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Su una critica “hoxhaista” dello “zdanovismo”, Andrej Zdanov (utente)

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Alaricus Rex
view post Posted on 13/1/2013, 19:48 by: Alaricus Rex

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Visto che il forum su cui il mio avversario (Hoxhaista Ortodosso) aveva pubblicato il suo articolo è stato chiuso, riproduco direttamente qui il bersaglio della mia controcritica:


Per una critica dello Zdanovismo


Premessa e introduzione


Il fenomeno dello Zdanovismo, sebbene non sia particolarmente dibattuto nell’ambito della dialettica teorica del movimento comunista internazionale, costituisce una questione di cruciale importanza per la formazione e l’educazione delle forze rivoluzionarie, sovente sottoposta a mistificazioni errate, sia da parte degli ammiratori di Zdanov che dei suoi detrattori. Innanzitutto, occorre precisare che il presente articolo, lungi dall’essere una condanna perentoria e definitiva dello Zdanovismo, intende rivelarsi un utile contributo all’approfondimento di questo fenomeno, approfondimento incentrato sulle sue caratteristiche negative, sui danni che questo fenomeno può apportare nella prassi e nella teoria del movimento comunista internazionale, danni che si estendono dall’ambito prettamente artistico e culturale, sino alla politica estera. Il presente articolo, conseguentemente, intende costituire una fonte alternativa di spunti e riflessioni inerenti il fenomeno dello Zdanovismo, che differisca dall’impostazione critica nei confronti della politica zdanoviana di carattere trotskista ed eurocomunista, in quanto il presente articolo è volto altresì a rigettare tale impostazione critica, basata su presupposti totalmente differenti da quelli marxisti-leninisti. Infatti, esso non costituisce un altro degli innumerevoli irritanti echi “anti-totalitari”, esso non critica la politica zdanoviana come “oppressiva”, esso non difende le presunte vittime di un’altrettanta presunta “espressione culturale della dittatura stalinista”. No, il presente articolo non critica l’operato del compagno Stalin, non è una febbrile lagna sinistroide, bensì un tentativo di confutare e debellare un fenomeno che, a nostro dire, costituisce l’altra faccia della medaglia dell’anticomunismo, una faccia della medaglia sulla quale sono raffigurate le meschine aspirazioni nazionalistiche grandi-russe e l’individualismo anti-proletario ultra-intellettualistico che Zdanov e gli zdanoviani, per il momento, sono riusciti abilmente a celare esaltando un Realismo “Socialista” che potrebbe essere definito la “quinta colonna culturale” dell’arte e la filosofia mecenatistiche dei più riprovevoli ambienti monarchici dell’Europa del XVIII-XIX Secolo.
Pertanto, questo articolo suddivide la critica dello Zdanovismo in base ai vari ambiti lambiti da quest’ultimo. Cominciando da quello principale, inerente la politica artistico-culturale zdanoviana, sino alle considerazioni inerenti la teoria della lotta di classe nella società socialista e la politica estera.


