dei quadri. Ma ciò non è avvenuto. Al contrario, la preparazione al congresso è stata sfruttata dalle forze di destra per moltiplicare gli attacchi contro le forze sane del partito, per dislocare uomini propri nelle organizzazioni provinciali e regionali del partito e per imporre al partito la loro politica.
La stampa, controllata dalle forze di destra, ha interferito apertamente nelle elezioni dei delegati alle conferenze e al congresso del partito e ha perfino “raccomandato” chi dovesse essere eletto membro del futuro Comitato centrale e chi invece non dovesse, cercando chiaramente di esercitare un’inammissibile pressione sui delegati al prossimo congresso.
Così stavano le cose. Il partito non è un concetto astratto. Il partito sono gli uomini e i principi che garantiscono l’unità di azione dei comunisti. E quando i principi della vita di partito sono stati respinti, quando i quadri del partito sono stati dispersi, era perfettamente legittimo trarre la conclusione che il Partito comunista cecoslovacco si era venuto a trovare in pericolo.
Non meno pericoloso per la causa del socialismo è altresì il fatto che, parallelamente al forte indebolimento del lavoro politico-organizzativo, la direzione del Partito comunista cecoslovacco ha in pratica consegnato nelle mani delle forze di destra e antisocialiste il controllo sui mezzi di influsso ideologico sulle masse. Molti giornali, la radio e la televisione della Cecoslovacchia si sono trovati in sostanza a disposizione di determinati raggruppamenti, che perseguivano scopi chiaramente antisocialisti. I fatti dimostrano in maniera incontrovertibile che questi raggruppamenti agivano con finalità ben precise, cercando di discreditare il Partito comunista cecoslovacco e il socialismo.
Pubblicazioni come Literární listy, Mladá fronta, Práce, Lidová democracie, Svobodné slovo, Zemědelské noviny, Student e Reportér hanno condotto una sfrenata propaganda antisocialista.
I lavoratori cecoslovacchi hanno detto chiaramente che i mezzi di propaganda di massa venivano sfruttati non negli interessi del popolo cecoslovacco, ma contro di esso. Così, all’assemblea nazionale cecoslovacca degli attivisti della milizia popolare i suoi partecipanti hanno sottolineato che la direzione del partito e gli organi della propaganda non prendevano alcuna misura contro l’iniziativa degli elementi reazionari. Gli operai hanno approvato la risoluzione nota, e non per caso hanno ritenuto necessario recarsi con questa risoluzione all’Ambasciata sovietica per chiedere che venisse trasmessa a Mosca. Tuttavia questa Assemblea così significativa di esponenti dei lavoratori non ha trovato l’eco che meritava sulla stampa cecoslovacca. E l’appello di questa assemblea al popolo sovietico è stato per lungo tempo celato ai lavoratori della Cecoslovacchia.
Molti compagni cecoslovacchi volevano sollevare questa questione sulla stampa, ma ciò veniva loro impedito. Il vecchio comunista clandestino Jodas riuscì con difficoltà a pubblicare la propria protesta contro le forze di destra e antisocialiste, che cercavano di monopolizzare gli strumenti di informazione di massa. Ecco le sue parole:
attualmente un determinato gruppo reazionario nel partito, bene organizzato e che dispone di tutti i mezzi di informazione, conduce alla televisione, alla radio e sulla stampa un volgarissimo attacco contro il partito. Questo gruppo, nel quale agiscono attivamente vari elementi reazionari, conduce da cinque mesi questa campagna, che inevitabilmente deve portare alla distruzione dell’unità del partito. È necessario schierarsi risolutamente e apertamente contro questo gruppo, definendolo per quello che è e smascherando le sue intenzioni di fronte all’opinione pubblica.
La situazione creatasi negli organi di informazione ha suscitato la legittima preoccupazione dei lavoratori della Cecoslovacchia. Gli operai della “Auto-Praga” hanno scritto nella lettera del 18 luglio:
noi siamo categoricamente contrari a che la radio, la stampa e la televisione creino un’atmosfera di odio contro l’URSS e contro i paesi e i partiti socialisti… Noi siamo agghiacciati dal timore per il futuro della nostra patria.
In una parola, in Cecoslovacchia si è creata un’atmosfera per cui gli elementi di destra potevano pubblicare dichiarazioni antisocialiste, attuare dimostrazioni e comizi con slogan controrivoluzionari, mentre i discorsi in cui si dava una valutazione marxista-leninista della situazione venivano zittiti e i loro autori venivano perseguitati. Le persecuzioni contro i comunisti onesti, il discreditamento del partito e gli attacchi contro il marxismo-leninismo, l’internazionalismo proletario e l’amicizia fraterna tra i popoli sovietico e cecoslovacco venivano condotti, si può dire, sotto gli occhi del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco.
Le calunnie contro il partito comunista, in particolare contro l’attività svolta nell’ultimo ventennio, le persecuzioni dei quadri, il passaggio dei mezzi di informazione di massa nelle mani di elementi che attaccavano il partito e la violazione del principio del socialismo democratico, tutto ciò ha demoralizzato ampie masse di comunisti, ha fatto sì che essi perdessero fiducia e sicurezza, ha suscitato smarrimento negli organi del partito e, nello stesso tempo, ha contribuito al rafforzamento dell’influsso degli elementi di destra e all’intensificazione dell’attività delle forze controrivoluzionarie.

IV.