La politica artistico-culturale


Nel periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione d’Ottobre, sino agli Anni Trenta, l’arte e la cultura sovietica conobbero un successo e una diffusione inimmaginabile, varcarono i confini dello stato sovietico costituendo l’espressione universale della cultura dei proletari e dei contadini, oltre ad essere elogiate in patria, accettate dalle autorità sovietiche sia durante il governo di Lenin che quello di Stalin, e ancora oggi riscuotono ammirazione e compiacimento quando vengono rimembrate e menzionate dai progressisti di tutto il mondo, al punto che taluni quartieri operai sovietici formarono persino gruppi “comunisti-futuristi”. Durante questo periodo, l’età dell’oro della cultura, dell’arte e della poesia sovietiche, si affermò il nuovo stile rivoluzionario, la forma innovativa dal contenuto genuinamente proletario: il Futurismo Sovietico, del quale Vladimir Majakovskij fu l’esponente maggiormente illustre, corrente artistica la quale, in concomitanza con il proletariato russo, sembrò scalzare definitivamente gli elementi reazionari, aristocratici e borghesi, della cultura e dell’arte, mettendo in atto pertanto la rivoluzione anche nell’ambito sovrastrutturale. Ciononostante, inaspettatamente, il 14 Aprile 1930 a Mosca, Majakovskij si suicidò, oppure, con molta probabilità, fu vittima di un omicidio, presentato all’opinione pubblica come un suicidio. Le cause di questo incomprensibile gesto non sono mai state sufficientemente definite, tuttavia, supponendo come veritiera l’ipotesi della costrizione esterna, chi mai avrebbe potuto nutrire interesse nell’eliminazione fisica del cantore ufficiale della Rivoluzione e del Proletariato? Il fatto maggiormente sconcertante è che a pochi anni di distanza della morte di Majakovskij, nel 1934, Andrej Zdanov e Maksim Gorkij teorizzarono il Realismo Socialista come corrente artistica e letteraria ufficiale dello stato sovietico. Ma quali sono le condizioni connotative nelle quali il Realismo Socialista è stato impostato e, soprattutto, quali sono i suoi presupposti strutturali? Per quanto concerne i presupposti prettamente culturali, Zdanov e gli zdanoviani esaltano la classicità del Realismo Socialista, presentando quest’ultimo come rivisitazione delle forme stilistiche classiche propugnate da artisti e letterati russi del XIX Secolo, fra cui Plekhanov (celebre rinnegato). Tuttavia, oltre alla palese influenza sciovinistica e nazionalista grande-russa manifestatasi in tale impostazione, un rilevante tentativo mistificatorio si profila nel delineamento di questi presupposti: l’asserzione secondo cui nel realismo, o perlomeno nell’arte socialista nel suo complesso, sia implicito il classicismo, che il classicismo sia un elemento costante e inamovibile di questa loro concezione dell’arte cui appioppano spudoratamente l’impropria definizione di “socialista”. Zdanov in questo modo sostiene la sovrapposizione di tendenze stilistiche appartenenti a sovrastrutture differenti dei rapporti sociali. Tuttavia il concetto di sovrapposizione è antidialettico, non si addice ad una politica culturale marxista-leninista, che invece si dovrebbe differenziare radicalmente dalle scelte stilistiche antecedenti, così come il socialismo ed il comunismo si differenziano, per loro natura, dai rapporti di produzione capitalistici. A tal proposito, sarebbe utile rammentare Engels, il quale, sebbene trattasse un argomento differente dall’arte, scrisse:

“Se ancora dieci anni fa la grande legge fondamentale del movimento appena scoperta era concepita come una semplice legge della conservazione dell'energia, come una semplice espressione dell'indistruttibilità e increabilità del movimento, e quindi semplicemente nel suo aspetto quantitativo, questa ristretta espressione negativa viene sostituita sempre più dall'espressione positiva della trasformazione dell'energia, in cui per la prima volta il contenuto qualitativo del processo prende il suo giusto posto e viene cancellato l'ultimo ricordo di un creatore fuori del mondo.”. (1)

Di conseguenza, alla luce dell’asserzione di Engels in merito all’energia, i processi di interazione dialettica della materia, e pertanto della struttura, non sono contrassegnati, o per meglio dire egemonizzati dalla semplice conservazione quantitativa in virtù della quale un determinato stato della materia presenta i caratteri degli stati precedenti essendo inapplicato il principio di distruzione e sostituzione, bensì sono permeati nella trasformazione qualitativa, ovvero quella trasformazione in virtù della quale l’accumulazione quantitativa non prevede la conservazione della quantità, ma la sua distruzione al momento del conseguimento della qualità! Zdanov sottolinea la presunta insuperabile grandezza del Realismo Socialista adducendo la motivazione della coesione fra le forme stilistiche maggiormente “illustri” (classificazione inesistente nella tradizione dialettica marxista) susseguitisi nella storia e conservate nella natura della nuova arte da lui teorizzata, ma questo è esattamente l’opposto del principio enunciato da Engels in merito al rapporto quantità-qualità. Immaginate uno Stato Socialista che sia contemporaneamente Repubblica borghese, monarchia costituzionale ottocentesca di carattere imperiale, monarchia assoluta medievale e aggregazione tribalistica. Avete presente l’assurdità di un tal genere di organizzazione statale dal punto di vista del Materialismo Storico? Ecco, la medesima assurdità di denota nell’elaborazione del Realismo Socialista, inteso da Zdanov come arte “proletaria”, ma al contempo come apogeo dei “migliori elementi” dell’aristocrazia e della borghesia ottocentesca russa (!).

Dunque, una concezione dell’arte che non tiene particolarmente conto della provenienza sociale dei suoi esponenti, nonché de loro passato professionale. Infatti, Zdanov, durante un incontro con i compositori risalente al gennaio 1948, disse: “Il partito ha pienamente riconosciuto tutta la sua importanza all’eredità classica di Repin, di Brjullov, di Verescagin, di Vasnetsov, di Surikov.”. (2). Quali sono le conseguenze di questo riconoscimento dell’eredità classica dei suddetti artisti? Le conseguenze consistono nell’agevolazione della realizzazione di opere la natura dei cui soggetti risulta contraddittoria persino con le intenzioni apparentemente intransigenti di Zdanov in merito al carattere di classe dell’arte. A tal proposito, il Manifesto d’Ottobre di Repin, che si suppone intenda rappresentare l’esperienza della Rivoluzione d’Ottobre, può essere considerato tutto fuorchè un’esaltazione del carattere proletario della Rivoluzione che il Realismo zdanoviano si proporrebbe di promuovere. Infatti, in primo piano si notano persone i cui abiti e atteggiamenti sono inequivocabilmente riconducibili a quelli dell’alta borghesia, mentre le masse popolari sono rappresentate in modo incerto e disordinato, come un’unica entità priva di tratti identificabili, sullo sfondo. Ulteriormente peggiore si rivela l’opera intitolata Gli ultimi giorni di Pompei di Brujllov, dalla quale traspare la medesima decadenza tanto criticata da Zdanov nel Rapporto sulle riviste Zviezdà e Leningrad. Le uniche opere che si avvicinano, seppur minimamente, anche solo al realismo ottocentesco, sono quelle di Verescagin, Vasnetsov e Surikov, le cui opere tuttavia sono completamente avulse dalla rappresentazione della quotidianità del lavoro e della vita delle masse popolari proletarie e contadine, mentre sono incentrate prevalentemente sulla rappresentazione di paesaggi e di eventi storici risalenti al periodo zarista (Il mattino dell’esecuzione degli Strel’cy di Surikov). Questi sono i presunti “benefici” apportati dall’”eredità culturale” “riconosciuta” (per meglio dire, imposta), da uno Zdanov che si erge spudoratamente a Partito.

Il caratteristico conciliazionismo unitario inter-sovrastrutturale simil-nazionalistico zdanoviano rievoca alla mente la concezione trotskista dell’arte, espressa nelle seguenti frasi di Trotsky: “Non è vero che l’arte rivoluzionaria può essere creata esclusivamente dai proletari.” (3) e “Il partito valuta i gruppi letterari non dal punto di vista dalla classe di appartenenza dei singoli gentiluomini letterati, ma dal punto di vista della posizione che questi gruppi occupano e possono occupare nel preparare una cultura socialista.”. (4). Ulteriore testimonianza del ruolo di “quinta colonna culturale” rivestito dallo Zdanovismo.