La manovra della reazione di distruggere il partito comunista e di indebolire le posizioni del socialismo in Cecoslovacchia è stata accompagnata da una larga campagna offensiva contro l’ideologia marxista-leninista. Nei discorsi dei nemici del socialismo si scorgono chiaramente i loro metodi e i loro fini. Essi agivano da posizioni diverse, ma perseguivano un unico scopo: minare la base teorico-ideologica dei comunisti e sostituire il socialismo scientifico con altre concezioni ideologiche.
Le pagine della stampa cecoslovacca venivano offerte generosamente alle creazioni degli aperti avversari del marxismo-leninismo. Basterà ricordare che in molti giornali e riviste cecoslovacchi sono stati pubblicati gli articoli e brani dei libri del noto trockista Isaak Deutscher. Ma le forze antisocialiste in Cecoslovacchia non si sono fermate a questo.
Si può ricordare il così detto “Memorandum del popolo della Cecoslovacchia”, compilato dal Comitato organizzativo del “Partito degli autentici socialisti cecoslovacchi”, come essi si definivano, del quale parlava il 14 giugno il giornale Mladá fronta. Con incredibile impudenza gli autori di questa pasquinata proclamavano: “la legge che noi approveremo dovrà vietare ogni attività comunista in Cecoslovacchia. Noi interdiremo l’attività del Partito comunista cecoslovacco e scioglieremo il Partito comunista cecoslovacco”. Gli autori invitavano a distruggere le opere dei classici del marxismo-leninismo.
Sotto simili dichiarazioni avrebbero volentieri posto la loro firma gli hitleriani, che bruciarono i libri marxisti sulle piazze delle città tedesche.
All’assemblea nazionale il deputato Turošek chiedeva con comprensibile preoccupazione: “Quando e come comincerà nel nostro paese la lotta contro simili fenomeni, che disonorano il partito comunista e i comunisti?”.
All’offensiva contro il marxismo-leninismo in Cecoslovacchia partecipavano anche alcuni esponenti del partito comunista.
In tutto il paese è stato ampiamente propagandato il discorso del segretario del Comitato centrale Císař all’assemblea solenne svoltasi a Praga per il centocinquantenario della nascita di Karl Marx. Se si vuole risalire all’essenza di questo discorso, essa si riduce al rinnegamento del leninismo, del suo valore internazionale, del fatto che il leninismo è una guida all’azione anche nelle condizioni attuali.
Purtroppo alcuni dirigenti del Partito comunista cecoslovacco non hanno trovato il coraggio di criticare questo discorso e di difendere le basi ideologiche del movimento comunista in Cecoslovacchia. C’è di più: in Cecoslovacchia è stata scatenata una ampia campagna di attacchi contro la stampa sovietica, perché questa ha protestato contro i nuovi denigratori del marxismo-leninismo.
A questo proposito va detto che il discorso di Císař non è certo l’unico attacco contro il leninismo. Affermazioni simili le si può incontrare anche in altre pubblicazioni, apparse in Cecoslovacchia negli ultimi tempi.
Ciò non stupisce; considerato che in Cecoslovacchia si è creata un’atmosfera in cui è diventato vantaggioso e di moda attaccare il marxismo-leninismo, mentre è diventato pericoloso difendere le posizioni di principio della dottrina comunista.
Come si spiega tutto ciò? Con l’analfabetismo teorico di alcuni dirigenti, oppure con la deliberata connivenza con coloro che vorrebbero privare il partito della sua arma ideologica e che vorrebbero distruggere la base della coesione ideologica tra il partito comunista della Cecoslovacchia e gli altri reparti del movimento comunista mondiale?
Noi comprendiamo bene quanto sia necessario sviluppare incessantemente la teoria marxista-leninista, generalizzare e analizzare i processi e i fenomeni nuovi della vita. Il marxismo-leninismo sarebbe morto, se non si sviluppasse in ogni epoca storica grazie agli sforzi collettivi dei suoi teorici e dei suoi seguaci. Ma è perfettamente chiaro che i discorsi citati non intendono sviluppare il marxismo-leninismo, ma piuttosto intendono rivederlo e screditarlo.
Tuttavia i dirigenti del Partito comunista cecoslovacco nulla hanno fatto per la difesa delle posizioni ideologiche del partito comunista.
Al soffocamento di tali posizioni ha indubbiamente contribuito il fenomeno, sempre più diffuso in Cecoslovacchia, di un approccio acritico e interclassista nei confronti di alcune pagine della storia del paese.
È un fatto che negli ultimi tempi è stato resuscitato il culto di Masaryk, che fu sempre un acerrimo nemico del movimento comunista e uno degli ispiratori dell’intervento contro la Russia sovietica. È strano che persino alcuni comunisti abbiano elogiato questo esponente borghese, per ordine del quale il partito comunista fu perseguitato e furono firmati gli ordini di carcerazione per i suoi leader, tra i quali Klement Gottwald. È stato di nuovo levato sugli scudi Beneš, che condusse il paese alla catastrofe di Monaco.
È proprio di questa storia e di questi esponenti che deve preoccuparsi la stampa di un paese socialista, la stampa di un partito che ha una propria gloriosa storia rivoluzionaria, piena di coraggio e di eroismo, dimostrati nella lotta per la libertà del popolo e per l’indipendenza della patria? Ed è forse possibile comprendere perché mai la stampa cecoslovacca negli ultimi tempi non abbia mai ricordato gli illustri esponenti e organizzatori del partito comunista, gli internazionalisti, gli eroi del movimento operaio e comunista, che dettero la loro vita nella lotta contro gli occupatori hitleriani, nella lotta per il socialismo e per il rafforzamento dell’amicizia dei nostri popoli?
In compenso sono apparsi degli interventi di un cinismo politico mostruoso, come l’articolo di un certo Mlynárik su Literární listy del 15 agosto, nel quale si tentava di infangare tutta la storia del Partito comunista cecoslovacco, soprattutto dopo la rivoluzione socialista in Cecoslovacchia, e di calunniare Klement Gottwald e intere generazioni di eroici combattenti del partito comunista della Cecoslovacchia.
Ancora una circostanza. Negli ultimi tempi in Cecoslovacchia sono stati compiuti non pochi sforzi per alimentare nel popolo degli stati d’animo che non si può che definire come nazionalistici. Proprio a ciò tendeva la chiassosa campagna propagandistica, montata artificiosamente alla fine di luglio per appoggiare le posizioni del Presidium del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco alle imminenti conversazioni con il Politbjuro del Comitato centrale del PCUS. L’appello alla delegazione del Partito comunista cecoslovacco, che si recava all’incontro, pubblicato sulla stampa cecoslovacca, serviva appunto a rinfocolare queste basse passioni nazionalistiche.
Alcuni dirigenti del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco hanno popolarizzato in tutti i modi tale documento. Se ne è parlato alla televisione, i suoi autori sono stati festeggiati, dirigenti si sono mostrati nelle strade dove venivano raccolte le firme sotto il testo dell’appello. Si può considerare ciò come un metodo normale di preparazione alle trattative con un partito amico e fratello?
La cosa più grave è che la campagna di massa alimentata in Cecoslovacchia con metodi così artificiosi non era diretta contro i nemici di classe del popolo lavoratore della Cecoslovacchia, né contro coloro che effettivamente minacciano la sicurezza della repubblica, né contro gli imperialisti: essa era diretta, per quanto ciò possa apparire mostruoso, contro gli amici più intimi della Cecoslovacchia socialista, contro l’Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti fratelli.
In relazione a ciò, sorge spontanea questa domanda: se i dirigenti cecoslovacchi non volevano prendere in considerazione i propri amici, se non volevano dar loro ascolto, se non volevano intraprendere la stessa strada, verso chi allora intendevano orientarsi, con chi volevano andare? E dove volevano cercare la garanzia della sicurezza, della sovranità del popolo cecoslovacco, dei suoi successi socialisti riportati sugli attacchi sferrati da parte dell’imperialismo?
A proposito del suddetto messaggio, intorno al quale è stata montata una clamorosa campagna, c’è ancora un fatto che merita attenzione e a cui non è possibile non attribuire un grande significato.
Si tratta del fatto che nel testo del messaggio, là dove si menzionano le tappe storiche dello sviluppo della Cecoslovacchia è stato circondato dal più assoluto silenzio il febbraio 1948, quando si verifica la svolta della Cecoslovacchia in direzione del socialismo.
Per coloro che almeno qualche volta nel corso degli ultimi mesi hanno tenuto dietro allo sviluppo degli eventi nel paese, è chiarissimo che questa omissione non è affatto casuale, ma rispecchia invece una determinata concezione politica.
Evidentemente alcuni dirigenti del Partito comunista cecoslovacco supponevano che fomentando le passioni nazionali si sarebbe potuta conseguire una base più ampia per le proprie posizioni con l’appoggio di vasti strati della popolazione, includente sia i sostenitori sia gli avversari del socialismo. Ma si tratta di un cammino molto rischioso. Rischioso anzitutto perché li ha allontanati sempre più da coloro che appaiono i compagni naturali e gli autentici amici del Partito comunista cecoslovacco e del popolo cecoslovacco.
Gli avversari dell’amicizia sovietico-cecoslovacca si sono ancora una volta avvalsi ampiamente nei loro ragionamenti di un tema che non si può fare a meno di sfiorare. In numerosi articoli apparsi sulla stampa, negli interventi alla radio e alla televisione, si è ostinatamente ribadito il concetto che tutte le “sciagure” della Cecoslovacchia sono dovute al fatto che essa fino a poco tempo fa era stata guidata nel suo sviluppo da qualcuno che aderiva “al modello sovietico del socialismo”. Non credo sia necessario spiegare come questa affermazione sia interamente inventata.
È ben noto infatti che l’URSS e la Cecoslovacchia hanno una diversa organizzazione statale, che molto differenti si presentano le soluzioni del problema nazionale, e che dissimili sono i metodi di dirigere l’economia. In modo diverso vengono risolti anche molti altri problemi relativi alla vita politica, economica e culturale dei nostri popoli.
Lo sviluppo della Cecoslovacchia come stato socialista, lo sviluppo del suo ordinamento statale, della sua economia e della sua cultura, lo sviluppo del suo partito comunista si è svolto e si svolge in forme che rispecchiano le peculiarità del paese, le sue tradizioni, i suoi tratti specifici sotto ogni aspetto. I discorsi sull’“adesione dei cechi e degli slovacchi a un certo modello di socialismo sovietico” non si presentano altro che come una malintenzionata, provocatoria menzogna, diffusa da elementi ostili col deliberato intento di minare la fraterna amicizia che lega i nostri paesi, i nostri partiti e i nostri popoli.
Le forze che cercano di scalzare le posizioni del Partito comunista cecoslovacco, si sforzano ogni volta di denigrare la collaborazione economica esistente fra l’Unione Sovietica e la Cecoslovacchia.
Essi fanno di tutto per presentare la faccenda in modo che le relazioni economiche instauratesi fra i nostri paesi sembrino infruttuose e per di più onerose per la Cecoslovacchia. È lampante a cosa tende tal genere di dichiarazioni. Tutte quante hanno di mira un unico scopo: preparare il terreno per dirottare lo sviluppo dell’economia della Cecoslovacchia verso occidente. Ma a tal fine sarebbe stato necessario convincere l’opinione pubblica cecoslovacca che sviluppando la cooperazione con l’Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti la Cecoslovacchia non è in grado di risolvere i suoi problemi, che questa cooperazione, stando a quel che si dice, non corrisponde ai suoi interessi nazionali.
In effetti il tentativo di costruzione del socialismo dice che le relazioni economiche dei paesi socialisti sono relazioni di tipo nuovo, che il loro sviluppo contribuisce al progresso economico e sociale di ogni paese in particolare, e al rafforzamento del sistema socialista mondiale in genere.
Sul fondamento dei principi dell’internazionalismo proletario, i paesi socialisti sono stati i primi ad attuare storicamente il passaggio verso una cooperazione multilaterale e di mutua assistenza, partecipando a questo processo in veste di stati integralmente sovrani e paritari. Ormai nessuno potrà mai più imporre loro il giogo dello sfruttamento imperialista.
Questa è un’enorme conquista della nostra collaborazione socialista e nello stesso tempo la base su cui è parso possibile realizzare un rapido sviluppo dell’economia degli Stati socialisti.
Nel corso di 17 anni, dal 1950 al 1967, il volume della produzione industriale dei paesi dell’Europa orientale è cresciuto complessivamente del 5,4% arrivando quasi a coprire un terzo del volume della produzione industriale mondiale. Solo nel corso degli ultimi sette anni, l’incremento della produzione industriale dei paesi dell’est europeo è aumentato del 76%, mentre nello stesso periodo nei paesi capitalisti esso non ha superato il 45%.
L’ampio sviluppo della cooperazione economica, l’approfondimento della ripartizione internazionale del lavoro nella cornice del sistema socialista mondiale ha condizionato non soltanto le esigenze economiche dei singoli paesi socialisti, ma anche il carattere della situazione internazionale, le condizioni della lotta dei due sistemi mondiali. Frattanto negli ultimi tempi una fila di statisti cecoslovacchi, fra cui il vicepresidente del consiglio O. Šik e alcuni altri, sono esorditi con critiche all’economia cecoslovacca e alla sua cooperazione con gli altri paesi socialisti. Le critiche, certo, sono una cosa indispensabile.
Ma esse devono soddisfare due criteri: essere scientifiche e obiettive e corrispondere agli interessi delle masse lavoratrici, agli interessi del socialismo.
Intanto O. Šik è saltato fuori a criticare che l’economia della Cecoslovacchia si presenta arretrata e che sta attraversando una crisi. Tutto il percorso dello sviluppo economico della Cecoslovacchia nel periodo socialista è cancellato e dipinto a fosche tinte.
Contemporaneamente la stampa cecoslovacca si è sforzata di insinuare nella classe lavoratrice e in tutta la popolazione della Cecoslovacchia la convinzione che la politica economica condotta dal Partito comunista cecoslovacco era sbagliata e che, a quanto pare, non offriva la possibilità di elevare il tenore di vita del popolo, e inoltre che nei paesi capitalisti si vive meglio.
Eppure è noto che per quanto concerne la produzione dell’energia elettrica, dell’acciaio, del cemento, dei tessuti e delle calzature, della carne e dei prodotti della carne la Cecoslovacchia supera i più evoluti paesi capitalisti europei, incluse Inghilterra, Germania ovest e altri. La Cecoslovacchia possiede una sviluppata industria meccanica e quanto alla produzione delle macchine pro capite occupa uno dei primi posti nel mondo.