La concezione zdanoviana della lotta di classe


Durante una riunione di filosofi sovietici tenutasi il 24 giugno 1947, Zdanov asserisce:
“Nella nostra società sovietica, in cui sono state liquidate le classi antagonistiche, la lotta fra il vecchio ed il nuovo, e, di conseguenza, lo sviluppo dall'inferiore al superiore, non avviene nella forma di una lotta di classi antagoniste, di cataclismi, come succede nel capitalismo, ma bensì nella forma della critica ed autocritica, che sono l'autentica forza motrice del nostro sviluppo, un potente strumento nelle mani del partito.”. (5)

In seguito ad un’attenta analisi, non sarebbe errato ritenere che tale affermazione celi un tranello, in quanto Zdanov, pur ammettendo apparentemente la necessità dell’autocritica per il consolidamento del Partito nel solco dell’efficienza, limita tale necessità soltanto al singolo contesto temporale del dopoguerra sovietico, alle immediate vicissitudini di carattere pratico del dopoguerra sovietico, senza prospettare un ulteriore aspetto dell’autocritica che invece è tralasciato, ovvero quello attinente alla sua connotazione prevalentemente preventiva, sebbene Stalin affermasse che “La parola d'ordine dell’autocritica non deve essere considerata qualcosa di transitorio e fugace.”. (6) Questa connotazione di carattere preventivo dell’autocritica, in virtù della quale quest’ultima si rivela uno strumento non soltanto finalizzato alla risoluzione delle contraddizioni fra classi non antagonistiche, bensì specialmente alla liquidazione dei germi primordiali dell’apparato burocratico sovietico dai quali sarebbe scaturita successivamente la degenerazione kruscioviana e social-imperialista (i legami fra zdanovismo e social-imperialismo saranno trattati in seguito nel presente articolo), è sottolineata da Stalin nel discorso Sull’autocritica, pubblicato nell’XI Volume delle Opere Complete:

“Che cosa ci aspettiamo soprattutto dalla parola d'ordine dell'autocritica, quali risultati può avere se viene fatta in modo giusto e corretto? In primo luogo deve elevare la vigilanza della classe operaia, acuire la sua attenzione per quanto riguarda nostri difetti, facilitare l’eliminazione di questi difetti e rendere impossibili le «sorprese» d’ogni genere nel nostro lavoro di edificazione. Avete notato chi non solo l'affare Schachty, ma anche la crisi dei rifornimenti nel 1928 fu una «sorpresa» per molti di noi? L'affare Schachty è particolarmente significativo a questo riguardo. Per la durata di cinque anni un gruppo controrivoluzionario di specialisti borghesi, che ricevevano le direttivela organizzazioni antisovietiche del capitale internazionale, poté compiere le sue malefatte.[...] Per la durata di cinque anni questo gruppo controrivoluzionario dì specialisti compì un'opera di sabotaggio della nostra industria, faceva saltare caldaie, distruggeva turbine, ecc. Ma noi, stavamo li, come se tutto andasse per il meglio. E «all’improvviso» come un fulmine a ciel sereno l’affare Schachty.”. (7)

La (volontaria?) sottovalutazione, da parte di Zdanov, del pericolo costituito dal carattere neo-borghese della burocrazia del Partito, entità sociale che Stalin stesso reputava antagonistica, congiunta all’astuta distorsione pressoché impercettibile del concetto di autocritica, sono le espressioni di una linea generale della burocrazia carrierista del dopoguerra sovietico che le consentirono di ingannare il popolo sovietico propagandando ai quattro venti l’inesistenza di alcuna minaccia, essendo stata liquidata “la lotta fra il vecchio e il nuovo”, ed ottenendo in tal modo la possibilità di avviare il processo golpista finalizzato al putsch culminato con la suddivisione dei poteri, alla morte di Stalin, fra Krusciov; Bulganin; Beria; Malenkov e Mikoyan. Zdanov si rese “portavoce occulto” di queste tendenze permissive e sbrigative in relazione alla teoria leninista del consolidamento continuo ed ininterrotto della Rivoluzione, si rese “la pecora nera tinta di bianco”.