Esagerate insufficienze nello sviluppo dell’economia cecoslovacca la stampa le ha fatte dipendere, talora indirettamente ma talora anche direttamente, dalle relazioni economiche con l’Unione Sovietica. Si è prospettato sotto una cattiva luce il commercio fra la Cecoslovacchia e l’URSS.
Prendiamo alcuni dati relativi al commercio estero dell’Unione Sovietica e della Cecoslovacchia negli anni 1956-1968, cioè relativi a dodici anni. Nel corso di questo periodo l’Unione Sovietica ha fornito alla Cecoslovacchia 17 milioni di tonnellate di grano, quasi 700 mila tonnellate di cotone, circa 70 mila tonnellate di lana, 51 milioni di tonnellate di petrolio, 80 milioni di tonnellate di minerali grezzi, circa 2 milioni di tonnellate di ghisa, circa 2 milioni e mezzo di laminati, 285 mila tonnellate di rame, più di 200 mila tonnellate di piombo, quasi tre milioni e mezzo di tonnellate di apatite concentrata, 170 mila tonnellate di zinco, più di 200 mila tonnellate di amianto, quasi 5 milioni di metri cubi di legname e macchine e impianti per quasi 1200 milioni di rubli. Se alla Cecoslovacchia fosse toccato comprare tutte queste merci in valuta libera, sarebbe stata costretta a spendere circa 3 miliardi e mezzo di dollari.
La Cecoslovacchia è anche una grossa fornitrice dell’Unione Sovietica per ciò che riguarda macchine, merci di largo consumo, calzature, tessuti, confezioni, prodotti di merceria e altri.
Si intende che se l’Unione Sovietica nel commercio con la Cecoslovacchia avesse trattato su base puramente commerciale, cosa cui in pratica voleva arrivare O. Šik, ciò evidentemente non sarebbe andato a vantaggio dell’economia cecoslovacca e le avrebbe arrecato molte difficoltà.
In Cecoslovacchia è stata sviluppata una critica globale del tentativo di costruire il socialismo internazionale, quale è stato elaborato dalla semisecolare pratica dell’Unione Sovietica e anche dalla pratica prolungata degli stati socialisti. A questo esperimento si è tentato di contrapporre un nuovo “‘modello’ di socialismo” esistente soltanto nei loro ragionamenti; oltre a ciò, alcuni governanti che avevano fatto un gran chiasso a proposito della sovranità e della non ingerenza, avrebbero voluto proporre questo modello come esempio da imitare universalmente. Il nostro partito non può passare sopra alla campagna di discredito che si è condotta sulla stampa cecoslovacca nei confronti dell’economia socialista dell’Unione Sovietica. Lo sviluppo dell’economia socialista costituisce uno dei compiti principali che si trovano costantemente al centro dell’attenzione del nostro partito come degli altri partiti fratelli. Avendo stretti legami con l’economia degli altri paesi socialisti, l’Unione Sovietica prende le misure indispensabili affinché lo sviluppo economico dell’URSS possa contemporaneamente provvedere alle esigenze dell’economia nazionale dei nostri amici e alleati e fornire loro la possibilità di svilupparsi evitando il più possibile i paesi capitalisti e qualsiasi genere di pericolo che possa scaturire dall’imperialismo.
Storicamente gli avvenimenti si sono svolti in modo tale per cui l’Unione Sovietica si addossa un’enorme responsabilità per la sicurezza del campo socialista. Ed è perciò naturale che sviluppando la nostra economia noi siamo continuamente costretti a profondere enormi investimenti nell’industria bellica, la quale è necessaria non solo all’Unione Sovietica ma a tutti i paesi socialisti, e consente ora di resistere all’aggressione imperialista contro il Vietnam, contro gli stati arabi.
Noi sappiamo che anche gli altri paesi fratelli danno il proprio contributo alla difesa delle conquiste socialiste dei popoli.
Ognuno riconosce in ciò il proprio dovere internazionale. Il nostro partito perfeziona continuamente lo stile, le forme e i metodi per l’edificazione dello stato e del partito. E il medesimo lavoro viene svolto anche negli altri paesi socialisti. Esso viene condotto con calma, scaturendo dalle fondamenta del sistema socialista.
Purtroppo, su di un diverso fondamento si è svolta la discussione relativa ai problemi della riforma economica in Cecoslovacchia. Al centro di questa discussione si era avanzata, da una parte, una critica globale circa lo sviluppo precedente dell’economia socialista e dall’altra proposte di sostituire le direttive pianificate con rapporti retti dall’economia di mercato e dal gioco spontaneo delle forze economiche, mediante la concessione di un vasto margine all’attività del capitale privato.
Della discussione sull’economia cecoslovacca si sono avvalsi elementi revisionisti e controrivoluzionari col deliberato intento di volgere l’economia del paese in direzione capitalista.
Alcuni dirigenti cecoslovacchi hanno cominciato a sottoporre a verifica una serie di importanti posizioni nel settore della politica estera, gli obblighi assunti dalla Cecoslovacchia in seguito al Patto di Varsavia ed l’accordo bilaterale con l’Unione Sovietica.
In seguito all’accordo sovietico-cecoslovacco i nostri paesi si sono assunti l’impegno di associare i propri sforzi e di instaurare una stretta collaborazione per garantire la propria sicurezza, la sicurezza degli altri stati della comunità socialista.
Questi impegni, insieme con gli impegni assunti dagli altri stati socialisti in seguito ad accordi bilaterali e al Patto di Varsavia, costituiscono un solido fondamento che garantisce saldamente la sicurezza a ciascuno dei suoi aderenti.
I paesi aderenti al Patto si sono assunti reciprocamente il solenne impegno di levarsi in difesa delle conquiste del socialismo, dei loro confini e della pace in Europa.
L’Unione Sovietica si è battuta e si batte affinché questi impegni siano scrupolosamente attuati da parte di tutti gli aderenti al Patto, poiché solo in tal modo è possibile la sicurezza di ciascuno di loro. L’URSS ha ritenuto fino a ora che anche la Cecoslovacchia continui a dar prova di un simile atteggiamento verso i propri impegni assunti con i rispettivi accordi.
Però negli ultimi tempi si sono manifestate determinate tendenze nel settore della politica estera della Cecoslovacchia, specie negli affari europei, che destano serie apprensioni. Queste tendenze si manifestano non soltanto negli interventi della stampa cecoslovacca, nelle trasmissioni della radio e della televisione, ma anche nei discorsi di alcuni esponenti ufficiali. In particolare, esse si sono manifestate in modo abbastanza preciso nelle dichiarazioni del ministro degli affari esteri, J. Hájek. Si tratta dei ripetuti appelli a una revisione della politica estera cecoslovacca.
Si sono verificati tentativi precisi di assestare un colpo al Patto di Varsavia, di allentare questo Patto. Il rappresentante ufficiale del Comitato Centrale del Partito comunista cecoslovacco V. Prchlík ha fatto a Praga una dichiarazione pubblica davanti ai giornalisti, in cui si è scagliato contro il Patto di Varsavia ed ha espresso la necessità di rivedere la sua struttura. Egli ha proseguito denigrando l’attività del Comitato politico di consultazione fra gli stati membri del Patto di Varsavia, il quale, come è noto, si svolge a livello dei dirigenti di partito e di governo. Ci si sarebbe potuti attendere che tali azioni sarebbero state esaminate dal direttivo del Partito comunista cecoslovacco, ma ciò non si è verificato.
Il nostro problema comune è quello di membri dell’organizzazione del Patto di Varsavia. Non si può ammettere che in questa organizzazione venga aperta una breccia. Tale linea contraddice gli interessi vitali di tutti i paesi membri della organizzazione del Patto di Varsavia, fra cui gli interessi vitali dell’URSS. Gli obblighi che gli stati socialisti si sono assunti mediante accordi esigono dai loro aderenti che sia attivamente garantita la difesa dei propri confini. Come stanno le cose a questo proposito circa i confini della Cecoslovacchia con l’occidente? Questi confini dalla parte cecoslovacca sono aperti.
Si è creata questa situazione, e dai paesi occidentali sono schizzati fuori in Cecoslovacchia sabotatori e spie inviati dai servizi di informazione imperialisti.
Gli agenti imperialisti hanno avuto la possibilità di trasportare clandestinamente in territorio cecoslovacco degli armamenti.
Seria preoccupazione hanno destato gli interventi fatti nel corso degli ultimi avvenimenti da alcuni dirigenti della Cecoslovacchia circa il suo atteggiamento verso la Germania occidentale.
Ai dirigenti cecoslovacchi era noto che la Germania dell’ovest non riconosce e non si accinge a voler riconoscere i confini fissati in Europa, fra cui quelli tra la Repubblica democratica tedesca e la Repubblica federale tedesca, che essa continua a esigere il riconoscimento del suo diritto di parlare a “nome di tutti i tedeschi”, che essa avanza come nel passato pretese su Berlino ovest e vi organizza ogni genere di provocazioni, che il governo della Repubblica federale tedesca finora non ha fatto alcuna dichiarazione in merito al proprio rifiuto al ricorso alle armi atomiche, non ha dichiarato che l’accordo di Monaco è nullo fin dall’inizio.
Nondimeno in Cecoslovacchia si sono avuti degli interventi volti al riavvicinamento con la Germania occidentale, al rafforzamento dei legami con essa. La faccenda si è spinta a tal punto che a nome del governo cecoslovacco si è dichiarato ufficialmente che la politica della Cecoslovacchia nelle questioni europee deve tenere gran conto del fatto che la Cecoslovacchia si trova tra l’Unione Sovietica e la Germania occidentale.
Senonché tale punto di vista è del tutto privo di contenuto di classe, contraddice a ogni esperienza storica e non corrisponde agli interessi della sicurezza dei paesi socialisti e della stessa Cecoslovacchia.
Alcuni dirigenti in Cecoslovacchia si sono appellati a questo per svolgere la loro politica estera dalla parte dell’occidente, per renderla “più indipendente” dalla politica dell’Unione sovietica e degli altri paesi socialisti.
Non è difficile notare che dietro la parola “indipendenza” essi volevano nascondere l’aspirazione a disancorare la politica estera della Cecoslovacchia dalla politica unitaria dei paesi della comunità socialista. Purtroppo a sortite di tal genere non si è reagito in Cecoslovacchia nel modo dovuto.
Ai nostri interessi comuni, fra cui anche gli interessi dell’amica Cecoslovacchia, corrisponde non già l’indebolimento ma il rafforzamento della cooperazione dei membri del Patto di Varsavia nei problemi della sicurezza e della politica internazionale in genere. Questo obbliga i membri del Patto a reagire energicamente ai tentativi provocatori di qualsiasi genere volti a spezzare il Patto di Varsavia.
Richiama l’attenzione l’atteggiamento inammissibile verso gli obblighi derivanti dal Patto di Varsavia, atteggiamento assunto in occasione delle manovre militari condotte non molto tempo fa in territorio cecoslovacco dai paesi del Patto di Varsavia.
Contro la permanenza sul territorio della Cecoslovacchia delle truppe dei paesi socialisti, nel periodo dello svolgimento delle manovre militari, si era scatenata una campagna ostile.
La permanenza delle truppe sovietiche veniva presentata dalle forze antisocialiste di destra come un’occupazione del territorio cecoslovacco. E questo significherebbe forse rispetto degli obblighi assunti, come alleati, con il Patto di Varsavia? No certamente. Questo è piuttosto un tentativo di ostacolare in pratica il funzionamento del meccanismo militare dell’organizzazione del Patto di Varsavia. Non può comportarsi così una contraente degli impegni che si è assunta come alleata.
Così può comportarsi chi viene meno a questi doveri. I membri del Patto di Varsavia non hanno potuto non trarre da ciò adeguate conclusioni.
I fatti degli ultimi tempi dimostrano che in Cecoslovacchia si è verificato un manifesto aumento di interventi antisovietici. Si può ricordare la provocatoria riunione, tenutasi il 2 maggio sulla piazza Staroměstská, dove alcuni oratori si sono fatti avanti con dichiarazioni anti-sovietiche.
Si possono ricordare gli interventi oltraggiosi di Procházka, Hanzelka e di numerosi altri dirigenti della stessa risma. Si possono ricordare numerosi interventi sulla stampa, alla radio e alla televisione, i cui autori avevano fatto tutto il possibile per denigrare le relazioni amichevoli sovietico-cecoslovacche. Nel corso degli ultimi anni persino da parte dei paesi capitalisti erano stati mossi raramente attacchi e offese come quelli pervenuti dalla Cecoslovacchia. I nemici si sono serviti di qualsiasi pretesto – dall’episodio Sejna alla speculazione intorno alle circostanze della morte di Jan Masaryk e alle manovre dell’armata del Patto di Varsavia – per versar olio sul fuoco degli umori anti-sovietici. Si sono avuti casi di diffusione di manifestini antisovietici nelle città, e casi di offesa alla bandiera sovietica. Tali atti, si intende, non hanno potuto contribuire al miglioramento delle nostre relazioni. Nell’interesse di chi erano stati sparsi i semi dell’ostilità verso l’Unione Sovietica? Solo nell’interesse di coloro che vogliono estirpare dalla memoria del popolo cecoslovacco la nostra lotta comune contro l’hitlerismo, nell’interesse di coloro cui non stanno a cuore le conquiste socialiste del popolo ceco e slovacco, nell’interesse di coloro che vorrebbero liquidare le conquiste del socialismo mondiale. L’antisovietismo e l’anticomunismo, come è sempre stato, si completano a vicenda.
I dirigenti dei Partito comunista cecoslovacco non hanno fatto neppure una dichiarazione sulla saldezza dell’amicizia cecoslovacco-sovietica. Al plenum di maggio del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco erano echeggiate calde voci di preoccupazione per lo stato delle nostre relazioni. Ma in Cecoslovacchia non sono state prese effettive misure di lotta contro l’ondata nazionalista borghese, contro gli interventi antisovietici. Certo è possibile pronunciare belle parole sull’amicizia e la solidarietà, sulla fedeltà ai doveri di alleati, ma l’importante non sono le parole, bensì quello che sta dietro di loro, l’importante sono le azioni concrete che seguono alle dichiarazioni. È fuori dubbio che gli ispiratori dell’ostile campagna antisovietica non riescano a far dimenticare questa verità: che la Cecoslovacchia può salvaguardare la propria indipendenza e sovranità solo come paese socialista, come membro della comunità socialista.
Le forze della reazione, sforzandosi di scalzare le relazioni della Cecoslovacchia con l’Unione Sovietica, hanno invece preparato al popolo cecoslovacco un destino di schiavitù e di soggezione all’imperialismo.

V.


Negli ultimi tempi si sono concretate e hanno cominciato a operare attivamente organizzazioni controrivoluzionarie e antisocialiste, aventi una determinata base sociale e il proprio appoggio oltre confine; esse avanzano sempre più apertamente delle pretese verso il regime. In sostanza nel paese si è addensata l’opposizione politica, che era stata chiamata a realizzare in Cecoslovacchia la restaurazione dell’ordine capitalista. Durante 20 anni in Cecoslovacchia sono continuati a esistere partiti non comunisti, entrati nel Fronte nazionale.
La direzione di questi partiti ha seguito la linea di costruzione del socialismo, ha contribuito con la sua attività a trascinare in un lavoro creativo determinate forze non comuniste esistenti nel paese.
Però negli ultimi sette mesi nella linea di questi partiti sono avvenuti mutamenti radicali.
La direzione del partito popolare e socialista ha bruscamente mutato corso, e di fatto, sebbene celandosi dietro lo slogan della collaborazione con il Partito comunista cecoslovacco nella cornice del Fronte nazionale, ha cercato di fondare una opposizione legale.
Nei propri documenti programmatici provvisori la direzione di entrambi i partiti non comunisti ha avanzato la pretesa di una compartecipazione paritaria col partito comunista nella gestione del potere.
Questo succedeva in primavera, ma in luglio ormai più nessuno nascondeva che si trattava di ben altro, cioè di respingere il partito comunista e di fondare una nuova direzione non comunista del paese.
Il ruolo svolto dal partito socialdemocratico cecoslovacco nel passato è abbastanza conosciuto. Spezzando le file della classe lavoratrice, la direzione di destra del partito socialdemocratico cecoslovacco appariva il sostegno più attivo della reazione nella sua lotta contro i comunisti, il baluardo fidato dei ceti borghesi.
Nel 1948, quando eminenti esponenti del partito socialdemocratico cecoslovacco si unirono con i comunisti, il partito socialdemocratico cecoslovacco cessò di esistere. Però nell’anno in corso, nonostante la decisione del Fronte nazionale e del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco contrarie alla fondazione del partito socialdemocratico, esso di fatto si accingeva a ricostituirsi.
Il 12 giugno a Praga fu ampiamente diffuso un documento intitolato “Posizione del Comitato preparatorio cittadino del partito socialdemocratico cecoslovacco a proposito dell’attuale situazione politica”.
Nel documento si constatava che dopo un’interruzione di 20 anni il partito socialdemocratico ritornava alla vita politica, che esso a quel che si dice non era cessato di esistere né dal punto di vista giuridico, né “come espressione di una determinata concreta concezione politica”. L’unificazione con il Partito comunista cecoslovacco nel giugno del 1948 veniva dichiarata “non valida”.
Il 21 giugno di quest’anno a Praga si tenne una riunione del Comitato preparatorio del partito socialdemocratico cecoslovacco, cui parteciparono i rappresentanti dei socialdemocratici della Boemia e della Moravia. Dopo di che furono fondati comitati regionali, distrettuali e centinaia di organizzazioni primarie del partito socialdemocratico. Il partito cominciava ad agire e per di più ad agire contro il partito comunista cecoslovacco. Nel corso degli ultimi 7 mesi in Cecoslovacchia sono sorti svariati gruppi e organizzazioni di impronta antisocialista. Queste organizzazioni si assumevano il ruolo di centri di opposizione e sempre meno celavano il loro scopo, che era la liquidazione del regime socialista. Un’aperta organizzazione controrivoluzionaria era il “Club 231”; a capo di questo club si erano messi uomini come il vecchio fascista Brodský, l’ex generale borghese Paleček, gli agenti dei servizi di informazione imperialisti Rambousek e Čech, a suo tempo giudicati come spie, e altri. Tutti costoro erano esperti, rabbiosi nemici del socialismo.
Un’altra organizzazione chiaramente antisocialista, estremamente attiva e che si sforzava di trascinare nelle proprie file intellettuali, lavoratori e militari, era il “Club degli attivisti apartitici”. L’ideologo del club, Ivan Sviták, era stato espulso nel passato dal partito comunista cecoslovacco. Egli sfruttava la strategia e la tattica di questa organizzazione. Nella sua estesa dichiarazione pubblicata sulla rivista Reportér, Sviták dava un quadro completo del progressivo allontanamento dei comunisti dal regime e dell’avvento al potere degli anticomunisti attraverso elezioni parlamentarie straordinarie.
Il “Club 231” e il “Club degli apartitici” erano ben lungi dall’essere le uniche organizzazioni di indirizzo antisocialista, ed esse si davano attivamente da fare.
Le organizzazioni antisocialiste in Cecoslovacchia avevano estesissimi legami con i centri d’oltreconfine degli emigrati controrivoluzionari, con partiti e circoli borghesi stranieri.
I dirigenti cecoslovacchi dichiararono che per quanto riguardava le organizzazioni di opposizione sarebbero state prese misure legali. Però non se ne fece nulla. Della gravità della situazione che andava formandosi nel paese, della necessità di misure urgenti per reprimere l’attività delle forze ostili diede una testimonianza particolarmente chiara il fatto della pubblicazione e della vasta propaganda, di schietta estrazione controrivoluzionaria, dell’appello delle “Duemila parole”.
Questo documento, chiaramente indirizzato contro il Partito comunista cecoslovacco, contiene un aperto invito alla lotta contro il potere costituzionale.
Esso fu ampiamente usato per riunire tutti gli scontenti del regime socialista, servì loro come programma di azione. Non si può non attribuire importanza al fatto che gli autori di questa piattaforma ostile minacciavano l’uso delle armi per difendere la propria posizione. L’aperta comparsa di queste forze, cioè il messaggio delle “Duemila parole”, costituiva un valido fondamento per agire decisamente contro di loro, appoggiandosi alle forze del partito e della classe lavoratrice.
Ma non seguì nulla che si potesse chiamare resistenza alle forze controrivoluzionarie. Questo aprì le porte ad altri analoghi interventi, ed essi non si fecero aspettare.
I fatti dimostrano che nelle ultime settimane e negli ultimi giorni la reazione e le organizzazioni antisocialiste hanno rafforzato l’attività sovversiva contro il partito comunista e il regime popolare.
La persecuzione dei comunisti datisi alla nobile causa del socialismo assunse un carattere ancor più smaccato, più sbrigliato.
Sotto lo slogan “Allontanare i conservatori dagli organi del potere statale”, presero ad avanzare sempre più attivamente delle richieste per tenere elezioni anticipate. I rappresentanti delle organizzazioni di destra spinsero le cose fino a questo punto per ottenere con le elezioni la sconfitta del partito comunista.
In altri termini si trattava di un palese tentativo di compiere una svolta controrivoluzionaria.
La controrivoluzione si sforzava di arrivare al potere in silenzio, senza conflitti armati, ma essa aveva previsto anche altre possibilità. I fatti ben noti del rinvenimento di armi nascoste ci dicono che la reazione non escludeva scontri armati con i partigiani del socialismo. Era stata fondata l’unione degli ufficiali dell’ex-armata volontaria cecoslovacca, cioè “l’associazione dei combattenti esteri”. Oltre i confini della Cecoslovacchia, nelle sue immediate vicinanze, si ammassavano e si riunivano grossi gruppi di controrivoluzionari, alcuni dei quali penetravano in Cecoslovacchia portando con sé delle armi.
In una serata all’Università di Praga, Sviták dichiarò apertamente che nell’interesse di portare avanti il principio della democratizzazione fino al conseguimento di “un’assoluta libertà” era lecita anche la via della guerra civile.

VI.