Lo scioglimento del Comintern e la questione del social-imperialismo


Nel Rapporto alla I Conferenza dell’Ufficio d’Informazione dei Partiti Comunisti, pronunciato nel settembre 1947, Zdanov, in merito allo scioglimento del Comintern, affermò:

“Lo scioglimento del Comintern, rispondente alle esigenze dello sviluppo del movimento operaio e alle condizioni della nuova situazione storica, ha esercitato una funzione positiva. Lo scioglimento del Comintern ha messo fine per sempre alla calunnia, propalata dagli avversari del comunismo e del movimento operaio, che Mosca si ingerisse nella vita interna degli altri Stati e che i partiti comunisti dei diversi paesi non agissero nell’interesse del loro popolo, ma secondo ordini dall'esterno.”. (8)

Egli sostiene la necessità dello scioglimento dell’Internazionale Comunista basandosi fondamentalmente su due presupposti principali, ovvero il timore delle calunnie imperialiste e un mutamento delle condizioni storiche. Effettivamente, questi due elementi, le calunnie e le condizioni storiche mutate, si sono verificate. Tuttavia, il fatto di reputarle una motivazione valida allo scioglimento del Comintern costituisce l’esempio del più meschino condizionamento e di soggezione alla borghesia imperialista, atteggiamento deleterio in quanto forma primordiale dell’accondiscendenza revisionista nei confronti dell’imperialismo e dei suoi ricatti, atteggiamento il quale, qualora fosse stato intrapreso dalla dirigenza staliniana durante la lotta contro le azioni destabilizzanti dell’organizzazione trotskista-buchariniana, avrebbe agevolato i nemici della Rivoluzione esclusivamente a causa di uno spregiudicato timore delle reazioni della borghesia che, pur essendosi verificate nel solco nell’unanime condanna ipocritamente umanitaria della repressione dei “dissidenti” in Urss, certamente non intimorirono Stalin e non lo indussero a desistere dalla difesa dello Stato Sovietico dai sabotaggi e dalle azioni terroristiche e destabilizzanti. Pertanto, il tranello celato da Zdanov in questa sua prima motivazione dello scioglimento del Comintern consiste proprio nel seguente atteggiamento: l’accondiscendenza nei confronti della borghesia imperialista, l’attribuzione di una maggiore rilevanza alla forma, anziché al contenuto, nell’ambito del contesto dell’antagonismo fra lo Stato Sovietico e i paesi imperialisti occidentali.

Per quanto concerne la motivazione inerente il mutamento delle condizioni storiche, nel medesimo Rapporto Zdanov sottolinea l’avvenuto consolidamento dei partiti comunisti del blocco socialista e la conseguente presunta inutilità dell’esistenza dell’Internazionale Comunista. In questo modo egli mistifica e stravolge completamente la funzione fondamentale del Comintern, che non si riduce soltanto alla mera prospettiva di un consolidamento dei partiti comunisti, la quale costituisce invece uno dei molteplici obiettivi di carattere tattico e non strategico come intende presentarlo Zdanov, ma consiste specialmente e principalmente nel fatto di costituire un valido supporto politico alla diffusione del comunismo in funzione ausiliaria alle lotte di liberazione nazionale dei popoli oppressi dei paesi coloniali. Zdanov , invece, riduce la sua funzione al consolidamento dei partiti comunisti dell’Europa Orientale (in pratica quelli delle cosiddette democrazie popolari) e, in tal modo, esclude conseguentemente, seppur in maniera implicita, l’eventualità di una futura degenerazione revisionista dei suddetti partiti, che effettivamente avvenne e, per quanto concerne l’appoggio ai movimenti anticoloniali di liberazione nazionale, rende tale appoggio completamente scevro del necessario aspetto politico per il quale era stato preposta l’Internazionale Comunista. A tal proposito Stalin, nella discussione del 5 luglio 1928 in merito ai compiti dell’Internazionale Comunista, osserva:

“Soprattutto compagni, bisogna esaminare la questione dell'ampiezza del progetto del programma dell'Internazionale Comunista.
Si dice che il progetto di programma sia troppo grande, troppo ampio. Si chiede che il programma contenga alcune formule generali, che ci si limiti a questo e che tali formule vengano chiamate programma. Penso che queste richieste siano prive di fondamento. Chi chiede la riduzione del programma alla metà o addirittura a un terzo, non capisce i compiti dinanzi a cui si sono trovali gli autori del progetto di programma.
Si tratta del fatto che il programma dell’ I.C. non può essere il programma del Partito di un qualsiasi paese, oppure, diciamo, un programma per sole nazioni «civilizzate». Il programma deve abbracciare tutti i partiti comunisti del mondo, tutte le nazioni, tutti i paioli. sia bianchi che di colore. Questo é il tratto principale e più caratteristico del progetto di programma.
. (9)

Infine, nel Rapporto del 1947 Zdanov sostiene altresì la necessità di sostituire l’Internazionale Comunista con una nuova forma di organizzazione internazionale, che attenga specialmente alle nuove esigenze del blocco socialista in riferimento all’opposizione militare contro l’Imperialismo. Qual’è l’ennesimo tranello celato in questa asserzione? L’ennesimo tranello consiste nel fatto di trascurare appositamente la differenziazione connotativa ed ontologica fra l’Internazionale Comunista, organizzazione di carattere prettamente politico, e l’organizzazione militare desiderata da Zdanov, il cui desiderio si suppone sia stato realizzato da Krusciov tramite l’elaborazione e la ratificazione del Trattato di Varsavia, nel 1955. In questo modo, la cooperazione politica ed ideologica dei partiti comunisti, a livello internazionale, viene compromessa e cade nelle redini del burocratismo sovietico, l’autodeterminazione dei popoli violata, e l’unica forma di organizzazione strutturalmente definita rimane quella militare del Patto di Varsavia, nella quale tuttavia il social-imperialismo sovietico detiene il primato dell’influenza ed un’egemonia decisionale alla quale il Compagno Enver Hoxha si oppose eroicamente durante il discorso alla Conferenza degli 81 Partiti Comunisti e Operai pronunciato a Mosca nel novembre 1961.
Queste sono le espressioni pratiche della concezione zdanoviana dei rapporti fra i partiti e gli stati socialisti, nonché della trascuranza della fondamentale differenziazione del ruolo internazionale di organizzazione politica e organizzazione militare.


Bibliografia:


1 – F. Engels, Prefazione alla seconda edizione dell’Antiduhring, Londra, 23 settembre 1885.
2 – A. Zdanov, Saggi di letteratura, filosofia e musica.
3 –L. Trotsky, La politica comunista sull’arte, 1923.
4 – Ibidem.
5 – A. Zdanov, Discorso ai filosofi sovietici, 24 giugno 1947.
6 – Stalin, Contro la volgarizzazione della parola d’ordine dell’autocritica, XI volume, Opere Complete, 1928-1929, Edizioni Nuova Unità.
7 – Stalin, Sull’autocritica, XI volume, Opere Complete, 1928-1929, Edizioni Nuova Unità.
8 – A. Zdanov, Rapporto alla I Conferenza dell’Ufficio d’Informazione dei Partiti Comunisti, settembre 1947.
9 – Stalin, Sessione Plenaria del PCUS(b), 4-12 luglio 1928, Sul programma dell’Internazionale Comunista, Discorso del 5 luglio 1928, XI volume, Opere Complete, Edizioni Nuova Unità.


NOTA A MARGINE DELL’AUTORE: La diffusione, tramite qualsiasi mezzo, del presente articolo, da parte dei lettori, è assolutamente libera ed incoraggiata su manifesto desiderio dell’Autore stesso.
 
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