Per effetto dell’azione delle forze di destra, antisocialiste e controrivoluzionarie, in Cecoslovacchia era sorto il pericolo reale di una svolta controrivoluzionaria e di “perdere ciò che il socialismo aveva conquistato”. Proprio ciò è stato il principale motivo di preoccupazione del Partito comunista sovietico e degli altri partiti fratelli per gli avvenimenti politici che accadevano in Cecoslovacchia e per il loro evolversi.
È noto che i comitati centrali del partito comunista bulgaro, del partito operaio socialista ungherese, del partito operaio unificato della Polonia e del partito comunista dell’Unione Sovietica hanno fatto da parte loro tutto il possibile per aiutare, come amici che ne avevano diritto, il Partito comunista cecoslovacco e i popoli della Cecoslovacchia a superare una crisi pericolosa e a impedire che le forze crescenti della controrivoluzione gli infliggessero una sconfitta politica. Dopo gli incontri di maggio dei rappresentanti del Partito comunista sovietico e cecoslovacco a Mosca, il Comitato centrale del Partito comunista sovietico avanzò ripetutamente la proposta di un nuovo incontro bilaterale con la direzione del partito comunista cecoslovacco per sottoporre a esame la situazione che si andava delineando. Però i dirigenti del Partito comunista cecoslovacco lo elusero, adducendo i più svariati motivi.
Fedeli ai principi dell’internazionalismo, mossi da sentimenti di solidarietà con l’amica Cecoslovacchia e di responsabilità per i destini del socialismo sul nostro continente, i dirigenti di tutti i paesi fratelli membri del Patto di Varsavia decisero di incontrarsi con i dirigenti della Cecoslovacchia, per esaminare amichevolmente la situazione che si era formata, indicarne la via d’uscita e offrire loro il proprio aiuto.
Purtroppo i dirigenti del Partito comunista cecoslovacco declinarono questa proposta e non vollero venire a Varsavia. La situazione tuttavia era tale che i partiti fratelli avevano tutte le premesse politiche e morali per portare ugualmente avanti questo incontro.
L’incontro di Varsavia dimostrò la perfetta unità dei cinque partiti comunisti e operai, la loro incrollabile compattezza, la decisione di garantire la resistenza agli intrighi delle forze controrivoluzionarie.
L’analisi degli eventi controrivoluzionari e antisocialisti avvenuti in Cecoslovacchia dimostra in modo convincente che essi avevano un carattere non occasionale ma assai organizzato. In essi erano stati determinati con precisione il momento della comparsa della direzione, dell’obiettivo degli attacchi delle forze antisocialiste; erano state valutate le conseguenze del loro intervento, coordinata l’azione di tutte le forze dei revisionisti di destra all’interno del partito comunista cecoslovacco, degli antisocialisti e dei controrivoluzionari aperti all’interno del paese e gli appoggi dall’esterno.
Tutto questo ci dice che gli eventi erano guidati da forze controrivoluzionarie organizzate, aventi vasti agganci all’interno del paese, le quali dirigevano l’azione delle forze antisocialiste entro i mezzi di comunicazione di massa, tenendosi in relazione con svariati club e con altri partiti. Le forze controrivoluzionarie non si esimevano dall’attaccare anche i principali organismi posti a difesa dello stato.
Gli uomini che attuavano gli scopi controrivoluzionari erano legati ai servizi di informazione stranieri e ai circoli imperialisti d’oltre confine. Inoltre alcuni degli organizzatori delle forze controrivoluzionarie hanno cercato fino all’ultimo di tenersi nell’ombra. Le forze di destra avevano i propri uomini negli organi dirigenti del Partito comunista cecoslovacco, erano ben informate delle loro azioni. Ciò aumentava il pericolo, ed esigeva una lotta decisa di tutto il partito e in primo luogo un’azione efficiente del Presidium del Comitato centrale del partito comunista cecoslovacco e di ogni suo membro e dei membri del governo cecoslovacco. Frattanto si notava che singoli membri del Presidium del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco ed esponenti governativi si discostavano della linea tracciata dal Presidium del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco in ordine ai principali problemi.
Così il membro del Presidium del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco F. Kriegel non solo non si oppose agli elementi antisocialisti, ma in realtà solidarizzò con gli autori di interventi controrivoluzionari di destra, come ad esempio nel caso della sua intervista alla televisione con gli autori delle “Duemila parole”.
Il partito comunista sovietico e gli altri partiti fratelli dei paesi socialisti hanno ripetutamente richiamato su di ciò l’attenzione del direttivo del Partito comunista cecoslovacco. Il nostro tentativo e il tentativo di lotta politica degli altri partiti fratelli e dei paesi socialisti insegna che al pericolo controrivoluzionario non si può voltare le spalle, che su di esso non si può chiudere gli occhi. L’atteggiamento conciliativo, lo sminuire consapevolmente l’importanza e a maggior ragione le civetterie con le forze controrivoluzionarie creano per la reazione la possibilità di spingere le cose fino all’annientamento del socialismo.
Basandosi sull’analisi dei fatti e dei fenomeni avvenuti in Cecoslovacchia, i partiti fratelli hanno sottolineato che in Cecoslovacchia era in atto una vasta offensiva contro il socialismo, in cui il ruolo principale era sostenuto dalle forze della controrivoluzione.
Nell’esecuzione di questo attacco antisocialista si erano attivamente inserite forze imperialiste straniere, forze della controrivoluzione ed elementi revisionisti di destra del Partito comunista cecoslovacco.
I partiti comunisti e operai dei paesi socialisti, sforzandosi di sostenere i fratelli comunisti e tutti i lavoratori della Cecoslovacchia, di scongiurare una svolta pericolosa degli avvenimenti in Cecoslovacchia hanno fatto quanto era possibile fare.
A tal scopo son serviti l’incontro a Čierna nad Tisou fra l’ufficio politico del Comitato centrale del Partito comunista sovietico e il Presidium del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco, e in seguito la conferenza dei sei partiti comunisti e operai dei paesi socialisti, tenutasi a Bratislava.
In questi incontri i rappresentanti del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco assicurarono che essi avrebbero preso immediate e concrete misure per la normalizzazione nel paese, per il rafforzamento e la difesa delle conquiste del socialismo.
Tuttavia dopo gli incontri di Čierna nad Tisou e la conferenza di Bratislava gli organi dirigenti della Cecoslovacchia non fecero niente per opporsi alla controrivoluzione e le forze antisocialiste di destra aumentarono sempre più la propria attività. Queste forze si erano prefisse due scopi ben precisi: privare il partito comunista cecoslovacco del ruolo direttivo nello sviluppo della società socialista, e per questo esse sferrarono un vasto attacco all’autorità del partito, organizzarono contro di esso una rabbiosa campagna di menzogne e di calunnie; disgregare il partito comunista e la società socialista cecoslovacchi facendoli cadere dalla piattaforma ideologica del comunismo scientifico sul terreno del riformismo e della socialdemocrazia, e per questo esse rinnovarono gli attacchi al marxismo-leninismo come dottrina integrale e creativa, e gli attacchi al leninismo; si prefissero come scopo di mutare l’essenza politica della Repubblica socialista cecoslovacca, di ridurla da piattaforma socialista in repubblica borghese, seguendo le rotaie della socialdemocrazia.
L’attuazione di questi scopi risponderebbe appieno agli interessi degli imperialisti. Proprio per questo e non per altro, non per improvviso amore sorto verso il socialismo e la democrazia, verso i lavoratori della Cecoslovacchia, l’allarmante sviluppo degli avvenimenti in Cecoslovacchia è stato così attivamente sostenuto dagli imperialisti e dalla loro propaganda.
Dopo l’incontro di Čierna nad Tisou e la conferenza di Bratislava le forze controrivoluzionarie di destra hanno intensificato ancor più la propria attività. Elementi antisocialisti hanno organizzato campagne per la raccolta di firme che chiedevano lo scioglimento della milizia operaia. Queste campagne sono state accompagnate da comizi e da dimostrazioni di carattere antisocialista.
I comunisti che si facevano avanti in questi comizi erano messi bruscamente a tacere e contro di loro si usava perfino la forza. Sulla stampa si scatenava di nuovo l’isterismo antisocialista. È noto come la reazione abbia fatto rabbiosamente uso dei suoi denti contro 99 operai degli stabilimenti “Auto-Praga”, per il solo fatto che essi si erano fatti coraggiosamente avanti a difendere le conquiste socialiste della classe lavoratrice e l’amicizia dei popoli cecoslovacco e sovietico. Negli ultimi giorni l’attività sovversiva organizzata è giunta al culmine; c’è stato un assalto smascherato all’edificio del segretariato del Comitato centrale del Partito comunista a Praga.
Nel corso degli incontri di Čierna nad Tisou si è rivelata la demarcazione delle forze nel Presidium del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco. Mentre la minoranza dei membri del Presidium, con a capo A. Dubček, interveniva da posizioni di destra chiaramente opportunistiche, la maggioranza occupava la linea principale e dichiarava la necessità di una lotta decisa contro le forze antisocialiste reazionarie, contro le connivenze con la reazione.
Tuttavia gli elementi revisionisti di destra a capo del partito comunista e del governo cecoslovacco hanno fatto fallire l’attuazione degli accordi raggiunti a Čierna nad Tisou e a Bratislava sulla difesa delle posizioni del socialismo in Cecoslovacchia, sulla lotta contro le forze antisocialiste, sulla resistenza agli intrighi dell’imperialismo.
Dichiarando per mascherarsi la propria aspirazione a difendere il socialismo, queste persone, di fatto, hanno tentato soltanto di guadagnar tempo indulgendo alla controrivoluzione. In seguito alle loro azioni sleali e proditorie è sorto un reale pericolo per le conquiste socialiste della Cecoslovacchia. Nell’arena della vita politica della Cecoslovacchia è comparsa un’accanita reazione.
“Le forze estremiste – si sottolinea nel messaggio del gruppo dei membri del Comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco, del governo e dell’Assemblea nazionale della Cecoslovacchia – in tal modo non hanno esaudito gli appelli del partito, e anzi intensificano ancor più la propria attività sovversiva, sforzandosi di provocare nel nostro paese un conflitto a qualunque costo”. Si era messo sulla carta tutto quello che i lavoratori cecoslovacchi hanno realizzato negli ultimi 20 anni, tutte le conquiste del socialismo. Si era attentato non solo alla via della democrazia socialista, intrapresa in gennaio dal popolo cecoslovacco, ma ai fondamenti stessi del socialismo, alla repubblica stessa.
Si era creata un’atmosfera assolutamente inammissibile per dei paesi socialisti. In tale circostanza bisognava agire e agire decisamente e con fermezza senza perder tempo. Proprio per questo l’Unione Sovietica e gli altri stati socialisti hanno deciso di soddisfare la richiesta dei dirigenti del partito e dello stato cecoslovacco di fornire all’amico popolo cecoslovacco un immediato aiuto, compreso l’aiuto militare.
Il destino della Cecoslovacchia socialista sta molto a cuore ai popoli di tutti i paesi socialisti. Essi non possono essere d’accordo col fatto che i nostri nemici comuni distolgono la Cecoslovacchia dalla via del socialismo, minaccino di distaccarla dalla cooperazione socialista.
Troppo pesanti sacrifici hanno sopportato i nostri popoli, troppo sangue hanno versato nell’atroce lotta dell’ultima guerra, nella lotta di liberazione sociale e nazionale, per tollerare che la controrivoluzione strappi la Cecoslovacchia dai sette stati socialisti.
La difesa del socialismo non è soltanto una questione interna del popolo di questo paese, ma anche un problema di difesa delle posizioni del socialismo mondiale. Proprio per questo noi prestiamo il nostro appoggio ai popoli della Cecoslovacchia nella difesa delle conquiste del socialismo. Recando un fraterno sostegno ai nostri compagni cecoslovacchi, cioè ai comunisti, a tutto il popolo cecoslovacco, noi adempiamo il nostro dovere internazionale di fronte a loro, di fronte al movimento comunista operaio internazionale e al movimento di liberazione nazionale.
Questo dovere per noi è superiore a tutto.

Edited by Andrej Zdanov - 27/10/2013, 20:20
view post Posted: 11/4/2013, 15:54 Belinskij - Precursori
CITAZIONE (il faraone @ 25/3/2013, 14:15) 
Scusate se sbaglio, ma mi sembra che Plekhanov confonda "l'arte per l'arte" con l'arte disimpegnata.

L'arte per l'arte è, per definizione, disimpegnata, in quanto si orienta in direzione dell'arte stessa e non di un fine sociale. Si parla, ovviamente, di una ideologia nel senso marxiano del termine, in quanto l'arte per l'arte resta confinata nel pensiero di chi la predica, perché l'arte, indipendemente dalle intenzioni di chi la pratica, ha sempre un effetto sociale.

PS: Fonti affidabili mi riferiscono che le opere di Belinskij potrebbero essere disponibili in lingua francese. Appena posso, farò qualche ricerca.
view post Posted: 11/4/2013, 15:51 Su Breznev (raccolta) - Articoli dei membri della Scuola quadri
CITAZIONE
A prescindere dal risultato dell'esperienza storica, non ti sembra che sia un clamoroso e sintomatico errore porre il comunismo come traguardo raggiungibile?

Per quale motivo ciò sarebbe errato? Io sono del parere opposto: senza porsi una meta (socialismo, comunismo, ecc.) si giunge a quella che Stalin, in polemica con Zinoviev, aveva ironicamente chiamato l'edificazione a casaccio.
Nell'estate del 1947, dopo il Plenum del CC del partito all'inizio dell'anno, Zdanov e i suoi collaboratori (Voznesenskij, Kuznetsov, Suslov, Kapustin, Popov, Popkov, Rodionov, ecc.) elaborarono un piano per edificare il comunismo entro i tardi anni Sessanta; del passaggio graduale al comunismo lo stesso Zdanov aveva già parlato nel 1939, al XVIII Congresso del partito. Dunque non si tratta solamente di un errore brezneviano.
Il comunismo può e deve essere edificato, attraverso la messa in pratica delle misure indicate da Engels, Stalin, Suslov. Altrimenti saremmo degli utopisti, a sostenere qualcosa che poi non possiamo edificare.
view post Posted: 9/4/2013, 21:56 Su Breznev (raccolta) - Articoli dei membri della Scuola quadri
CITAZIONE
Il Conducator voleva emanciparsi dall'URSS brezneviana , che imponeva a essa di diventare un granaio...

Siamo qui di fronte alla famosa divisione internazionale del lavoro. Su questo tema, Suslov ha scritto, nell'articolo del 1971 sul PCUS, partito del marxismo:

In primo luogo è molto importante mostrare obbiettivamente, dalle posizioni dell’internazionalismo proletario, il carattere regolare di integrazione economica e politica dei paesi socialisti, l’interesse vitale di ogni popolo al rafforzamento della compattezza del sistema socialista mondiale, il che risponde pienamente agli interessi nazionali di ogni paese socialista. Il problema attuale è l’elaborazione delle questioni riguardanti l’integrazione economica socialista che, come viene dimostrato nel programma dei paesi del SEV, assicura a tutti i suoi membri un più efficace sfruttamento delle conquiste della rivoluzione tecnico-scientifica, un veloce sviluppo della produzione, il rafforzamento delle posizioni del socialismo nella gara economica con il capitalismo.

E adesso vediamo qualche dato sugli effetti reali di tale politica. Essa fu applicata nel modo più conseguente in Bulgaria. Eccone i risultati:

L’edificazione del socialismo fu portata avanti negli anni 60 in Bulgaria con ritmi serrati sempre più intensi.
Nel decennio in esame il volume degli investimenti di capitale nell’economia aumentò di più di 2,6 volte; la parte maggiore di questi investimenti fu destinata alla realizzazione di nuovi impianti.
Il processo di industrializzazione socialista in questo periodo fu posto in connessione con la realizzazione di grossi impianti industriali, come quello del complesso metallurgico di Kremikovci, il complesso carbonifero-energetico “Mariza-Vostok”, la fabbrica di concimi azotati nei pressi di Stara-Zagora, il complesso petrolchimico nella regione di Burgas, l’ammiraglia dell’industria chimica bulgara, il complesso “Medet” per l’arricchimento di minerali, il complesso siderurgico nei pressi di Plovdiv, una serie di centrali elettriche e di complessi idroelettrici, fabbriche del settore meccanico, industrie del settore alimentare eccetera.
Per effetto dell’incremento della produzione industriale che risultò triplicata, e della produzione agricola, che aumentò del 39 per cento, il reddito nazionale del paese in questo decennio aumentò di circa il doppio.
Le trasformazioni sociali ed economiche che avevano interessato la società bulgara determinarono una svolta in campo demografico e mutamenti nella ripartizione per settori produttivi della forza lavoro.
Si sviluppò con intensità il processo di urbanizzazione. Mutarono i rapporti percentuali tra popolazione urbana e popolazione rurale, rispettivamente il 38 e il 62 per cento nel 1960 e il 53 e il 47 per cento nel 1970.
Mentre agli inizi del decennio in esame la percentuale degli occupati nell’agricoltura era del 54,7 per cento rispetto al totale degli occupati nell’economia del paese, alla fine del periodo si era ridotta al 35,2 per cento.
La percentuale degli occupati nell’industria, nell’edilizia, nei trasporti e negli altri settori della produzione materiale aumentò rispettivamente dal 36,1 al 51,7 per cento.
Il numero degli operai occupati nella sola industria aumentò dai 627 mila del 1960 ai 918 mila del 1970.
Il ruolo della classe operaia quale forza produttiva primaria della società e fattore decisivo nella vita economica e sociale del paese crebbe notevolmente.
Aumentò sempre di più il valore dei fattori intensivi di espansione della riproduzione. L’aumento della produttività del lavoro nel periodo del quarto piano quinquennale fu in media pari al 7,1 per cento l’anno; nel periodo del quinto piano quinquennale questo valore aumentò all’8,3 per cento.
Le possibilità offerte dall’economia pianificata socialista si manifestarono con evidenza nell’industria che si affermò definitivamente quale settore portante dell’economia.
Dal 1961 al 1970 il peso specifico dell’industria produttrice di mezzi di produzione (gruppo “A”) rispetto al complesso del prodotto industriale aumentò dal 47,2 al 54,7 per cento.
Il prodotto industriale per unità di popolazione realizzato in Bulgaria si avvicino ai valori dei paesi socialisti più sviluppati dal punto di vista economico.
Nel corso del quarto e del quinto piano quinquennale i fondi di produzione di base nelle campagne bulgare così come la produttività del lavoro agricolo aumentarono di più del doppio.
Per i ritmi di crescita della produzione agricola per unità di popolazione la Repubblica Popolare di Bulgaria occupò il primo posto nel mondo; per la produzione di uva, pomodori e altri prodotti agricoli si confermò tra i paesi con gli indici produttivi più elevati. Aumentò notevolmente anche la produzione di mais, latte e altri prodotti dell’allevamento.
Subì notevoli cambiamenti lo stesso stile di vita delle campagne bulgare nelle quali si andò sempre più affermando lo stile socialista di vita. Sia per le condizioni di lavoro che per il livello culturale e la coscienza sociale i contadini delle cooperative si avvicinarono notevolmente alla classe operaia.
Lo sviluppo economico creò i presupposti per una più completa soddisfazione delle esigenze dei lavoratori.
Nel 1960-1970 i fondi sociali di consumo aumentarono di più di tre volte.
Aumentarono alquanto anche i salari degli operai e degli impiegati e i redditi dei contadini delle cooperative.
Contemporaneamente si realizzò con notevole intensità il processo di avvicinamento della popolazione rurale alle altre categorie di lavoratori per l’ammontare dei redditi e per il tenore di vita complessivo.
Gli indici dei redditi reali degli operai e degli impiegati (posto uguale a 100 il reddito del 1952) erano pari a 192 nel 1960 e 303 nel 1970, erano cioè aumentati del 57 per cento; quelli dei contadini erano rispettivamente pari a 170 e 283, erano cioè aumentati del 66 per cento.
Nel 1968 gli operai e gli impiegati cominciarono a passare alla settimana lavorativa di cinque giorni, furono aumentate le pensioni di alcune categorie di lavoratori.
Fu attuato con successo il programma di edilizia civile, compresa quella abitativa.
Notevoli successi furono conseguiti anche nel settore dell’istruzione, della scienza e della cultura.
Il numero degli specialisti con un grado di istruzione alto e medio aumentò dai 257 mila del 1960 ai 521 mila del 1970, pari al 30 per cento del totale degli occupati nell’economia.
[...]
Grazie alle conquiste scientifiche e tecniche conseguite in URSS e all’aiuto che l’Unione Sovietica diede al paese, l’industria bulgara poté in breve tempo disporre di industrie siderurgiche e meccaniche, poté produrre macchine e attrezzature, impadronirsi dei procedimenti produttivi più complessi nel settore chimico.
L’Unione Sovietica concesse alla Bulgaria consistenti crediti a lungo termine.
Con l’aiuto della tecnologia sovietica furono realizzati in Bulgaria impianti industriali in molti settori dell’economia. Agli inizi degli anni 70 queste fabbriche producevano il 95 per cento dei metalli ferrosi, l’85 per cento dei metalli non ferrosi, l’80 per cento del petrolio e dei suoi derivati.
Nell’agosto del 1970 tra Unione Sovietica e Bulgaria fu raggiunto un accordo sulla coordinazione dei piani di sviluppo per il 1971-1975 riguardanti tutti i settori dell’economia.
Identico aiuto nello spirito della collaborazione fraterna fornirono alla Bulgaria gli altri paesi socialisti con potenziale economico sviluppato. Da parte sua anche la Bulgaria diede il suo contributo allo sviluppo dell’economia dei paesi fratelli.
I paesi della comunità socialista garantirono continuità nei rifornimenti di materie prime, macchinari e materiali non disponibili nel paese in quantità sufficiente e fornirono alla Bulgaria mercati di smercio per i suoi prodotti.
Nella struttura delle esportazioni bulgare nel corso degli anni 60 si realizzarono molti mutamenti.
Nel periodo 1961-1970 il peso specifico dei prodotti industriali rispetto al totale delle esportazioni aumentò dall’84,4 al 92,1 per cento mentre quello dei prodotti agricoli diminuì dal 16,6 al 7,9 per cento. Mentre nel 1960 i macchinari di produzione nazionale bulgara costituivano il 12,6 per cento delle esportazioni questa percentuale nel 1970 saliva al 27,3 per cento.
Circa il 75-80 per cento delle esportazioni bulgare, che nel periodo 1961-1970 erano aumentate di più di tre volte, risultava diretto verso i paesi della comunità socialista e, in particolare, il 60 per cento veniva esportato in URSS.
Intervenendo al plenum del Cc del Pcb nel luglio del 1968 Todor Zivkov dichiarava che l’esperienza quasi ventennale di lavoro per l’edificazione socialista in Bulgaria dimostrava incontrovertibilmente la giustezza della linea di integrazione economica della Bulgaria con gli altri paesi socialisti e, innanzitutto, con l’economia dell’Unione Sovietica.
(Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia universale, vol. XIII, pp. 96-97 e 99)
view post Posted: 6/4/2013, 21:24 Indice - Problemi della pace
Da Stalin, Problemi della pace, Edizioni di Cultura Sociale, 1953:


Indice

Prefazione
I – Messaggio al popolo sovietico
II – Brindisi al popolo russo
III – Brindisi agli uomini semplici
IV – Agli elettori della circoscrizione «Stalin» di Mosca
V – Il ventottesimo anniversario dell’Esercito rosso
VI – Sul discorso di Churchill a Fulton
VII – Intervista di Gilmore
VIII – Risposta al telegramma di Hugh Baillie
IX – Ordine del giorno per il Primo maggio 1946
X – Ordine del giorno per l’anniversario della vittoria
XI – Risposte ad Alexander Werth
XII – Risposte ad Hugh Baillie
XIII – Intervista ad Elliot Roosevelt
XIV – Risposta al colonnello Razin
XV – Ordine del giorno per la giornata dell’Esercito sovietico
XVI – Resoconto dell’intervista di Harold Stassen
XVII – Discorso alla delegazione del governo finlandese
XVIII – Risposta alla «lettera aperta» di Wallace
XIX – Risposte al corrispondente della «Pravda»
XX – Risposte a Kingsbury Smith
XXI – Messaggio per la fondazione della Repubblica democratica tedesca
XXII – Risposta al Pandit Nehru
XXIII – Intervista alla «Pravda»
XXIV – Al corrispondente della «Pravda» sull’arma atomica
XXV – Messaggio al popolo giapponese
XXVI – Risposte alle domande di un gruppo di giornalisti americani
XXVII – L’aggravarsi della crisi del sistema capitalistico mondiale
XXVIII – L’inevitabilità della guerra fra i paesi capitalistici
XXIX – Discorso al XIX Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica
XXX – Risposte a James Reston
view post Posted: 6/4/2013, 21:12 Risposte a James Reston - Problemi della pace
Da Stalin, Problemi della pace, Edizioni di Cultura Sociale, 1953:


XXX – RISPOSTE A JAMES RESTON
Le risposte furono date al Reston, corrispondente diplomatico del New York Times, il 21 dicembre 1952.


Domanda. – Con l’avvicinarsi dell’anno nuovo, con l’inizio della nuova amministrazione negli Stati Uniti, è ancora vostro convincimento che l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e gli Stati Uniti possano vivere pacificamente negli anni venturi?
Risposta. – Continuo a credere che la guerra fra gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica non possa considerarsi inevitabile e che i nostri paesi possano continuare a vivere in pace.

Domanda. – Dove sono secondo il vostro giudizio le cause della presente tensione internazionale?
Risposta. – In ogni luogo e in ogni cosa, dove le azioni aggressive della politica della «guerra fredda», diretta contro l’Unione Sovietica, trovano la loro espressione.

Domanda. – Accogliereste favorevolmente trattative diplomatiche con i rappresentanti della nuova amministrazione Eisenhower per esaminare le possibilità di un incontro fra voi e il generale Eisenhower allo scopo di alleviare la tensione internazionale?
Risposta. – Considero favorevolmente una tale proposta.

Domanda. – Collaborereste a qualsiasi nuova iniziativa diplomatica intesa a porre termine alla guerra in Corea?
Risposta. – Consento a collaborare perchè l’U.R.S.S. è interessata a liquidare la guerra in Corea.
view post Posted: 6/4/2013, 21:09 Discorso al XIX Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica - Problemi della pace
Da Stalin, Problemi della pace, Edizioni di Cultura Sociale, 1953:


XIX – DISCORSO AL XIX° CONGRESSO DEL PARTITO COMUNISTA DELL’UNIONE SOVIETICA
14 ottobre 1952.


Compagni!

Permettetemi di esprimere a nome del nostro congresso a tutti i partiti e raggruppamenti fratelli, i cui rappresentanti hanno onorato il nostro congresso con la loro presenza o che hanno fatto pervenire al congresso messaggi di saluto, il ringraziamento per gli amichevoli saluti, per gli auguri di successo, per la loro fiducia.
Ci è particolarmente cara questa fiducia, che significa da parte loro precisa volontà di appoggiare il nostro partito nella lotta per un luminoso avvenire dei popoli, nella sua lotta contro la guerra, nella sua lotta per il mantenimento della pace.
Sarebbe un errore pensare che il nostro partito, divenuto una forza potente, non abbia più bisogno di appoggio. Questo non è vero. Il nostro partito, il nostro paese sempre ebbero e avranno bisogno della fiducia, della simpatia e dell’appoggio dei popoli fratelli degli altri paesi. La particolarità di questo appoggio consiste nel fatto che ogni appoggio alle pacifiche aspirazioni del nostro partito nel suo sforzo per il mantenimento della pace da parte di qualsiasi partito fratello, significa, nel medesimo tempo, un appoggio dato da quello stesso partito al proprio popolo nella sua lotta per il mantenimento della pace.
Quando gli operai inglesi, nel 1918-1919, durante l’intervento armato della borghesia inglese contro l’Unione Sovietica, organizzarono la lotta contro la guerra, con la parola d’ordine «Giù le mani dalla Russia», questo fu in primo luogo un appoggio alla lotta del loro popolo per la pace e, in secondo luogo, un appoggio all’Unione Sovietica.
Quando il compagno Thorez o il compagno Togliatti dichiararono che i loro popoli non faranno la guerra contro i popoli dell’Unione Sovietica, questo è in primo luogo un appoggio agli operai e ai contadini di Francia e d’Italia che lottano per la pace e, in secondo luogo, un appoggio alle aspirazioni pacifiche dell’Unione Sovietica.
Il carattere particolare di quest’appoggio reciproco si spiega con il fatto che gli interessi del nostro partito non solo non sono in contraddizione, al contrario si fondono con gli interessi dei popoli amanti della pace. Per quanto concerne l’Unione Sovietica, i suoi interessi sono inseparabili in generale dalla causa della pace in tutto il mondo.
Naturalmente il nostro partito non può rimanere in debito verso i partiti fratelli, ed esso stesso deve dare a sua volta il suo appoggio a loro e ai loro popoli, nella loro lotta per la liberazione, nella loro lotta per il mantenimento della pace. Come noto, il nostro partito agisce così.
Dopo che il nostro partito ebbe preso il potere nel 1917 ed ebbe adottato una serie di misure concrete per la liquidazione dell’oppressione dei capitalisti e dei grandi proprietari fondiari, i rappresentanti dei partiti fratelli furono orgogliosi del coraggio e dei successi del nostro partito e gli diedero il titolo di «reparto d’assalto» del movimento operaio rivoluzionarlo mondiale. Con ciò essi esprimevano la speranza che i successi del “reparto d’assalto avrebbero reso meno grave la situazione dei popoli che si trovavano ancora sotto il giogo del capitalismo. Io penso che il nostro partito ha corrisposto a tali speranze, particolarmente durante il periodo della seconda guerra mondiale, quando l’Unione Sovietica annientando la tirannide fascista tedesca e giapponese, ha liberato i popoli dell’Europa e dell’Asia dalla minaccia della schiavitù fascista. Certo, era molto difficile adempiere questo compito d’onore, quando il «reparto d’assalto» era il solo, l’unico, quando doveva adempiere a questo compito di avanguardia quasi solo. Ma oggi non è più così; oggi la situazione è completamente diversa. Oggi, che dalla Cina alla Corea, dalla Cecoslovacchia all’Ungheria sono sorti nuovi «reparti d’assalto» – i paesi di democrazia popolare – oggi è diventato più facile per il nostro partito condurre la sua lotta e anche il lavoro procede con maggiore slancio.
Una particolare attenzione meritano quei partiti comunisti, democratici, operai e contadini che non sono ancora giunti al potere e continuano a lavorare sotto il tallone delle draconiane leggi borghesi. Per essi, evidentemente, il lavoro è molto più difficile. Tuttavia il loro lavoro non è così difficile come fu per noi comunisti russi, sotto il regime zarista, quando il più piccolo movimento in avanti veniva considerato come il più grave dei delitti. Tuttavia i comunisti russi hanno tenuto duro, non hanno avuto paura delle difficoltà e hanno ottenuto la vittoria. La stessa cosa avverrà per questi partiti.
Perché il lavoro di questi partiti non sarà così difficile come quello dei comunisti russi all’epoca dello zarismo?
In primo luogo, perché essi hanno di fronte a sé l’esempio di lotte e di successi come quelli dell’Unione Sovietica e delle democrazie popolari. Di conseguenza possono trarre insegnamento dagli errori e dai successi di questi paesi e rendere così più facile il proprio lavoro.
In secondo luogo perché la stessa borghesia – il nemico principale del movimento di liberazione – è divenuta un’altra, si è trasformata in modo molto profondo, è divenuta più reazionaria, ha perso i legami col popolo e, di conseguenza, si è indebolita. Si comprende che questo fatto deve rendere più facile l’azione dei partiti comunisti e dei partiti democratici.
Prima, la borghesia si permetteva di fare del liberalismo, difendeva le libertà democratico-borghesi e, in tal modo, si creava una popolarità. Oggi del liberalismo non è rimasta traccia: non vi è più «libertà individuale» e i diritti della persona sono riconosciuti solo a chi ha il capitale, mentre tutti gli altri cittadini sono considerati come grezzo materiale umano, buono soltanto per essere sfruttato.
Viene calpestato il principio dell’uguaglianza dei diritti degli uomini e delle nazioni: esso è sostituito dal principio dei pieni diritti solo per la minoranza degli sfruttatori e dalla mancanza di diritti per la maggioranza sfruttata dei cittadini.
La bandiera delle libertà democratico-borghesi la borghesia l’ha buttata a mare; io penso che tocca a voi, rappresentanti dei partiti comunisti e democratici, di risollevarla e portarla avanti, se volete raggruppare attorno a voi la maggioranza del popolo. Non vi è nessun altro che la possa levare in alto.
Prima, la borghesia era considerata la guida della nazione: essa difendeva i diritti e l’indipendenza della nazione e li poneva «al di sopra di tutto». Ora non vi è più traccia del «principio nazionale», oggi la borghesia vende i diritti e l’indipendenza della nazione per dei dollari.
La bandiera della indipendenza nazionale e della sovranità nazionale è stata gettata a mare: non vi è dubbio che questa bandiera toccherà a voi di risollevarla e portarla in avanti, a voi rappresentanti dei partiti comunisti e democratici, se volete essere i patrioti del vostro paese, se volete essere la forza dirigente della nazione. Non vi è nessun altro che la possa levare in alto.
Tale è oggi la situazione.
Si comprende che tutte queste circostanze devono rendere più facile il lavoro dei partiti comunisti e democratici, che non sono ancora giunti al potere. Di conseguenza ci sono tutte le condizioni per prevedere il successo e la vittoria del partiti fratelli nei paesi dove domina ancora il capitalismo.
Viva i nostri partiti fratelli!
Lunga vita e salute ai dirigenti dei partiti fratelli!
Viva la pace fra i popoli!
Abbasso i fomentatori di guerra!
view post Posted: 6/4/2013, 21:05 L’inevitabilità della guerra fra i paesi capitalistici - Problemi della pace
Da Stalin, Problemi della pace, Edizioni di Cultura Sociale, 1953:


XXVIII – L’INEVITABILITÀ DELLE GUERRE FRA I PAESI CAPITALISTICI
Da Problemi economici del socialismo nell’U.R.S.S., 1° febbraio 1952.


Alcuni compagni affermano che in seguito allo sviluppo delle nuove condizioni internazionali dopo la seconda guerra mondiale, le guerre fra i paesi capitalistici hanno cessato di essere inevitabili. Essi ritengono che i contrasti fra il campo del socialismo e il campo del capitalismo siano più forti dei contrasti fra i paesi capitalistici; che gli Stati Uniti d’America abbiano sufficientemente soggiogato gli altri paesi capitalistici per impedire che essi combattano fra loro e si indeboliscano a vicenda; che gli uomini più intelligenti del capitalismo siano stati abbastanza istruiti dall’esperienza delle due guerre mondiali, che hanno inflitto sì gravi danni a tutto il mondo capitalistico, per permettersi di trascinare nuovamente i paesi capitalistici in una guerra fra loro, – che, in considerazione di tutto questo, le guerre tra i paesi capitalistici abbiano cessato di essere inevitabili.
Questi compagni sbagliano. Essi vedono i fenomeni esteriori, che affiorano alla superficie, ma non vedono le forze profonde, le quali, anche se per un momento agiscono senza farsi notare, determineranno tuttavia il corso degli avvenimenti.
Esteriormente tutto sembrerebbe andare «ottimamente»: gli Stati Uniti d’America hanno messo al passo la Europa occidentale, il Giappone e gli altri paesi capitalistici; la Germania (occidentale), l’Inghilterra, la Francia, l’Italia, il Giappone, caduti tra gli artigli degli Stati Uniti di America, eseguono docilmente gli ordini degli Stati Uniti. Ma sarebbe errato pensare che questo andare «ottimamente» possa mantenersi «nei secoli dei secoli», che questi paesi sopporteranno senza fine il dominio e l’oppressione degli Stati Uniti d’America, che essi non tenteranno di sottrarsi alla schiavitù americana e di porsi sulla strada di uno sviluppo autonomo.
Prendiamo prima di tutto l’Inghilterra e la Francia. Non vi è dubbio che le materie prime a buon mercato e i mercati di sbocco assicurati hanno per essi un’importanza di prim’ordine. Si può ammettere che essi sopporteranno senza fine la situazione attuale, in cui gli americani, con il pretesto di «aiutarli» mediante il «piano Marshall», si istallano nell’economia dell’Inghilterra e della Francia, cercando di trasformarla in una appendice dell’economia degli Stati Uniti d’America; in cui il capitale americano si impadronisce delle materie prime e dei mercati di sbocco delle colonie anglo-francesi, preparando così una catastrofe per gli alti profitti dei capitalisti anglo-francesi? Non sarebbe più giusto dire che l’Inghilterra capitalistica, e dopo di essa anche la Francia capitalistica, saranno costrette in fin dei conti a svincolarsi dalla stretta degli Stati Uniti d’America e a entrare in conflitto con essi per assicurarsi una situazione autonoma e, naturalmente, alti profitti?
Passiamo ai principali paesi vinti, alla Germania (occidentale), al Giappone. Questi paesi trascinano oggi una misera esistenza sotto lo stivale dell’imperialismo americano. La loro industria e l’agricoltura, il loro commercio, la loro politica interna ed esterna, tutta la loro esistenza è avvinta dalle catene del «regime» americano di occupazione. Ma questi paesi erano ancora ieri grandi potenze imperialistiche, che scossero le basi del dominio dell’Inghilterra, degli Stati Uniti d’America e della Francia in Europa e in Asia. Pensare che questi paesi non tenteranno nuovamente di rimettersi in piedi, di infrangere il «regime» degli Stati Uniti d’America e porsi sulla strada dello sviluppo autonomo significa credere nei miracoli.
Si dice che i contrasti tra il capitalismo e il socialismo sono più forti che i contrasti fra i paesi capitalistici. Teoricamente, certo, questo è vero. è vero non solo oggi, ai nostri giorni, ma era vero anche alla vigilia della seconda guerra mondiale. E lo capivano, in maggiore o minore misura, anche i dirigenti dei paesi capitalistici. Eppure la seconda guerra mondiale non incominciò con la guerra contro l’U.R.S.S., ma con la guerra fra i paesi capitalistici. Perché? Perché, in primo luogo, la guerra contro la U.R.S.S., in quanto guerra contro il paese del socialismo, è più pericolosa per il capitalismo della guerra fra i paesi capitalistici, giacché mentre la guerra fra i paesi capitalistici pone solo la questione del predominio di determinati paesi capitalistici su altri paesi capitalistici, la guerra contro l’U.R.S.S. deve invece necessariamente porre la questione dell’esistenza del capitalismo stesso. In secondo luogo, perché i capitalisti, sebbene a scopo di «propaganda» facciano chiasso circa la aggressività dell’Unione Sovietica, non credono essi stessi a questa aggressività, poiché tengono conto della politica pacifica dell’Unione Sovietica e sanno che l’Unione Sovietica non attaccherà, dal canto suo, i paesi capitalistici.
Anche dopo la prima guerra mondiale si riteneva che la Germania fosse stata definitivamente messa fuori combattimento, così come alcuni compagni pensano oggi che siano stati messi definitivamente fuori combattimento il Giappone e la Germania. Anche allora sulla stampa si parlava e faceva chiasso circa il fatto che gli Stati Uniti d’America avevano messo al passo l’Europa, che la Germania non avrebbe più potuto rimettersi in piedi, che non ci dovevano più essere guerre fra i paesi capitalistici. Ma cionondimeno la Germania, a distanza di circa 15-20 anni dalla sua sconfitta, si risollevò e si rimise in piedi come grande potenza, sottraendosi alla schiavitù e prendendo il cammino di uno sviluppo autonomo. È significativo inoltre che nessun altro se non l’Inghilterra e gli Stati Uniti d’America avevano aiutato la Germania a risollevarsi economicamente e ad accrescere il proprio potenziale economico e militare. Naturalmente, gli Stati Uniti d’America e l’Inghilterra, aiutando la Germania a risollevarsi economicamente, miravano a rivolgere contro l’Unione Sovietica la Germania risollevata, a servirsene contro il paese del socialismo. Ma la Germania diresse le sue forze innanzi tutto contro il blocco anglo-franco-americano, e quando la Germania hitleriana dichiarò guerra all’Unione Sovietica, il blocco anglo-franco-americano non solo non si associò alla Germania hitleriana, ma, al contrario, fu costretto a entrare in coalizione con l’U.R.S.S contro la Germania hitleriana.
Per conseguenza, la lotta dei paesi capitalistici per i mercati e il desiderio di sommergere i propri concorrenti si rivelarono praticamente più forti che i contrasti fra il campo dei capitalisti e il campo del socialismo.
Si domanda: quale garanzia esiste che la Germania e il Giappone non si rimettano nuovamente in piedi e non tentino di sottrarsi dalla schiavitù americana e di vivere una propria vita autonoma? Penso che non esistano garanzie di questo genere.
Ma da ciò deriva che l’inevitabilità delle guerre fra i paesi capitalistici continua a sussistere.
Si dice che la tesi di Lenin secondo cui l’imperialismo genera inevitabilmente le guerre deve considerarsi superata, perché attualmente si sono sviluppate potenti forze popolari che agiscono in difesa della pace, contro una nuova guerra mondiale. Questo non è vero.
L’attuale movimento per la pace ha lo scopo di sollevare le masse popolari alla lotta per mantenere la pace, per scongiurare una nuova guerra mondiale. Per conseguenza, esso non persegue lo scopo di rovesciare il capitalismo e di istaurare il socialismo, – esso si limita a perseguire i fini democratici della lotta per mantenere la pace. Sotto questo aspetto l’attuale movimento per mantenere la pace si distingue dal movimento svoltosi durante la prima guerra mondiale per trasformare la guerra imperialistica in guerra civile, giacché questo ultimo movimento andava oltre e perseguiva fini socialisti.
Può darsi che, per un concorso di circostanze, la lotta per la pace si sviluppi in certe zone trasformandosi in lotta per il socialismo, ma questo non sarebbe più l’attuale movimento per la pace, bensì un movimento per rovesciare il capitalismo.
La cosa più probabile è che l’attuale movimento per la pace, inteso come movimento per mantenere la pace, in caso di successo porterà a scongiurare una guerra determinata, a rinviarla per un certo tempo, a mantenere per un certo tempo una pace determinata, a costringere alle dimissioni un governo guerrafondaio sostituendolo con un altro governo, disposto a salvaguardare per un certo tempo la pace. Questa, naturalmente, è una cosa buona. Anzi, è una cosa ottima. Tuttavia questo non basta per eliminare l’inevitabilità delle guerre fra i paesi capitalistici. Non basta, perché, nonostante tutti questi successi del movimento per la difesa della pace, l’imperialismo continua a sussistere, conserva le sue forze, – e per conseguenza, continua a sussistere l’inevitabilità delle guerre.
Per eliminare l’inevitabilità delle guerre, è necessario distruggere l’imperialismo.

Edited by Andrej Zdanov - 3/12/2013, 22:45
view post Posted: 6/4/2013, 21:03 L’aggravarsi della crisi del sistema capitalistico mondiale - Problemi della pace
Da Stalin, Problemi della pace, Edizioni di Cultura Sociale, 1953:


XXVII – L’AGGRAVARSI DELLA CRISI DEL SISTEMA CAPITALISTICO MONDIALE
Da Problemi economici del socialismo nell’U.R.S.S., 1° febbraio 1952.


La disgregazione del mercato mondiale unico e universale deve considerarsi il risultato economico più importante della seconda guerra mondiale e delle sue conseguenze economiche. Questa circostanza ha determinato l’ulteriore approfondimento della crisi generale del sistema capitalistico mondiale.
La seconda guerra mondiale stessa fu generata da questa crisi. Ciascuna delle due coalizioni capitalistiche, scagliatesi l’una contro l’altra durante la guerra, contava di schiacciare l’avversario e di conquistare il dominio mondiale. In questo esse cercavano una via di uscita dalla crisi. Gli Stati Uniti d’America contavano di eliminare la Germania e il Giappone dalla schiera dei loro concorrenti più pericolosi, di impadronirsi dei mercati esteri, delle risorse mondiali di materie prime e conquistare il dominio mondiale.
Ma la guerra non soddisfece queste speranze. E’ vero, la Germania e il Giappone furono messi fuori combattimento come concorrenti dei tre principali paesi capitalistici: gli Stati Uniti d’America, l’Inghilterra e la Francia. Ma in pari tempo la Cina e gli altri paesi di democrazia popolare in Europa si staccarono dal sistema capitalistico, formando insieme all’Unione Sovietica un unico e potente campo socialista, opposto al campo del capitalismo. Il risultato economico dell’esistenza di due campi opposti è stato che il mercato mondiale unico e universale si è spezzato, per cui abbiamo oggi due mercati mondiali paralleli, anch’essi opposti l’uno all’altro.
E’ necessario osservare che gli Stati Uniti d’America e l’Inghilterra con la Francia hanno favorito essi stessi, naturalmente contro la loro volontà, la formazione e il consolidamento del nuovo mercato mondiale parallelo. Essi hanno sottoposto a un blocco economico l’U.R.S.S., la Cina e i paesi europei di democrazia popolare, che non erano entrati nel sistema del «piano Marshall», pensando con ciò di soffocarli. Ma di fatto si è avuto non un soffocamento, bensì un consolidamento del nuovo mercato
Certo, l’elemento essenziale è dato qui non dal blocco economico, ma dal fatto che nel periodo dopo la guerra questi paesi si sono avvicinati economicamente e hanno avviato fra loro una collaborazione economica e una mutua assistenza. L’esperienza di questa collaborazione dimostra che nessun paese capitalistico avrebbe potuto prestare un aiuto così efficace e tecnicamente qualificato ai paesi di democrazia popolare, come quello che presta loro l’Unione Sovietica. Non si tratta solo del fatto che questo aiuto ha un costo minimo per questi paesi ed è tecnicamente di prim’ordine. Si tratta, innanzi tutto, del fatto che questa collaborazione si basa sul desiderio più sincero di aiutarsi a vicenda e di realizzare uno sviluppo economico comune. Come risultato, abbiamo ritmi elevati di sviluppo dell’industria in questi paesi. Si può affermare con sicurezza che, grazie a questi ritmi di sviluppo dell’industria, si arriverà rapidamente a ottenere che questi paesi non solo non abbiano bisogno di importare merci dai paesi capitalistici, ma sentano essi stessi la necessità di esportare le merci eccedenti della loro produzione.
Ma da questo deriva che la sfera d’applicazione delle forze dei principali paesi capitalistici (Stati Uniti d’America, Inghilterra, Francia) alle risorse mondiali non si estenderà, ma si ridurrà; che le condizioni del mercato mondiale di sbocco per questi paesi peggioreranno e si accentuerà la contrazione della produzione per le aziende di questi paesi. In questo consiste, propriamente, l’approfondirsi della crisi generale del sistema capitalistico mondiale per quanto riguarda la disgregazione del mercato mondiale.
Di questo si accorgono anche i capitalisti, perché è difficile non accorgersi della perdita di mercati come l’U.R.S.S. e la Cina. Essi si sforzano di superare queste difficoltà con il «piano Marshall», con la guerra in Corea, con la corsa degli armamenti, con la militarizzazione dell’industria. Ma questo ricorda gli annegati che si afferrano a un fuscello.
In riferimento a questa situazione sono sorte per gli economisti due questioni.
a) Si può affermare che sia tuttora valida la nota tesi di Stalin sulla relativa stabilità dei mercati nel periodo della crisi generale del capitalismo, enunciata prima della seconda guerra mondiale?
b) Si può affermare che sia tuttora valida la nota tesi di Lenin, da lui enunciata nella primavera del 1916, che, nonostante la putrefazione del capitalismo, «nel suo insieme il capitalismo cresce con un ritmo incomparabilmente più rapido di prima»?
Penso che non lo si possa affermare. Le nuove condizioni sorte in legame con la seconda guerra mondiale han fatto sì che entrambe queste tesi debbano considerarsi superate.

Edited by Andrej Zdanov - 12/6/2013, 12:55
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